Processo Amato e duplice omicidio, il ricorso: “Nuova perizia sulle cause della morte”

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Bologna, 28 febbraio 2025 – Una nuova analisi tossicologica dei campioni dei liquidi biologici ancor disponibili sulle due vittime. La battaglia dei due difensori di Giampaolo Amato, sta tutta nell’atto di appello contro la sentenza di condanna all’ergastolo per l’ex medico della Virtus Pallacanestro che lo scorso 16 ottobre è stato ritenuto colpevole dell’omicidio della moglie, Isabella Linsalata, ginecologa di 62 anni, e della suocera, Giulia Tateo, 85 anni.

A sinistra Giampaolo Amato, l’oculista 65enne, ex medico della Virtus condannato in primo grado per l’omicidio della moglie Isabella Linsalata, ginecologa 62enne (a destra) e la suocera Giulia Tateo di 87 anni, (nel riquadro in alto a destra)

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Un ricorso che parte proprio dalle prove scientifiche sul mix di farmaci (Sevoflurano e Midazolam) con cui secondo la Procura e i giudici di primo grado, Amato uccise le due donne. Nel ricorso depositato nei giorni scorsi si legge infatti che, poiché “l’eziologia della morte di Isabella Linsalata è stata individuata dal giudice sulla base di considerazioni del tutto parziali, ascientifiche e, in ultima analisi, arbitrarie – scrivono i nuovi difensori di Amato, professor Franco Coppi e l’avvocato Valerio Spigarelli –  è indispensabile richiedere alla Corte d’Assise d’appello un’accurata rivisitazione critica anche di questo specifico punto”.

Insomma una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, attraverso “l’ammissione di perizia volta a scandagliare gli specifici aspetti meglio descritti in narrativa”.

Ma non è tutto perché, scrivono ancora i legali di Amato, “del tutto aleatoria è l’individuazione della causa di morte di Isabella Linsalata, così come la precisa ricostruzione della sua dinamica. Assolutamente fallace e irragionevole è, in particolare, l’esclusione del ruolo del Citalopram nel determinismo del decesso, a esclusivo e immotivato ‘vantaggio’ dell’impiego combinato del Sevoflurano e del Midazolam. Non sussiste una prova conclusiva del fatto che l’assunzione di Sevoflurano sia avvenuta per iniziativa dell’imputato o con il suo contributo. La tesi dell’auto somministrazione, è solida”. I due delitti sarebbero stati commessi con un mix di Sevoflurano, un anestetico e Midazolam, ovvero benzodiazepine.

Le morti di suocera e moglie erano condizione indispensabile, secondo l’accusa e la Corte d’Assise, per continuare la relazione extraconiugale che Amato portava avanti da anni ed entrare in possesso delle proprietà della moglie.

Coppi e Spigarelli chiedono di assolvere Amato da entrambi i delitti “perché il fatto non sussiste” (o con altra formula) o in netto subordine di concedere le attenuanti generiche. E non usano mezzi termini i legali del 65enne condannato in primo grado per smontare la sentenza nel loro ricorso in appello definendola animata “da un vero e proprio furore sanzionatorio” nei confronti di Amato e connotata da “un’impressionante sequenza di errori logici e di giudizio, conditi da affermazioni pseudoscientifiche che hanno condotto al riconoscimento della responsabilità penale” di Giampaolo Amato, al quale peraltro, si legge ancora nel ricorso, vengono “rivolte considerazioni sprezzanti, del tutto gratuite e non sostenute da alcuno specifico elemento di prova”.

Nel caso della morte di Isabella Linsalata i due legali avanzano una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, attraverso “l’ammissione di perizia volta a scandagliare gli specifici aspetti meglio descritti in narrativa, anche attraverso lo svolgimento di una nuova analisi tossicologica dei campioni dei liquidi biologici ancor disponibili, presso istituto idoneo e necessariamente diverso da quelli già interpellati nel corso delle indagini preliminari”.

Per quanto riguarda invece la morte della suocera Tateo, “la tesi secondo la quale il decesso sarebbe avvenuto per mano omicida – si legge ancora nel ricorso – non è sostenuto da alcuna evidenza empirica o scientifica”. Sulla scorta delle indagini autoptiche e tossicologiche effettuate sui resti della suocera di Giampaolo Amato, secondo i due difensori “non è assolutamente possibile pervenire – in termini di certezza – all’individuazione di una causa di morte, come peraltro concordemente affermato sia dagli esperti di accusa sia da quelli della difesa, sia pure con diverse accentuazioni”.

Per la difesa è, invece, del tutto verosimile e ragionevole ipotizzare che “la somministrazione del Midazolam e/o del Sevoflurano alla signora Tateo possa essere avvenuta per mano della figlia. Nessun concludente e decisivo apporto informativo, in senso incriminante, rivestono le risultanze della presunta prova tecnica consistente nell’esame dei dati desunti dall’App Health”, che rivelerebbero, per l’accusa, una salita al primo piano di Amato nella notte in cui morì la suocera.

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“L’impugnata sentenza – si legge ancora nel ricorso – partendo dalla responsabilità di Giampaolo Amato per le morti della moglie e della suocera, plasma ogni argomento e sfumatura in un’ottica colpevolista, restituendo convinzioni congetturali, impregnate di pregiudizio e, oltretutto, scarsamente rispettose del canone di inviolabilità che contraddistingue il diritto di difesa e all’autodifesa”.

In altri termini, “l’inquietante rappresentazione della personalità del dottor Amato che viene offerta in sentenza, è null’altro che la necessaria conseguenza – in termini di intrinseca coerenza e verosimiglianza narrativa della motivazione di primo grado – di un accertamento di responsabilità che prescinde totalmente dall’apprezzamento del movente”.



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