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Dov’eravamo rimasti? Sì, ai Cadetti che avevano fatto 13. Per passare il testimone ai Giovani. Sono loro, gli Under 20, a prendersi la scena nella seconda metà dell’Europeo di Antalya. Hanno sentito dire che i “più piccoli”, gli Under 17, hanno fatto cose grosse. Tipo quei tre ori in un giorno soltanto. E così fanno capire subito che non saranno da meno.
Pronti-via: oro, argento e bronzo. Le regine d’Europa del fioretto femminile si giocano la corona in Turchia, eppure quegli assalti potevano e potranno (ri)farli mille altre volte tra Bastia Umbra, Lucca, Terni o qualsiasi altra città della scherma italiana. Letizia batte Ludovica in semifinale, Matilde vince la finale su Letizia. L’Inno di Mameli suona per Maty, campionessa europea nel giorno del compleanno di papà Manuele che non c’è più ed esulta da lassù, e però ci sta benissimo pure per Letizia e Ludovica che svettano sul secondo e sul terzo gradino d’un podio splendidamente azzurro. Tripletta, si dice nel pallone. “Un-due-tre”, s’è sentito spesso dire nella scherma. Ditela come vi pare: che l’Italia s’è presa tutto, del resto, s’è capito.
Basterebbe già questo per parlare d’un giovedì trionfale, ma l’Europeo giovanile è competizione densa, da tre gare al giorno, e pure nelle altre due non recitiamo mica da comparse. Arrivano altri tre bronzi. Due sono delle sciabolatrici: di Gaia, carattere da paura per farsi un gran regalo per i 19 anni, e di Vittoria, la più piccola del gruppo, che si diverte a fare il colpaccio tra le più grandi due giorni dopo il trionfo a squadre con le Cadette. E poi c’è Marco, nella spada, l’unico dei 47 azzurrini convocati ad Antalya che già sa che tirerà solo l’individuale, perché farà poi staffetta con Jacopo, e così si fa bastare quel giro di ruota per portarsi a casa la medaglia più preziosa fin qui in carriera.
Sei podi in un giorno. Esagerati. Tanto che l’indomani, quando a medaglia ne ritroviamo “uno soltanto” dei nostri, quasi ci vien da pensare che non sia andata granché bene. È il pregio e al tempo stesso la virtù della scherma italiana, che si tratta sempre un po’ come fa il cassiere esigente col cliente del bar: gli ordina un caffè e lui chiede d’aggiungerci un dolcino, appena l’altro dice “sì, ok” vuole infilarci pure la spremuta, ché “così fa menu completo”, e quando pensi d’esser arrivato alla resa, sui titoli di coda, c’è pure un “perché non prova anche la fortuna al Gratta e Vinci?”.
Ché poi, ‘sto giro, il discorso manco regge visto che “solo” quel bronzo si porta dietro tanto. Lo vince Leo, cadetto come Vittoria, e proprio come lei sul podio tra gli Under 20 dopo non esserci riuscito da Under 17, con una prestazione gigante. E in più c’è la storia di famiglia, degli altri due fratelli di Leonardo rimasti ai piedi del podio, su cui ci sarà da (ri)parlarne tra un po’…
Intanto arriva il sabato, con le prime gare a squadre. E tornano le fiorettiste. Quelle della tripletta (o dell’Un-due-tre) individuale. Si dice che nella scherma una squadra non sia la somma algebrica delle individualità, che detta così sa di filosofico ma nella sostanza esprime una verità scolpita nella pietra. Solo che quest’Italia non ha solo le più forti, è pure Squadra. Mettici con Matilde, Letizia e Ludovica la “fame” di Greta, l’unica del quartetto che due giorni prima non era sul podio, e il gioco è fatto: oro di nuovo. Per manifesta superiorità.
Vinciamo tanto, e però mica riesce sempre. Così anche nella sconfitta è bello prendersi quel che c’è magari non di buono, ma di bello sì. Sicuramente.
L’ultima Olimpiade è passata alla storia per l’elogio dei quarti posti, roba grossa per com’è stata raccontata. Nel più piccolo contesto d’un Europeo Giovani di scherma ci basta l’elogio dei quinti. Sì, il quinto posto. Quello delle sciabolatrici Mariella, Elisabetta, Gaia e Vittoria. Di Matteo, Fabio, Cristiano e Jacopo nella spada maschile. E ancora, il giorno dopo, dei fiorettisti Matteo, Mattia, Federico ed Elia.
Arrivano quinte, tutte e tre le nostre squadre, e nessuna di loro con quel piazzamento “lontano” dalle medaglie c’entra nulla: per talento degli interpreti, per risultati in Coppa del Mondo, per effettivo potenziale d’ogni quartetto. Ma va così. E allora l’elogio, che resta, è per averlo raggiunto, quel quinto posto, cui s’arriva dopo aver perso un quarto di finale, e cioè vedendosi sbattere in faccia la porta dell’obiettivo vero, eppure continuando a lottare nel tabellone dei piazzamenti. Sono gli assalti peggiori, ché a tirarli puoi sentirti come quando da bambino, a Natale, il partente tirchio – o magari saggio – ti organizza un grande giro di “Sette e mezzo” e mentre ti sfreghi le mani aspettando “la Matta” ti dice che si gioca con le carte ma senza soldi.
La forza di quei 12 ragazzi d’onorare anche quegli incontri che non fanno più storia, ma solo almanacco, senza deprimersi né sfilarsi, come i loro maestri chiedono e pretendono, è segno non banale. L’ha detto Arianna, portabandiera a Parigi, che la medaglia è tanto ma non è tutto.
Mancano due gare alla fine del racconto. La spada femminile è di bronzo. Ed è risultato del cuore. Ce ne mettono tantissimo Eleonora ed Elisa, Giulia e Allegra: la vogliono perdutamente, quella medaglia, e vanno a prendersela stringendo l’anima tra i denti. Da applausi.
E poi c’è la sciabola maschile. Storia nella storia. La scrivono tre fratelli: Edo, il più grande, Valerio, il secondo, e Leo, il cadetto-stacanovista che di medaglie ne ha già vinte due, e però vuole la terza, quella più bella insieme ai suoi fratelli. Con loro c’è Cosimo, l’unico che di cognome non fa Reale, ma che quando conta si carica la squadra sulle spalle, e per quant’è alto si capisce che la (ri)porti parecchio su, dando un apporto decisivo. Battono tutti, i nostri sciabolatori, sino alla Francia in finale. È il terzo oro dei Giovani, vale la decima medaglia italiana tra gli Under 20 a cui si sommano le 13 dei Cadetti, secondo Medagliere vinto in una settimana.
Oltre i numeri, c’è una dedica speciale, per quest’ultimo Inno di Mameli, l’ottavo in otto giorni, che suona in Turchia. È per il papà di quei tre fratelli che sono lì, insieme a Cosimo, sul tetto d’Europa. Ché seppure oggi non può esserci, in pedana a festeggiare, va da sé che sarà orgoglioso di vedere che… l’hanno fatto davvero! È per te, Enrico.
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