Anche se conosciamo la migliore strategia per affrontare un compito, tendiamo a provare nuove vie per vedere se ci portano a un risultato diverso e migliore: è quanto emerge da uno studio condotto dal MIT e pubblicato su Current Biology, che ha testato il comportamento di umani e uistitì, piccoli primati diffusi in America meridionale.
Questo comportamento apparentemente illogico sarebbe in realtà funzionale alla scoperta di nuove strategie migliori, poiché potrebbe esistere un modo più efficace migliore di quello che già conosciamo per completare un compito. «È come con il cibo», spiega Mriganka Sur, uno degli autori: «Tutti abbiamo dei piatti che ci piacciono, ma continuiamo a provarne di nuovi perché – non si sa mai – potremmo trovarne qualcuno che ci piace ancora di più».
Una buona notizia per gli studi sull’autismo. Il fatto che umani e uistitì (in foto) si siano comportati allo stesso modo nei test è importante perché significa che questi primati, più cognitivamente complessi dei topi, potrebbero essere utili per studiare l’autismo negli umani. La differenza nel formulare previsioni riguardo determinate situazioni, infatti, è una caratteristica tipica dei disturbi dello spettro autistico.
© Danny Ye | Shutterstock
Schema interiorizzato. I test prevedevano che tre umani e due uistitì osservassero per un lasso di tempo più o meno breve un’immagine sullo schermo, e che premessero un pulsante quando l’immagine scompariva. Più il pulsante veniva premuto in fretta dalla scomparsa dell’immagine, maggiore era il successo ottenuto nel compito.
Sia gli umani che i primati (questi ultimi in un po’ più di tempo) hanno imparato che più l’immagine rimaneva sullo schermo, più era probabile che dovessero premere il pulsante a breve. Dopo un po’ di esercizio, seguendo questo schema, i loro tempi di reazioni si erano velocizzati.
E se qualcosa cambiasse? Mano a mano che l’esperimento continuava, però, gli autori hanno iniziato a notare qualcosa di inaspettato. I risultati della prova precedente influenzavano il comportamento di umani e animali nella prova successiva, portando a volte a peggiorare la performance: se nel test appena concluso l’immagine era rimasta sullo schermo per poco tempo, i partecipanti diminuivano il tempo di reazione (probabilmente aspettandosi ancora una volta una durata minore); se, al contrario, nel test precedente l’immagine era rimasta a lungo sullo schermo, aumentavano il loro tempo di reazione (probabilmente prevedendo di dover aspettare di più).
«Il fatto che il comportamento continui a cambiare anche dopo aver appreso il compito potrebbe indicare che l’esplorazione è una strategia utile a stabilire un modello interno ottimale dell’ambiente», concludono gli studiosi. In altre parole, continuare a esplorare anche dopo aver imparato qualcosa può portare a una comprensione più profonda e a un adattamento migliore alle situazioni future.
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