L’ipocrisia di automobilisti e dirigenti dell’industria dell’auto che usano *poveri* e *operai* come scudi umani

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Manifestanti protestano contro le piste ciclabili perché non vogliono perdere la possibilità di parcheggiare in doppia fila

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Le vere motivazioni per la lotta contro le piste ciclabili, le corsie preferenziali, le ztl, le aree pedonali e le strade scolastiche.

Quando viene fatto o detto qualcosa che critica o riduce in piccola parte l’uso dell’auto in zone circoscritte di una città (per esempio: chiedere piste ciclabili, corsie preferenziali, marciapiedi più ampi, zone 30, ztl, congestion charge in centro) scatta in molti automobilisti il riflesso condizionato per cui sarebbe una discriminazione o un ostacolo per i ‘poveri’ che usano l’auto per andare al lavoro.

‘Poveri’ che spesso sono ‘costretti’ a usare l’auto per andare al lavoro, perché ‘non ci sono alternative’.

Alternative che però vengono attivamente ostacolate proprio da alcuni automobilisti particolarmente combattivi che appunto si oppongono a piste ciclabili, corsie preferenziali per i mezzi pubblici, marciapiedi più larghi, provvedimenti di congestion charge finalizzati a ridurre il traffico automobilistico nei centri città.

Allo stesso modo quando l’industria dell’auto si trova ad affrontare le inevitabili crisi di sovrapproduzione e di scarse vendite (spesso dovute proprio ad errori di valutazione o strategie sbagliate di chi comanda in quelle industrie) i dirigenti si trincerano dietro la difesa dei posti di lavoro, usando gli operai come scudi umani. Difesa dei posti di lavoro che deve essere fatta con soldi e contributi pubblici quando invece i profitti dei tempi buoni vengono inevitabilmente privatizzati e condivisi fra azionisti e alti dirigenti.

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È una logica fallace ma efficace, perché sembra altruista.

Invece, nel primo caso, è difficile dimostrare che esistano schiere di ‘poveri’ che hanno l’automobile, hanno un lavoro e devono andare per forza al lavoro in automobile nel centro città. Prima di tutto perché se una persona ha un lavoro, un’auto e una casa è difficile dire che sia povera in senso assoluto, a meno che non spenda troppo proprio per mantenere ‘l’indispensabile automobile’.

I veri poveri non hanno l’automobile, e non si capisce perché non debbano essere difesi di più dei presunti poveri con l’automobile. Ovvero non si capisce perché un ‘povero’ costretto a usare i mezzi pubblici, la bicicletta o andare a piedi al lavoro non debba essere tutelato di più di un presunto povero in automobile.

Nel secondo caso la vera difesa dei posti di lavoro è quella dei dirigenti, insieme alla difesa dei patrimoni dei grandi azionisti.

In sintesi:

I poveri con l’automobile non esistono, a meno che non ci vivano dentro. I veri poveri l’automobile non ce l’hanno nemmeno.

I posti di lavoro non si difendono con aiuti di stato e sovvenzioni a fondo perduto alle aziende (e quindi a difesa del patrimonio degli azionisti e dei posti di lavoro dei dirigenti) ma con servizi e provvedimenti contro la disoccupazione: sussidi ai disoccupati, formazione per la riqualificazione, formazione permanente, servizi per chi cerca lavoro.

In pratica, spesso usano i posti di lavoro per difendere i posti auto. Che è controproducente per i trasporti, per la mobilità urbana, per la vivibilità delle nostre città. ◆

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Informazioni su Gianni Lombardi

Autore di libri e scrittore freelance. Ex pubblicitario. Ex segretario ADCI, IAB. Istruttore di Yoga. Copywriter. -Blog, E-mail, Facebook, Twitter, Web. Libri: http://owl.li/CESmh https://twitter.com/benzinazero





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