È vero che gli atei si convertono in punto di morte?

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 


In un mio post precedente, ho esaminato la cosiddetta “fallacia del capezzale” (Deathbed Fallacy), l’idea errata secondo cui ciò che si afferma, pensa, sente quando si è in punto di morte ha un valore generalmente superiore a ciò che si afferma, pensa, sente in altri momenti della vita, tanto da poter assurgere a regola etica assoluta che chiunque dovrebbe condividere se desidera vivere una vita migliore.

Concludevo, al termine della mia disanima, che le confessioni, i pentimenti e le conversioni in punto di morte, cui spesso tendiamo ad attribuire grande valore, non sono sempre da giudicare attendibili o, addirittura, come comprovanti la verità del credo in cui ci si converte, di ciò che viene confessato o di ciò di cui ci si pente e richiamavo l’inglese Robert Cooper, autore, a metà del XIX secolo, di un pamphlet intitolato Death-Bed Repentance; Its Fallacy and Absurdity when Applied as a Test of the Truth of Opinion; With Authentic Particulars of the Last Moments of Distinguished Free-Thinkers (1852) ossia Pentimento in punto di morte. Sua fallacia e assurdità quando utilizzato come prova della verità di una opinione. Con i resoconti autentici degli ultimi momenti di illustri liberi pensatori.

Ho tradotto il pamphlet di Cooper per la prima volta in italiano, almeno a mia conoscenza, e voglio offrirlo ai miei lettori nella convinzione che abbia ancora molto da dirci.

Contabilità

Buste paga

 

Non sappiamo molto di Robert Cooper. Sappiamo che fu il segretario di Robert Owen (1771-1858), uno dei più noti rappresentanti di quel movimento denominato “socialismo utopico” che, nell’Ottocento, diede vita a diversi esperimenti comunitari e cooperativi, come alternativa alle forme di organizzazione capitalistica che, già allora, stavano mutando radicalmente la società occidentale. Sappiamo anche che Cooper fu direttore del mensile a vocazione laica e materialista «The London Investigator» e che tenne apprezzate conferenze sui temi della Bibbia e l’immortalità dell’anima e sull’analisi delle Sacre Scritture. Morì il 3 maggio del 1868 (Foote, 1888).

Death-Bed Repentance ha una finalità polemica. Il suo obiettivo è smascherare le menzogne dei credenti sugli ultimi momenti di vita dei grandi liberi pensatori dell’umanità. Un diffuso luogo comune, propagato dagli stessi “pii devoti”, era – ed è ancora, per certi versi – che perfino gli atei più incalliti, in punto di morte, si ravvedono e si convertono; circostanza che dimostrerebbe la superiorità morale della religione sul libero pensiero: se, infatti, nel momento decisivo della loro esistenza, coloro che non credono rinnegano il proprio ateismo o agnosticismo, ciò vuol dire che la religione ha sempre l’ultima parola.

Cooper analizza, smontandolo, questo luogo comune in base agli argomenti sopra esposti a cui aggiunge una disamina, su base documentale, degli ultimi istanti di vita di alcuni importanti pensatori a cui la propaganda cristiana attribuisce una conversione sul letto di morte. I nomi citati sono rilevanti: Thomas Paine (1737–1809), Voltaire (1694–1778), David Hume (1711 –1776), Edward Gibbon (1737 –1794) e altri ancora. Nessuno di essi si convertì al momento del trapasso, ma su ognuno di essi la propaganda cristiana ha imbastito menzogne interessate – disinformazione pura e semplice – per accreditare le proprie credenze e per mostrare ai “sopravvissuti” che è necessario pentirsi delle proprie malefatte dal momento che la morte riguarda tutti e tutti dovranno rispondere nell’aldilà del proprio operato su questa Terra.

Snocciolando testi e testimonianze, Cooper mostra come, in realtà, nessuno dei grandi pensatori atei o agnostici a cui vengono attribuiti pentimenti in punto di morte ha mai cambiato idea in argomento. Il “teatrino del capezzale” messo su dalla Chiesa ha solo lo scopo di turbare le coscienze delle masse più sprovvedute e piegarle al proprio credo, sfruttando la paura della morte che affligge ogni essere umano per il fatto di essere tale.

Solo il socialismo, per Cooper, è in grado di garantire ai suoi discepoli il superamento dell’orrore della morte perché solo il socialista, da vero uomo illuminato, alieno da ogni superstizione e irrazionalità, è consapevole che la morte rappresenta una fase necessaria e ineludibile dell’esistenza umana, il destino inevitabile dell’umanità.

Citando Shelley, Cooper è convinto che “la morte non è nemica della virtù”. Il socialista è un individuo virtuoso «il cui unico desiderio è quello di eliminare i mali e le miserie» del mondo. Il socialista sa che le piaghe che affliggono l’umanità non sono inevitabili, non esistono per decreto divino, ma hanno come origine fatti umani e sociali che possono essere rimossi come ogni prodotto concepito dall’uomo.

Cooper avrebbe, forse, potuto citare Epicuro: «Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi lei non c’è, e quando lei c’è noi non ci siamo più». Ma il rapporto vita-morte, per il giornalista inglese, non è solo di mutua esclusione: il socialista ha la consapevolezza che sono i meriti ottenuti in vita a dare senso alla morte, è la virtù conquistata quando si respira e si lotta a conferire significato all’esistenza, per quanto effimera e costantemente minacciata dalla morte essa sia.

E se pure esistesse un paradiso, conclude Cooper, il socialista, al pari di tutti coloro che stimano la verità e che si adoperano per migliorare il mondo in cui vivono, avrebbe tutto il diritto di esservi e di godere delle sue delizie. Ritengo che, se sostituissimo a “socialista” un qualsiasi termine che significhi rettitudine morale e virtù sociale, potremmo continuare a condividere le considerazioni del direttore del «London Investigator».

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Lo stesso Cooper fu sempre un coerente e convinto materialista e non ritornò mai sui propri passi. Anzi. Il «National Reformer» del 26 luglio 1868 contiene le seguenti parole da lui scritte proco prima di morire:

In un momento in cui la mano della morte è sospesa su di me, le mie opinioni teologiche rimangono immutate; mesi di profonda e silenziosa riflessione, nonostante la pressione di una lunga sofferenza, le hanno confermate piuttosto che modificate. Attendo con calma, quindi, ogni possibile pericolo associato a queste convinzioni. Consapevole che, se pure fossi in errore, avrei comunque la sincerità dalla mia parte, non temo alcuno danno derivante da percezioni a cui mi è impossibile resistere.

Fedele fino alla fine all’esempio dei grandi uomini citati nel suo pamphlet, Cooper affidò il proprio credo alla sua opera e alle sue parole. Ci lascia un insegnamento destinato a scontrarsi con il luogo comune popolare, ma denso di scomoda verità:

Dovremmo considerare le opinioni di un uomo quando questi è convalescente, non quando è malato. Dovremmo chiederci cosa ha detto, non in punto di morte, ma quando era veramente sé stesso, e le sue azioni erano caratterizzate da vigore ed energia.

Qui il testo integrale del pamphlet di Cooper con una mia introduzione.

Buona lettura!



Source link

Conto e carta

difficile da pignorare

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link