Collocamento dei minori in casa famiglia

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Limitazione della responsabilità genitoriale e collocamento dei minori in casa famiglia

I provvedimenti limitativi e/o ablativi della responsabilità dei genitori – adottati ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 e segg. c.c. – non costituiscono una sanzione ai comportamenti inadempienti dei genitori, ma sono fondati sull’accertamento analitico, da parte del giudice, degli effetti lesivi che hanno prodotto o possono ulteriormente produrre in danno dei figli, tali da giustificare una limitazione o ablazione della responsabilità genitoriale.

La collocazione di un minore in casa famiglia rappresenta l’extrema ratio, allorchè tutti i percorsi attivati non abbiano dato risultati e quando, bilanciando il superiore interesse del minore, con i danni che potrebbe subire rimanendo collocato presso un genitore ostativo, diviene la soluzione di tutela.

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La casa famiglia è una struttura in cui vi è la presenza stabile di uno o più adulti che accolgono i minori mediante l’affido temporaneo, come evidenziato dall’art. 2, d.m. n. 308 del 21 maggio 2001. La casa famiglia svolge quindi una fondamentale funzione di assistenza a favore delle persone (in questo caso, dei minori) che non avrebbero altro alloggio in cui andare. Nello specifico, la legge stabilisce che la casa famiglia è destinata (anche) ai minori per favorire interventi socio-assistenziali ed educativi, integrativi o sostitutivi della famiglia.

La casa famiglia serve a dare accoglienza ai minori che, per ordine del giudice, sono allontanati dalla propria famiglia biologica perché inadatta ad accudirli. In un certo senso, quindi, serve a “sostituire i genitori” in attesa che la situazione di conflittualità o di disagio si risolva.

In definitiva, lo scopo della casa famiglia è di accogliere i minori che ne hanno bisogno, accudendoli in un clima familiare, in modo da poter dare strumenti per poi essere pronti per essere accompagnati verso il loro progetto di vita definitivo come l’adozione o il rientro a casa.

L’art. 2, l. n. 149/2001 afferma che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno. Ove ciò non sia possibile, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare (casa famiglia) che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.

Nel sistema di redistribuzione delle attribuzioni in materia di assistenza agli enti territoriali, alla luce della legge n. 698 del 1975 di soppressione dell’OMNI, del D.P.R. n. 616 del 1977 e della legge 6 novembre 2000, n. 328, il Comune deve essere considerato tenuto alla erogazione delle prestazioni di assistenza.

Pertanto, nel caso in cui il Tribunale per i minorenni abbia disposto l’affidamento di un minore ad una casa famiglia, prevedendo l’accoglienza anche della madre, tale ente locale è obbligato al pagamento delle somme relative alle spese di vitto e alloggio per entrambe (Cass. 19036/2010).

Anche di recente, si e ribadito che, in caso di ricovero stabile del disabile presso strutture residenziali, ai sensi dell’art. 6, comma 4, della L. n. 328 del 2000, al pagamento delle spese è tenuto il Comune della residenza effettiva del soggetto prima del ricovero e non quello della residenza anagrafica, in quanto, essendo più prossimo ai bisogni della persona, se previamente informato dell’intenzione di ricovero, è in condizione di valutare meglio le modalità della presa in carico da parte della struttura (Cass. 24361/2022).

L’obbligo di pagamento che grava sul Comune, avendo la propria fonte nella legge, non è subordinato alla preventiva stipula di una convenzione tra la struttura in cui è disposto il ricovero con l’ente locale (vedi sul punto Cass. 19036/2010, Cass. 2183/2016; Cass. n. 24655/2016).

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In tema di doveri economici verso i figli, il provvedimento del Tribunale di allontanamento dalla casa familiare e di collocamento in struttura di un minore, accompagnato o meno dalla sospensione della potestà genitoriale, non fa venir meno l’obbligo dei genitori di provvedere al suo mantenimento – nella specie consistente nel rimborso all’ente comunale degli oneri economici sostenuti per il collocamento in comunità o in affido familiare del minore stesso – trattandosi di un obbligo collegato esclusivamente al perdurare dello “status” di figlio e non alla permanenza del minore presso il nucleo familiare.



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