Legge Salva-Casa: opportunità reale o soluzione basata sui ritardi amministrativi? | Articoli

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Uno degli obiettivi strategici della legge Salva-Casa è quello di poter avere sul territorio nazionale solo edifici regolarizzati o, per dirla col gergo del DPR 380/01, legittimi (rectius non abusivi).

Come abbiamo concluso nel precedente scritto a tale scopo dovremmo cominciare a pensare seriamente al dopo, ovvero alle modalità della repressione coattiva (alias demolizione e/o rimessa in pristino e/o acquisizione al patrimonio pubblico) di ciò che non sarà regolarizzabile che costituisce il naturale conclusivo corollario della regolarizzazione ad iniziativa spontanea (sanatoria e fiscalizzazione).

Per fare una similitudine potremmo dire che, se il Salva–Casa costituisce la “rete” per l’individuazione, l’emersione e la regolarizzazione dell’irregolare al fine di regolarizzarlo, ci sono due potenziali buchi nella rete:

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Entrambi possono sottendere un condono occulto.
Partiamo dal secondo.

 

Accertamento dello “stato legittimo” – La circolare interpreta, ma non convince

Come si è già detto la circolare cerca di riportare a coerenza logica il testo di legge così com’è riemerso dopo le incontrollate modifiche parlamentari, ma non sempre riesce convincente.

Un caso rilevante è l’“interpretazione” degli adempimenti inerenti lo “stato legittimo che costituisce il cardine della “certezza del diritto” di qualsivoglia intervento futuro.

L’articolo 9-bis antecedente riportava la legittimità alla sommatoria dei titoli edilizi operanti sull’immobile dalla sua nascita all’attualità attraverso la ricostruzione della loro filiera.

Sostituendo la congiunzione “e” del testo precedente con la disgiunzione “o” di quello attuale il Legislatore ha quindi inteso riferirsi alla verifica di congruenza dello stato di fatto col solo ultimo titolo rilasciato, però ha aggiunto che ciò vale solo a condizione che l’Amministrazione competente abbia verificato Lei stessa la congruenza dei titoli pregressi di volta in volta richiesti e rilasciati con i rispettivi “precedenti”.

Questo aspetto lo avevamo già posto in luce in un precedente scritto (v. InGenio – 20.08.2024 “I nuovi adempimenti comunali nel Salva-Casa”) nel paragrafo sottotitolato “bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga come prima”.

Così facendo infatti il Legislatore non ha modificato nulla nella sostanza dell’accertamento, lo ha solo spostato in capo alla P.A.; se la P.A. non lo avesse fatto, la ricerca della congruenza con tutti i titoli pregressi resta necessaria.

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Il che è ovvio se si vuol dare certezza dell’assenza di “abusi intermedi”.

Dice invece la circolare che l’intento era un altro (era quello di “semplificare” la ricerca limitandola al solo ultimo titolo in quanto “bisogna presumere” sulla base del “presupposto” (si legge alle pgg. 4/5, p.to D1.1.1) che l’Amministrazione competente abbia fatto Lei la verifica di coerenza con i titoli pregressi a mano a mano che ha rilasciato i successivi. Ma non possiamo scambiare la presunzione con una certezza, né basare su di essa un diritto patrimoniale.

Anche perché sappiamo bene essere una presunzione infondata perché in passato non sempre i Comuni facevano la ricerca di continuità dei titolo a ritroso.

Sarebbe stato coerente e dovuto, ma non era espressamente previsto per legge. E non possiamo dare per scontato che sia stato fatto. Infatti il Legislatore non lo dà per scontato e dice “a condizione che”.

Se operassimo in conformità alla circolare si avrebbe un implicito tacito condono degli abusi mai accertati (ma ancora accertabili).

Sì, perché non è vera la deduzione della circolare quando afferma (alla pg. 5, II e III capoverso) che se non è stata contestata la discontinuità edilizia nei titoli pregressi non lo si può più fare oggi perché non si tratta di difformità da un titolo da contestarsi entro dodici mesi, ma di assenza di titolo sempre contestabile.

 

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Un potenziale “condono occulto” (gratuito)

Un esempio (forse neppure di scuola).

Supponiamo che illo tempore sia stata richiesta una manutenzione straordinaria di un immobile esistente, ma abusivo e l’amministrazione l’abbia assentita senza verifica (che è ipotesi verosimile perché all’epoca non esisteva l’obbligo dell’accertamento del comma 1 dell’articolo 9-bis).

Possiamo forse ritenere legittimo l’edificio abusivo per effetto dell’avvenuta sua manutenzione straordinaria?

Non possiamo celare un condono surrettizio dietro la presunta semplificazione procedurale basata su di un’omissione.

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Pare che anche i Giudici amministrativi la pensino così.

Se vogliamo perseguire la certezza dei diritti l’accertamento dell’intera filiera abilitativa non si può eludere.

Diversamente i proprietari immobiliari continueranno a vivere nell’incertezza.

Il problema semmai è su chi grava.

Se stiamo al comma 1 dell’articolo 9-bis sono le Amministrazioni (N.d.R. riceventi) che “sono tenute ad acquisire d’ufficio i documenti, le informazioni ….. che sono in possesso delle pubbliche amministrazioni” in caso di “presentazione, rilascio o formazione dei titoli abilitativi” edilizi.

Una responsabilità enorme per le amministrazioni comunali.

Il tecnico del richiedente potrà limitarsi a citare l’ultimo titolo rilasciato e a certificarne la conformità o meno dello stato di fatto, ma per il pregresso ……

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I professionisti saranno eventualmente interessati solo negli atti di compravendita.

Affrontiamo per ora il secondo aspetto che riteniamo potenzialmente pregiudizievole.

  

I pregi delle sanatorie di nuova istituzione ….

Quando si persegue un obiettivo, se si vuol essere concreti, bisogna preventivamente porsi il problema se si posseggono le strumentazioni per raggiungerlo, altrimenti il fallimento è certo. E’ velleitario chiedere a una carrozza a cavalli di fare i cento all’ora.

Nel caso del Salva-Casa (per la disamina delle domande di sanatoria) lo strumento per il raggiungimento dell’obiettivo è indubbiamente l’efficienza della pubblica amministrazione (leggasi i comuni).

I quali, negli ultimi vent’anni almeno hanno sofferto di un depauperamento funzionale motivato dall’orientamento alla massima liberalizzazione ed esternalizzazione dei procedimenti nella sempre inseguita chimera della semplificazione ed accelerazione.

Per questo ho molto apprezzato (e a suo tempo avevo auspicato) che un provvedimento di “regolarizzazione” del preesistente non fosse basato su scadenze temporali (come gli infausti pregressi condoni), ma su di una norma a regime che disinnescasse l’“ansia da prestazione” che ha caratterizzato i precedenti provvedimenti.

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Così come è apprezzabile la possibilità di sanatoria con opere di adeguamento, a condizione però che vengano effettivamente eseguite.

Bene dunque aver previsto una nuova e ulteriore forma di sanatoria all’articolo 36-bis (e aggiungiamo anche quella dell’articolo 34-ter) come norma a regime.

Che ci piacciano o no le condizioni per ottenerla poco rileva ora; sono quelle che ha ritenuto congruo e ammissibile il Legislatore e con quelle dobbiamo operare.

 

  … e i difetti

Quel che trovo però incongruo (e inadeguato) è il fatto di aver posto un limite temporale di quarantacinque giorni per emanare il provvedimento motivato (di assenso o diniego espresso) decorso il quale la sanatoria si intende rilasciata.

Termine incongruo rispetto alla sanatoria tradizionale dell’articolo 36 che ha 60 giorni di tempo istruttorio alla cui decorrenza consegue comunque un implicito rifiuto (comma 3).

Non si comprende il motivo di questa compressione dei termini per due fattispecie simili se non motivata dall’ansia di sanare presto, comunque e dovunque anche a scapito della verifica delle pur numerose condizioni poste.

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Termine inadeguato ad una verifica istruttoria seria della Pubblica Amministrazione (anche al netto della presumibile mole delle richieste contemporaneamente presentate).

Basterebbe pensare alle condizioni (anche discrezionali) delle opere di adeguamento (in più o in meno) imponibili dal comune per la sanabilità di cui al comma 2 dell’articolo 36-bis.

 

La contraddizione del comma 2 dell’articolo 36-bis

Vale la pena richiamare che l’ammissibilità della sanatoria ex articolo 36-bis (anche al netto delle eventuali procedure sananti sismiche e/o paesaggistiche) è condizionata ad una serie di non irrilevanti opere di “adeguamento” comportanti l’esecuzione di interventi anche “strutturali” di messa in sicurezza sismica e/o di rimozione di opere non sanabili (condizione questa particolarmente innovativa rispetto all’orientamento della giurisprudenza precedente).

I ristretti e inadeguati termini istruttori al cui inadempimento consegue il tacito assenso della domanda rischia di vanificare questa disposizione e di far acquisire la sanatoria in assenza di opere che sarebbero state dovute.

Per di più la formulazione della norma è ambigua perché il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 36-bis afferma che “lo sportello unico può condizionare” (e non “deve”) e dunque si tratta di una facoltà e non di un obbligo; ma appare evidente che questo confligge con il successivo assunto ove si precisa che si tratta di “interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare ….” .

Se sono “necessari” non possono essere facoltativi ! Più che un ossimoro è una contraddizione insanabile.

Al netto poi della discrezionalità della loro individuazione che grava sullo “sportello unico”.

Da questo punto di vista la norma è opaca e si presta a contraddittorie interpretazioni, tanto più se la richiesta di sanatoria si dovesse concludere positivamente per silenzio-assenso.

Anche perché a norma del 3° periodo del comma 6 è impedita la prescrizione postuma dopo i quarantacinque giorni di quelle opere dianzi definite “necessarie” per cui parrebbe che non ne sia inficiato il titolo in sanatoria.

Si crea però una discriminante disparità di trattamento nelle opere sanate e una loro inaffidabilità di coerenza normativa (anche in materia di sicurezza).

 

Il tallone d’Achille del comma 6, 1° periodo

Non vorrei allora che la previsione di un termine fisiologicamente inadeguato diventi l’escamotage per far consolidare titoli incoerenti e che si faccia affidamento sulle difficoltà operative della Pubblica Amministrazione per far passare le sanatorie.

Dicono che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende e siccome non voglio fare peccato non lo penso.
Sta di fatto però che la probabilità che si consolidino sanatorie (per così dire) improprie per silenzio-assenso è alta e questo è un rischio (o un condono occulto?)

E’ comunque un rischio per la certezza del diritto, per il fine perseguito della “regolarizzazione” del patrimonio immobiliare nazionale e patrimoniale per il richiedente.

Infatti – al di là della violazione sostanziale del diritto – il decorso dei dodici mesi per un possibile annullamento postumo non è scudo sufficiente a garantire l’inossidabile certezza del titolo perché si baserebbe su attestazioni di “parte” la cui veridicità è sempre sindacabile.

  

Ma quale è il vero fine?

Come sempre bisogna chiedersi qual è il fine che presidia la norma.

In effetti la finalità del Legislatore dichiarata nelle premesse della legge non è quella di “regolarizzare il patrimonio immobiliare” (come avevamo supposto), ma è quella “ … di rilanciare il mercato della compravendita immobiliare anche nell’ottica di stimolare un andamento positivo dei valori sia di acquisto che di locazione dei beni immobili ad uso residenziale”.

La regolarizzazione del patrimonio immobiliare è solo una conseguenza dell’obiettivo vero in quanto ne costituisce condizione e premessa necessaria.

Una sorta di effetto collaterale.

Si ricorderà allora che anche nei condoni edilizi è stata prevista la modalità del silenzio-assenso proprio al fine di accelerare e fluidificare il mercato immobiliare, ma sono sotto gli occhi di tutti le perverse conseguenze che spesso ne sono derivate con titoli la cui validità è stata messa in discussione. Con conseguenti contenziosi.

A poco serve la garanzia della certificazione espressa dell’avvenuto rilascio tacito prevista dal comma 6, penultimo periodo. Dà certezza dell’esistenza ma non garantisce della validità del titolo.

Per di più la certificazione dovrà dar conto della completezza dell’istanza che – ove manchi – è motivo di invalidità/inesistenza della richiesta e temo che dietro questo aspetto si potranno infrangere molte aspettative.

   

Esistenza, validità/efficacia (sì, no, forse)

A tal proposito non sarà ininfluente riportare l’ultima precisazione della “circolare” (pg. 39 – p.to D3.5.7.1) laddove afferma che “il titolo acquisito per silenzio-assenso” è “valido”, ma non è idoneo a produrre i suoi effetti in assenza del pagamento integrale della sanzione a titolo di oblazione”.

Così, almeno, interpreta la circolare. Non è detto che quando se ne dovesse occupare il Giudice la pensi in modo uguale.

I giuristi mi convinceranno che questo strabismo è coerente col nostro ordinamento, ma mi sia consentito dire che per l’italiano medio questo è percepito come un curioso bizantinismo (burocratico !).

Utile (forse) al solo fine della commercializzazione, ma non alla certezza del diritto.

Soggetta ad una gravosa incertezza: chi valuta che il pagamento dell’oblazione sia stato “integrale”? e ancora: c’è un termine per integrarne l’efficacia? Con o senza interessi ?
Avremo dunque delle sanatorie “in sonno” attivabili al bisogno ?

Tenendo conto che fino a completamento:

  • non può ritenersi estinto il reato penale
  • il titolo non concorre alla definizione dello stato legittimo (il cui accertamento si complica non poco).

Obiettivo raggiunto dunque?

Quanto a semplificazione certamente no. Quanto alla commerciabilità dei beni: ni, con le dovute cautele perché non esenti da sorprese postume.

La certezza del diritto può attendere.


IN ALLEGATO LE LINEE GUIDA SALVA CASA



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