Individualisti di città o di campagna? Cambia veramente qualcosa?

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La società della “vendita di ogni cosa” spinge tutti a diventare consumatori perfetti e il massimo successo da questo punto di vista è il single che spende tanto perché non condivide con nessuno le spese. Che il consumismo spinga all’individualismo lo dimostra il fatto che i numeri sono impressionanti. Ma cambiare direzione si può!

La società della “vendita di ogni cosa” spinge tutti a diventare consumatori perfetti e il massimo successo da questo punto di vista è il single che spende tanto perché non condivide con nessuno le spese. Che il consumismo spinga all’individualismo lo dimostra il fatto che i numeri sono impressionanti con un terzo di famiglie single in Italia che arrivano a punte fino a metà e oltre dei residenti nelle grandi città. Se da un lato le persone che vivono da sole non devono rendere conto a nessuno, possono fare quello che “pare” loro (fermo restando che abbiano abbastanza soldi per farlo), dall’altro si scontrano con il fatto che noi siamo animali sociali e infatti ricerchiamo naturalmente il rapporto con gli altri. Il mercato lo sa bene e si è impadronito anche di questo aspetto offrendo la pagliacciata dei social, il cui obiettivo è venderci merci e servizi, senza intaccare in nessun modo il sacro individualismo; cercano di sostituire una socialità vera e diretta che però è insostituibile. E questa falsa socialità aumenta il grado di disperazione e solitudine dilagante, anche nei giovani con numeri da brividi, se si pensa che negli Stati Uniti Jonathan Haidt nel suo libro Anxious generation cita questi dati: le malattie mentali sono in costante aumento del 2010, guarda caso poco dopo l’avvento dello smartphone (ironia delle parole) nel 2007. Dal 2010 al 2018 sono raddoppiate le diagnosi di depressione per gli universitari. Dal 2010 al 2020 i ricoveri degli adolescenti per autolesionismo nei pronto soccorso è aumentato del 188% nelle ragazze e del 48% dei ragazzi e il tasso di suicidi negli adolescenti è aumentato del 167% nelle ragazze e del 91% nei ragazzi. Che dite, forse è il caso di preoccuparsi? Chissà?
L’overdose di consumismo, la mancanza di valori che non siano quelli monetari, la solitudine delle mille connessioni e poche o nessuna vera relazione, portano a crisi di rigetto sopratutto nelle città dove la quotidianità è fatta di stress, caos, rumore, inquinamento e ci sono persone che esasperate da questa follia se ne vanno a vivere in campagna o montagna.
Ma spesso lo fanno portandosi dietro lo stesso individualismo che non contempla l’altro, non necessariamente come partner o simili ma come qualsiasi persona con cui avere a che fare in maniera un po’ più stretta che non un vicino occasionale. Come se la liberazione da una vita inumana si portasse dietro anche la liberazione dagli umani.
Sono vari gli episodi di persone che se ne vanno a vivere in posti anche sperduti, da soli, senza nessuna intenzione di avere compagni o compagne di viaggio ma nemmeno progetti collettivi di alcun tipo. Il che è ovviamente legittimo e insindacabile; sarà pur sempre meglio, soprattutto per la salute e la salvaguardia del pianeta, andare a vivere vicino alla natura che non nel cemento, asfalto e lamiere ma dal punto di vista relazionale non cambia granchè.
Si è cambiato luogo ma si rimane individualisti e con ben poche prospettive. Un individualismo fatto anche forse di superiorità o sfiducia nel prossimo, spesso conseguenza di due aspetti: si ritengono gli altri inferiori, incapaci di essere alla nostra altezza quindi meglio non averci a che fare oppure perchè le esperienze negative fatte in passato determinano automaticamente che tutti siano negativi, inaffidabili, da tenere a debita distanza.
Questo atteggiamento è assai singolare; infatti in campagna storicamente gli eremiti erano assai rari, anche perché si sapeva bene che da soli non si va lontano.
Episodi di ritiro dalla società erano per lo più per motivi spirituali e anche per gli stessi monaci o monache gli altri erano indispensabili.
Da solo lavori e fatichi di più, non ti confronti se non episodicamente con gli altri, quindi non ti arricchisci del confronto e delle idee diverse e per confronto non si intende certo le chat o i messaggi a distanza ma quello diretto, reale.
Inoltre tanti ex cittadini, ora eremiti, come faranno quando saranno anziani e non potranno più fare tante cose? A quel punto torneranno in città? Dove però non si sa chi vorrà dare loro una mano, se loro stessi hanno comunque rifiutato l’altro. Ma che sia in campagna o in città, dovranno trovare necessariamente qualche badante da pagare, quindi dovranno avere i soldi e qualcuno o qualcuna che sia disposta o disposto a fare la vita di eremita servendoli, ipotesi assai remota.
​Oppure in maniera assai opportunistica si accorgeranno che l’altro “serve” e cercheranno improvvisamente di diventare sociali? E che razza di relazioni potranno essere quelle mediate dall’interesse individuale seppur non prettamente economico? E anche questa è una conseguenza dell’individualismo rimasto dal retaggio consumista, a prescindere dall’essere diventati campagnoli o montanari che vivono magari pure con poco.
Eppure scelte solitarie del genere suscitano curiosità, anche un po’ morbosa, forse perchè nell’ambito della società individualista chi fa la scelta di mandare tutti a quel paese viene visto con interesse. In fondo a causa di una vita frustrante e repressa, mandare a quel paese il prossimo è quello che vorrebbero fare in tanti e si immedesimano in chi lo fa, come se gli altri fossero il problema di cui disfarsi, senza magari chiedersi se l’insofferenza verso gli altri non sia una propria incapacità a saper stare con gli altri. Come se pensare che l’altro sia il problema e basti eliminarlo dalla propria vita per eliminare il problema. Ma il problema è spesso con se stessi, quindi ineliminabile anche da eremiti. Qualcuno dice a ragione che gli altri siamo noi e mandare a quel paese gli altri isolandosi da qualche parte e illudendosi di bastare a se stessi, significa mandare a quel paese noi stessi.
Esistono tanti modi per avere relazioni con gli altri mantenendo una propria privacy e integrità senza dove per forza diventare eremiti che proseguono nella strada dell’individualismo insofferente spacciato per libertà. In fondo avere a che fare con gli altri ha a che fare con la maturità, la capacità di immedesimarsi, di capire l’altro e che le sue difficoltà sono le nostre, che le sue mancanze sono le nostre e avendo l’altro come specchio si può crescere. Tutto ciò fermo restando che si possono avere anche necessari e rigeneranti periodi di solitudine ma la solitudine senza o con poche relazioni non appartiene alla nostra specie che da sempre è vissuta con gli altri e da sempre ricerca l’altro perché, tra le altre cose, sa che, come diceva Tolstoj, la felicità è tale solo se condivisa.
Per chi vuole cambiare vita e lavoro ma mantenere la propria privacy individuale o familiare e allo stesso tempo realizzare progetti interessanti e arricchenti di condivisione con gli altri, l’ecovicinato può essere una buona soluzione di crescita personale e condivisione soft ma salutare allo stesso tempo.

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