RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO UN CONTRIBUTO DI Gabriele Vetro, 22 anni laureando in scienze politiche con una tesi sull’ecologia ed il reddito di base universale
In occasione dell’evento «Al centro del Mediterraneo», organizzato dal partito Forza Italia e tenutosi a Santa Flavia ad ottobre 2024, Renato Schifani, durante il suo intervento, ha revisionato ed illustrato diversi punti della sua attuale esperienza come Presidente della
Regione Sicilia. Tra questi, nella sua riflessione, c’è stato spazio per gli aspetti che hanno portato all’aumento dell’entrata fiscale, la quale, ci ricorda Schifani, è segnale di tassi maggiori di produttività ed occupazione: «Se aumentano le entrate fiscali in Sicilia (…) un motivo c’è: perché cresce l’economia, cresce il lavoro, c’è gente che paga più tasse, società che pagano più tasse, il PIL che cresce».
Anche le diverse crisi ecologiche, che oggi e nel passato recente hanno seriamente compromesso la regione, sono state oggetto di discussione, seppur con uno sguardo del tutto peculiare. «Stiamo lavorando su una consapevolezza: è cambiato l’ecosistema ed è un fatto irreversibile. Il clima della Sicilia, secondo me, non sarà più quello di una volta». Queste le parole di Schifani, le quali tralasciano le cause che hanno portato a ciò. È comunque palese come l’atteggiamento verso il cambiamento climatico sia quello dell’arrendevolezza alla ricerca della mera soluzione ad una situazione descritta come ormai irrisolvibile.
L’abbandono della facoltà di poter prendere in mano le redini del futuro ecologico, sancisce, velatamente, la sconfitta degli uomini di potere della vecchia (prima) e della nuova (adesso) classe politica. Schifani fa spazio nella discussione anche per delle riforme che dovrebbero guardare al sociale. Fra queste ottiene maggiore rilevanza il reddito di povertà. Uno strumento molto diverso dal reddito di cittadinanza degli anni precedenti, sottolinea il Presidente. Con la legge regionale del 30 gennaio 2025, tale misura entra effettivamente in vigore. La gestione delle operazioni è stata delegata a IRFIS – FinSicilia S.p.a, con l’istituzione di un Fondo da 30 milioni di euro. Questa proposta è rivolta ai residenti in Sicilia da almeno cinque anni e con un ISEE 2025 inferiore a 5000€. Una fascia di popolazione estremamente povera, il sottoproletariato siciliano.
Partendo dalle parole del Presidente Schifani in quelle due giornate di conferenza a Santa Flavia, è possibile formulare delle radicali alternative che si espandono sino ad abbracciare un panorama globale. Se è vero, come approfondito da Leonardo Sciascia nell’intervista
rilasciata a Marcelle Padovani, che la «Sicilia è la metafora del mondo odierno», allora lo scenario di inizio, seppur è prettamente quello regionale, rimane una solida base argomentativa per stimolare tre riflessione a più ampio raggio:
1. Riflessione in merito ad un lavoro diverso: Il Presidente Schifani, come citato all’inizio, fa leva su quella politica economica «liberale, espansiva, berlusconiana», per introdurre i movimenti di crescita siciliani, confermati dal rapporto Svimez, i quali risultano maggiori di quelli di altre regioni. Ma l’andamento positivo dei dati economici, rispecchia un reale miglioramento qualitativo della vita di tutti i giorni?
Secondo il rendiconto INPS del 2024, l’aumento dell’occupazione rispetto all’era pandemica si è effettivamente verificato, ma vengono posti i riflettori soprattutto su un altro fenomeno che si manifesta nello stesso arco temporale, ovvero il crollo dei contratti a tempo indeterminato e il fiorire dei lavori servili e precari a tempo determinato, come quelli nel settore gastronomico, alberghiero o del magazzinaggio. Non sono dati che però dovrebbero sorprenderci. Perché? Per dare una risposta occorre allargare lo scenario all’intera storia della metamorfosi del lavoro: il mutamento delle attività lavorative negli ultimi decenni è stato incessante, sino a sancire l’uscita dalla società dove il lavoro salariato è al centro di tutto, un fenomeno che può dirsi attuato nei fatti, ma non nella narrazione quotidiana, per cui sfugge alla presa di coscienza popolare. In effetti questa può sembrare un’affermazione fuori luogo riflettendo sulla necessità costante di accaparrarsi un impiego per potersi mantenere. In realtà, la fine della centralità del lavoro è più evidente che mai facendo luce sui nuovi canali su cui si basa la produzione, primi fra tutti il flusso costante di informazioni ed il sapere cognitivo di ognuno.
In questo contesto l’impiego a tempo e reddito pieno viene garantito ad una piccola élite super specializzata, esternalizzando tutti gli altri servizi, generando una dilagante precarietà ed una forte crisi di identificazione con la propria professione. Un lavoro alienato, che richiede un notevole quantitativo di ore, divide maggiormente l’individuo dalle sue possibilità di auto-compimento, rendendo il mestiere di cui è incaricato, nient’altro che una mero impiego il cui unico scopo è fornire un salario per garantire l’accesso alla sfera del consumo.
La direzione verso cui punta la classe di governo odierna, ampiamente vantata dal Presidente Schifani, ovvero quella della ricerca dell’aumento occupazionale, come un irraggiungibile ritorno al compromesso fordista, non è altro che un vivido segnale della
natura ritardataria della politica nei confronti di nuove sfide sociali che si palesano dinanzi.
Tenendo conto che il lavoro, visto da molti soltanto come una incessante fatica, è in realtà, nella sua descrizione più generica e rivelatrice, “unico canale per la realizzazione di sé”, allora è irrimediabilmente giunto il momento di immaginare e proporre un lavoro diverso.
Urge, quindi, la necessità di creare, in tutte le sue difficoltà e complicanze, un movimento capace di progettare e garantire una nuova forma di attività lavorativa che unisca una reale partecipazione di matrice democratica, una gratificazione personale ed uno scopo funzionale alla propria comunità. Organizzando e coinvolgendo tutti in una produzione differente, non indirizzata al profitto, si darebbe vita, nello stesso medesimo atto, a due cambiamenti radicali: l’eliminazione della disoccupazione (lavorare tutti) e la riduzione dell’orario di lavoro dovuto (lavorare meno). È così possibile anche disegnare uno scenario dove la democrazia non è soltanto delegazione dell’esercizio del potere, bensì reale coinvolgimento di ciascuno, attraverso il lavoro sociale, nella gestione delle questioni
pubbliche.
Tutto ciò presuppone il superamento della razionalità economica, con un nuovo ed inedito processo produttivo che si sviluppi sotto l’egida dell’ecologia.
2. Riflessioni sulla razionalità ecologica: Per aprire questa considerazione partiamo dall’opera di André Gorz “La piena occupazione, per farne cosa?”, dove sono riportate le parole dell’economista W. A. Weisskopf: «Non c’è nulla di intrinsecamente desiderabile nella piena utilizzazione delle risorse, a meno che esse servano a produrre beni e servizi di cui abbisogniamo. Se si chiede uno sviluppo più forte per realizzare la piena occupazione, la produzione e l’utilizzazione delle risorse diventano il fine ed il consumo [sfrenato] il mezzo. Bisogna produrre più beni per occupare più gente; e non si può occupare più gente se non si consumano più beni. In questo modo la razionalità economica è invertita: la gente deve consumare allo scopo di lavorare. Non ha senso».
Una descrizione lucida e chiara che mette in risalto le negatività di una politica produttiva incentrata sul profitto e non sui bisogni delle persone. Questo classico modello di produzione, nel tentativo di dare un impiego a tutti, ha generato un quantitativo di spreco energetico e materiale enorme. Questo perché, all’origine, la natura viene percepita come fonte di approvvigionamento delle risorse che verranno poste alla mercé dello sviluppo tendenzialmente infinito. Ma essa è intrinsecamente finita, per cui l’utilizzo illimitato di queste risorse, considerabili come “di transizione” poiché esauribili, genera sistematicamente delle crisi ecologiche.
La Sicilia è, soprattutto nell’ultimo periodo, tristemente protagonista di questi avvenimenti. Dalla crisi incendi che ha devastato la regione nel 2023 fino al dramma della siccità che si perpetua tutt’oggi. Non bisogna però dimenticare che, in realtà, milioni di litri di acqua potabile, che dovrebbero raggiungere le case dei siciliani gratuitamente, per mezzo di necessari investimenti pubblici, vengono costantemente imbottigliati e venduti, con il forte rischio di rilasciare nell’ambiente tonnellate di imballaggi di materiale plastico. È questo il secondo ruolo che gioca la natura: dispositivo di scarico degli scarti prodotti dal sistema.
Ora, è evidente che il problema appena descritto è di carattere globale e che non dipende per la maggiore dalla Regione. È pur vero, però, che l’arrendevolezza dimostrata e l’insufficienza delle proposte messe sul tavolo, crea un forte disappunto nei confronti della classe politica. La soluzione, nell’esempio a proposito della crisi idrica attuale, non consiste nell’installazione dei dissalatori, come sostiene il Presidente Schifani, almeno non in maniera permanente. Il rimedio, radicale, sta nella programmazione di una produzione che sia minore e diversa, non eccessivamente inquinante, garantendo a tutti il necessario, e che mantenga essenzialmente la consapevolezza del limite. L’abbandono del mito della crescita e l’approdo della razionalità ecologica, è un presupposto fondamentale… per sopravvivere!
3. Riflessioni su una nuova distribuzione del reddito: Il connubio ipotizzato tra un lavoro diverso ed una produzione ecologica, apre due inedite dinamiche sulla nozione di reddito.
a) La prima potrebbe, ragionevolmente, creare perplessità in merito alla garanzia di uno stipendio che si confermi continuo. La domanda che sorge, nella maggior parte dei casi, è: «Se lavoro meno e si produce meno, come faccio a guadagnare una paga dignitosa?». Analizziamo e poi rispondiamo a questa lecita osservazione. In un contesto dove il processo produttivo coinvolge tutti, dove l’orario lavorativo è dunque drasticamente ridotto, il salario non può essere legato, per l’appunto, al tempo di lavoro. La scissione tra attività lavorativa e garanzia del reddito, la quale appare assolutamente necessaria, fornisce una prefazione all’uscita definitiva dalla società salariale. In questo quadro (utopico) sociale, il reddito dovrebbe essere distribuito (e non re-distribuito) a tutti, proprio per ripagare ciascuno del proprio contributo alla creazione del necessario ed allo sviluppo della comunità. Ma non solo. Con ciò ognuno potrebbe emanciparsi in un nuovo prototipo di sfera dell’autonomia, dove il superfluo è sempre concepito, ma, per suo stesso nuovo carattere, in misura nettamente inferiore considerata l’assenza di introduzione costante di beni compensatori ed obsolescenti.
Non è nulla di nuovo in realtà. Anzi, per dirla tutta, seppur con caratteristiche differenti, questa ipotesi è stata avanzata da diversi esponenti della politica liberale globale. Su quale base verrebbe da chiedersi. Riprendiamo quanto detto precedentemente a proposito dei nuovi driver del valore, ovvero il sapere cognitivo ed il flusso incessante di informazioni. È proprio per via della cooperazione globale
alla creazione costante di informazioni, attraverso diversi dispositivi (primo fra tutti lo smartphone), che ipotesi di stessa natura in merito ad un reddito di base sono state proposte. Esse però rappresentano soltanto la richiesta di una retribuzione in cambio dello sfruttamento morboso dei propri dati personali, al fine di inserire sempre più prodotti compensatori adatti ai nostri gusti.
Invece, il reddito garantito proposto sulle basi di una cooperazione nella produzione sociale, non rappresenterebbe altro che lo strumento necessario per un’esistenza ricca (diversamente) e dignitosa.
b) La seconda dinamica vede lo strumento del reddito di base (o reddito di esistenza), essere introdotto nell’attuale mercato del lavoro, per generare quello shock sociale che permetterebbe alle persone di rifiutare qualsiasi lavoro ritenuto superfluo per la comunità o semplicemente non gratificante sul piano personale. È l’archetipo dello strumento conflittuale, il quale non ha nulla a che vedere con la misura del reddito di povertà avanzata da Schifani. Quella, invece, è una mera forma di welfare che mira a sanare le lacerazioni del rapporto reddito-lavoro che colpiscono le fasce più deboli della popolazione. Anche questa, come la ricerca costante della piena occupazione, non è una soluzione definitiva.
La consapevolezza della lontananza di queste linee di riflessione rispetto alle reali iniziative della classe politica è forte, ma non deve scoraggiare il dibattito su un’alternativa che sia radicale, ecologica e che metta in primo piano i bisogni della gente.
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