Chiara Zappa racconta i semi di pace in Terra Santa

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“Sono persone che in mezzo al conflitto ed all’odio hanno scelto un’altra via, che è quella del dialogo e della comprensione reciproca, che conduce ad una giustizia  per tutti per tutelare la dignità della persona. Hanno scelto di lottare insieme per un futuro condiviso, che è l’unico possibile per la Terra Santa. Troppo spesso queste persone sono liquidate come illuse oppure folli, ma in realtà quell’utopia che inseguono è la forma più chiara del loro pragmatismo, cioè sono loro le avanguardie del futuro; sono quelli che propongono che sia l’unica soluzione percorribile in quella Terra”.

 

In quale modo è possibile raccontare la riconciliazione?

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“Ho raccontato la riconciliazione partendo dalle singole storie delle persone, che hanno compiuto questa scelta con fatica ed a volte pagando il prezzo dell’incomprensione da parte della propria comunità di appartenenza e persino di emarginazione, in alcuni casi. Però sono riusciti ad ottenere risultati nella loro storia personale; quindi rappresentano una via da seguire. La scelta di raccontare le singole storie all’interno della Storia è la via che ci permette di capire che certe scelte sono davvero possibili nella vita reale”.

Come si può cercare la via del dialogo?

“Le persone da me intervistate rispondono a questa domanda, affermando che si può cercare la via del dialogo attraverso l’accettazione di guardare in faccia l’altro, togliendole dalle categorie collettive in cui è incluso (il nemico con cui sono in conflitto, palestinese od israeliano) per guardarlo in faccia ed incontrarlo. La sfida dell’incontro è molto difficile, anche perché concretamente in quella Terra è molto difficile incontrare l’altro, in quanto i contesti in cui incontrarsi si riducono sempre più  causati dalla costruzione di muri e scuole separate oppure da embarghi. Quindi è molto difficile, eppure la via è quella di incontrarlo per vederlo come è veramente e conoscere la sua vita nel suo dolore. Alcune persone intervistate da me sul tema della riconciliazione sostengono che solo quando impari ad ascoltare il dolore dell’altro, puoi aspettarti che l’altro ascolti il tuo dolore. Occorre capire il trauma personale e collettivo dell’altra persona e cercare di mettersi nei suoi panni:è il primo passo per cercare la via del dialogo”.

 

Quanto è ‘duro’ credere nella pace?

“Può essere molto duro, perché a volte ti senti solo, in quanto la maggioranza della tua comunità percorre un’altra strada, ma anche perché la pace in sé è complicata, in quanto è fatta di mediazione, di compromesso, di comprensione reciproca ed anche di incomprensione. Lo spiega bene Ariel Sharon, uno dei responsabili educativi di ‘Neve Shalom – Wahat al-Salam’, villaggio binazionale che in Israele ospita famiglie israeliane e palestinesi che per scelta vivono insieme, che racconto come sia faticosa questa convivenza, in quanto la pace non è ‘bianco o nero’ (dice), ma andare a vedere i ‘grigi’, quindi la persona oltre il suo ruolo. La pace può essere difficile, però lui sottolinea che la pace è possibile ed in quanti più persone si è a percorrere questa via, tanto più questo traguardo diventa meno difficile”. 

 

In quale modo è possibile sconfiggere gli estremismi?

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“E’ possibile sconfiggere gli estremismi con l’educazione, che offre la scuola. Nel libro molti testimoni lo raccontano in modi diversi: un professore palestinese, che in gioventù è stato un combattente che credeva nella liberazione della Palestina ed ha avuto un lungo percorso personale, che racconto nel libro, oggi lavora come professore universitario nell’educazione contro gli estremismi, creando anche un istituto islamico, che vuole riscoprire le radici di moderazione e di dialogo all’interno della religione islamica. Come professore universitario ha portato i suoi allievi israeliani a conoscere la vita nei campi profughi palestinesi dopo la creazione dello stato d’Israele ed ha avuto anche il coraggio di portare alcuni allievi palestinesi ad Auschwitz per conoscere il trauma dell’altro. E’ un fatto piuttosto dirompente nel contesto in cui vive! Eppoi c’è la storia di un rabbino, che lavora per la ricerca delle radici del dialogo e di pace all’interno della propria religione, andando alle fonti della fede ed applicando questo ebraismo di dialogo e di pace nella vita quotidiana. Portano avanti progetti educativi nelle scuole e progetti sociali dentro i confini di Israele, con le comunità minoritarie e soprattutto anche oggi vanno fisicamente in Cisgiordania e nei luoghi dove gli agricoltori palestinesi subiscono quotidianamente le aggressioni dei coloni ebrei, scortandoli con i loro corpi. Quindi la pace diventa azione; tale azione è molto presente in ‘Neve Shalom – Wahat al-Salam’, dove per scelta le famiglie del villaggio e quelle dei villaggi intorno, che credono in questa educazione alla pace, mandano i figli nelle scuole condivise (oggi arabi e israeliani studiano in scuole separate); invece in questo villaggio la scuola è insieme ed i professori sono di entrambe le nazionalità usando le ambedue lingue ed imparando ad essere compagni di banco fin da bambini. Questo è il primo passo per sconfiggere gli estremismi ed andare verso la pace”.   

 





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