Costanzo, Innovation Manager: «C’è un “altro volto” dell’innovazione»

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Resta invariata la posizione del nostro Paese in materia di innovazione, che con il 26esimo posto in classifica rimane anche nel 2024 lontana dai Paesi europei più sviluppati, nonché da quelli che compongono le economie più avanzate del pianeta (G7) secondo l’ultimo report stilato di WIPO – World Intellectual Property Organization, il Global Innovation Index 2024. L’Italia rimane dietro a Nuova Zelanda, e appena davanti a Cipro, con un punteggio di 45.3 (-1.3 sul 2023). La Top 10 del 2024 è una riconferma: c’è la Svizzera (con un punteggio di 67.5), seguita da Svezia (punteggio 64.5) e USA (62.4).

«Ricerca scientifica e innovazione hanno ruoli distinti ma entrambi legittimi: la prima cerca il nuovo indipendentemente dalla sua utilità pratica, con l’obiettivo di far avanzare la comprensione del mondo e dell’uomo. La seconda esiste solo quando la novità incontra un’utilità pratica. Questa distinzione non nega che i legami tra le due siano stretti e quasi inestricabili, soprattutto oggi nelle società moderne, come mostrato nel libro. Questo legame molto stretto tra ricerca e innovazione lo dobbiamo anche al contributo di personalità come quella di Vannevar Bush, negli Stati Uniti, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.  Oggi in effetti, nella pratica, la ricerca scientifica è spesso propedeutica all’innovazione, al punto che anche le branche più astratte della matematica trovano, prima o poi, applicazioni pratiche», dice Enrico Costanzo, Innovation Manager.

Nel 2023, il tasso di crescita globale della spesa per investimenti in ricerca e sviluppo si è attestato al 3% rispetto al 2022, in calo rispetto al 5% nel 2021 e al 6% registrato nel periodo pre-pandemia. Notevole l’impatto socioeconomico dell’innovazione nel 2023, con una crescita del 50% dei veicoli elettrici a livello mondiale, l’incremento del 25% della copertura delle reti 5G e la riduzione dei costi delle batterie elettriche rispetto al 2022.

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Cosa si intende per innovazione?

«Questa domanda rappresenta il filo conduttore del libro, che accompagna il lettore verso una comprensione più profonda dell’innovazione attraverso il pensiero di filosofi, scienziati, imprenditori e innovatori del passato e del presente. Il termine “innovation” appare in inglese tra il Cinquecento e il Seicento con un significato diverso da quello attuale, mentre è Joseph Schumpeter, a metà Novecento, a renderlo centrale nel discorso economico. Da allora, ha progressivamente sostituito il concetto di “invenzione”. In estrema sintesi, innovare significa introdurre una novità che risponde a un bisogno e viene utilizzata. Molte invenzioni non sono mai diventate innovazioni perché non hanno trovato un’utilità immediata, mentre altre si sono rivelate tali solo dopo essere state riscoperte. Il libro affronta questi temi e la distinzione con la ricerca scientifica, analizzando il processo che porta le idee a tradursi in cambiamenti concreti».

Quindi qual è “l’altro volto” di cui si fa menzione nel titolo?

«È quello nascosto dietro la rappresentazione superficiale dei media e dei social. Spesso si riduce l’innovazione alla sola tecnologia, al marketing o alle mode, senza coglierne l’essenza. Per andare oltre questa visione ristretta, serve una prospettiva più ampia e di lungo periodo, capace di collegare passato e futuro. Qui entra in gioco la filosofia, intesa come metadisciplina che unisce saperi diversi e opera alla frontiera della conoscenza. È grazie a essa che possiamo chiarire concetti, esplorare idee e interrogarci sul senso delle trasformazioni in corso».

Che impatto sta avendo l’intelligenza artificiale sul sistema economico?

«L’impatto effettivo dell’intelligenza artificiale generativa è ancora tutto da verificare. È utile, però, distaccarsi dal clamore mediatico e guardare alla situazione da una prospettiva più ampia. Per gli addetti ai lavori, le tecnologie di AI che oggi dominano le prime pagine dei giornali sono l’evoluzione di sistemi già in via di sviluppo da anni, noti con nomi meno accattivanti, come “sistemi esperti” e “machine learning”. Oggi siamo probabilmente al picco della curva di Gartner, che descrive il ciclo di vita delle tecnologie: dall’entusiasmo iniziale alle aspettative esagerate, fino a una fase di disillusione e, infine, a un uso più maturo e consapevole. È accaduto con la stampa 3D, con la Blockchain e accadrà anche con l’AI».

Come si declina nel mondo del lavoro?

«Le imprese stanno valutando le potenzialità dell’AI e come integrarla al meglio nei loro processi. È interessante notare come i timori odierni siano molto simili a quelli che negli anni ’50 accompagnavano l’automazione. Già allora ci si chiedeva se le macchine avrebbero distrutto milioni di posti di lavoro o preso il sopravvento sugli esseri umani. La storia, pur non ripetendosi identicamente, segue percorsi ricorrenti: studiarli ci aiuta a interpretare il presente e a prepararci per il futuro».

Ci sono rischi in cui possiamo incorrere?

«Ogni innovazione comporta dei rischi. Per l’AI, ne emergono almeno due: la mancata integrazione nel sistema economico e il cattivo utilizzo. Il primo è un rischio sistemico: molte imprese italiane ed europee non hanno ancora completato la trasformazione digitale e rischiano di rimanere indietro rispetto alle altre potenze. Il secondo riguarda l’etica e la regolamentazione, temi già affrontati da Isaac Asimov con le sue Tre Leggi della Robotica. Il libro esplora anche la competizione tecnologica tra nazioni, che oggi ritroviamo nella competizione mondiale attorno all’AI, analizzando figure storiche come Leonardo da Vinci e Niccolò Machiavelli, che lavorarono entrambi per Cesare Borgia, il “Principe” in carne e ossa».

Quanto conta l’etica nell’innovazione?

«L’etica, intesa nel suo senso originario greco come azione pratica nella vita civile, è una componente fondamentale di qualsiasi innovazione. Tuttavia, la vera domanda dovrebbe essere: quale etica? Prendiamo l’esempio classico dei dilemmi etici legati alle auto a guida autonoma. Quali regole etiche dovrebbero seguire queste auto in caso di incidente? Il tema è complesso e, anche se si decidesse di lasciare che sia il caso a determinare l’esito – il che sarebbe comunque una scelta etica – alla fine è l’etica di una società che dovrebbe guidare l’innovazione verso un futuro desiderabile, per guidare il cambiamento invece di subirlo. Questo richiede un livello di coscienza collettiva che spesso manca».

Qual è il rapporto tra innovazione e sviluppo?

«Il rapporto è molto stretto, poiché non c’è innovazione senza novità, ma neanche senza un utilizzo concreto che crei valore per qualcuno. Pertanto, lo sviluppo è fatto di innovazioni, in qualsiasi contesto politico, geografico e periodo storico. Ad esempio, le innovazioni in agricoltura attorno all’anno mille nell’Europa medievale furono fondamentali per risollevare un Continente in cui le città erano ridotte all’ombra del loro passato e le foreste avevano conquistato le campagne. Mentre, in tutt’altro contesto, la bussola e la polvere da sparo, inventate in Cina con scopi ricreativi o religiosi, ma utilizzate dagli europei per la navigazione e la guerra, posero le basi per l’espansione economica e politica degli Stati europei. Il tema affascinante del rapporto tra innovazioni e storia è trattato in un capitolo del libro, con incursioni nella filosofia e nella biologia evoluzionistica».

La trasformazione digitale è la chiave per la crescita?

«È una base imprescindibile per l’economia contemporanea, ma non è di per sé la chiave della crescita. Piuttosto, rappresenta una condizione necessaria per distinguere economie avanzate da quelle in via di sviluppo. La vera chiave, come illustrato nell’ultimo capitolo del libro, risiede nella formazione, nell’educazione e nella capacità di valorizzare l’eccellenza attraverso la multidisciplinarietà. Solo investendo su questi aspetti si possono rimuovere i limiti strutturali che frenano il progresso».

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Come dialoga l’innovazione con storia e filosofia?

«L’innovazione è un fenomeno umano, e la filosofia, intesa come metadisciplina in grado di unire saperi diversi, aiuta a chiarire concetti fondamentali come il ruolo dell’etica nell’innovazione o la distinzione tra innovazione e ricerca scientifica. La storia, invece, ci offre una prospettiva di lungo periodo, lontana dalle mode effimere. Ci aiuta a comprendere, ad esempio, perché la polvere da sparo, inventata in Cina, sia diventata un’innovazione dirompente in Europa. La storia dell’umanità è, in definitiva, una storia di innovazioni e di persone che innovano».

Tra limiti e sviluppi, quali sono le prospettive?

«Le prospettive dell’innovazione sono ampie e legate alle scelte che le società compiranno. Un esempio chiave è l’etica dell’innovazione, in particolare dell’AI in questo momento storico, un tema che coinvolge l’intera società e richiede una volontà politica consapevole – intesa nel senso greco di polis, la “città” dei Greci – per orientare il futuro invece di subirlo. La storia ci insegna che, nonostante le difficoltà, l’umanità ha sempre trasformato le sfide in opportunità. Per guidare il cambiamento, dobbiamo investire nella conoscenza, nella formazione e nella capacità di guardare oltre i limiti attuali. In Europa e in Italia, la formazione è una leva cruciale per superare quei fattori che appiattiscono anche le eccellenze, impedendo loro di esprimere appieno il proprio potenziale».

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📸 Credits: Canva.com       

Articolo tratto dal numero del 1 marzo 2025 de il Bollettino. Abbonati!





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