Regolarizzazione 2020, il Consiglio di Stato condanna i ritardi del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Roma

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Con la sentenza n. 1596 del 24 febbraio 2025 il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del Tar Lazio n. 4621 del 13.12.2023 e accerta, in via definitiva, l’inefficienza del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Roma nella gestione delle pratiche di regolarizzazione degli stranieri del 2020, conclusesi dopo oltre 4 anni dal loro avvio.

Un ritardo eclatante e strutturale che ha indotto il Consiglio di Stato a stigmatizzare l’operato del Ministero: “I chiarimenti resi nel presente giudizio dal Ministero dell’Interno” afferma la Suprema Corte “hanno fatto emergere l’adozione di adeguate misure organizzative solo a distanza di circa tre anni dall’entrata in vigore del richiamato provvedimento legislativo.” 

Il procedimento è stato seguito, oltre che dagli avvocati e avvocate in procura e che hanno partecipato alle udienze, anche dal collegio legale composto dagli e dalle avvocate Gennaro Santoro, Giulia Crescini, Valeria Capezio, Maria Teresa Brocchetto, Anna Pellegrino, Francesco Mason.

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Come – incontestatamente – dedotto dalle associazioni che hanno promosso la class action (Asgi, Oxfam Italia, Spazi Circolari, Cild, Progetto Diritti, Nonna Roma e Attiva Diritti), grazie anche ai dati forniti dalla Campagna Ero Straniero, per 2103 pratiche pendenti presso la Prefettura di Roma è stato necessario attendere ben TRE anni per passare alla fase di convocazione, in attesa del parere di Questura e/o Ispettorato territoriale del lavoro; ciò nonostante la legge impone alla Prefettura di dover comunque decidere entro e non oltre 180 giorni, anche in assenza dei suddetti pareri. Da qui la conclusione del Collegio di Palazzo Spada secondo cui “Un simile dato denota una non episodica od occasionale inefficienza, non dovuta a limiti strutturali, ma unicamente ad una organizzazione e gestione dei procedimenti del tutto avulsa dalla considerazione del fattore temporale……..Date le dimensioni massive del fenomeno, il ricorso a tale meccanismo di semplificazione procedimentale sarebbe stato a costo zero per l’amministrazione, sicché esso si pone fra i principali fattori che sul piano eziologico hanno condotto all’accertata situazione di inefficienza, senza che in merito possano rinvenirsi plausibili ragioni di natura organizzativa o strutturale, essendosi trattato di una precisa scelta in tal senso, evidentemente consapevole delle ricadute sul piano della tempistica e dunque dell’efficienza.”

La decisione ha anche il merito di ritenere non sufficiente l’accelerazione che hanno subito le pratiche solo dopo la notifica della class action; anzi, tale accelerazione -avvenuta a costo zero – dimostra solo che tali rimedi ben potevano essere adottati prima.

Una decisione storica che consolida l’orientamento del Consiglio di Stato secondo il quale  l’azione collettiva (c.d. class action) ha una funzione lato sensu sanzionatoria (di condotte violative di obblighi di azione derivanti dalla legge o stabiliti in applicazione della stessa) e correttiva e che, quindi, in definitiva, rappresenta un prezioso strumento per ripristinare il corretto funzionamento della pubblica amministrazione anche nel settore del diritto dell’immigrazione. Tale strumento risulta essenziale non solo per chi direttamente subisce gli effetti di questa inefficienza, in questo caso i cittadini stranieri, ma per il complessivo tessuto economico, sociale e produttivo che in più di una circostanza si è ritrovato danneggiato da inutili e gravosi ritardi nella regolarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici,

Questa importante sentenza lancia un messaggio che incoraggia il ricorso alle  azioni collettive strategiche da parte di un crescente gruppo di soggetti della società civile che vedono nei ritardi e nelle inadempienze della Pubblica amministrazione uno snodo cruciale della sistematica violazione dei diritti delle persone straniere, ma non solo. Tra queste ad esempio i ritardi delle Ambasciate italiane nel mondo nel rilascio dei visti di ingresso per motivi familiari, già denunciati in una recente interrogazione parlamentare e nel progetto Annick, i ritardi nel rilascio dei permesso di soggiorno, i ritardi nella formalizzazione della domanda di asilo ecc. 

I promotori di questa class action si augurano che questa sentenza sia un monito per la pubblica amministrazione affinché i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi siano sempre rispettati, evitando discriminazioni sistematiche a svantaggio delle persone italiane e straniere socialmente ed economicamente più vulnerabili ed a giovamento dell’interno sistema, anche produttivo e sociale, italiano.



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