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Il 20 febbraio scorso oltre 1.200 vittime di 12 nazionalità diverse e prigioniere della mafia cinese nelle “città della truffa” (Scam City) lungo il confine birmano-tailandese, hanno cominciato a essere trasferite a Mae Sot, in Thailandia, per essere rimpatriate nei loro paesi d’origine. I cittadini cinesi partono per primi, con voli diretti all’aeroporto di Jinghong, prefettura di Xishuangbanna (Yunnan). Sono solo la prima tranche di circa 7mila persone che dal Myanmar saranno evacuate in Thailandia secondo quanto ha detto la premier thai Paetongtarn Shinawatra.
LA NOTIZIA ha fatto il giro del mondo ma mettere assieme i tasselli di questa vicenda è piuttosto complicato. Uno di questi è di un paio di giorni prima, quando un tribunale di Wenzhou, nella provincia di Zhejiang (Cina orientale), ha tenuto la prima udienza del processo a carico di 23 imputati della famiglia Ming sospettati di essere coinvolti in frodi nelle telecomunicazioni in Myanmar. Il gruppo – ha scritto il Global Times – era collegato a transazioni legate al gioco d’azzardo e alle frodi per un valore superiore a 1,3 miliardi di euro, alla morte di 14 cittadini cinesi e al ferimento di altri sei. Ma cosa lega le due cose? Cosa sono, dove e quando sono nate le Scam City? Dove origina un fenomeno che, stando a fonti diverse, riguarda nel Sudest asiatico tra i 200 e i 300mila individui tenuti prigionieri in edifici sigillati (compound) dove passano il giorno al cellulare per frodare milioni di utenti in Cina, in Asia, negli Stati uniti e persino – pur se in forma minore – in Europa?
BISOGNA ALLORA fare un passo indietro cominciando proprio da Jinghong nello Yunnan e da lì raggiungere Ruili al confine: una città famosa per la giada (birmana), un tempo nota come uno snodo dell’eroina proveniente dalle raffinerie situate a Sud della frontiera cinese. Ruili è infatti una città specchio della prospiciente birmana Muse: due città divise da un fiume. Da una parte la potente Rpc, dall’altro uno stato fallimentare gestito dalla giunta salita al potere nel 2021. La città aveva una fama tristissima stando a quanto raccontano due decani del giornalismo italiano – Giovanni Porzio e Francesco Zizola – che la raccontano in un reportage su Panorama del 1998 che frutterà a Zizola l’espulsione dalla Cina: «…un confine colabrodo controllato da una polizia corrotta dove ha sempre prosperato il contrabbando: di pietre preziose, di legname, di droga… il principale corridoio commerciale dei trafficanti… nelle strade a luci rosse sotto uno sbiadito manifesto di Deng Xiao Ping… dietro tendine di plastica che puzzano di topi e di cesso… finiscono alle due del mattino, si fanno una dose, un paio di bicchieri di rum e passano quel che resta della notte al casinò».
Oggi Ruili non è più quella. Lungo la Jiegang Road, una volta la via dei traffici e dei bordelli, una sfilza di negozi nuovi affacciano su un’arteria cittadina a otto corsie che sembra un’autostrada. Nello Yunnan, Pechino ha investito e fatto pulizia. E una parte di questa pulizia riguarda anche le città birmane al di là del confine che, in questo momento, resta in gran parte sigillato perché Muse, la città gemella nello Stato Shan, è circondata da diverse forze dell’opposizione alla giunta. C’è solo un gruppo che, sotto pressione cinese, ha mollato la presa su quei territori: sono i Kokang e il loro esercito, l’Alleanza Democratica Nazionale del Myanmar (Mndaa). Un motivo c’è e in un certo senso riguarda le Scam City. Una in particolare: Laukkai, capitale della regione speciale birmana del Kokang, Stato Shan.
FAMOSA per i suoi casinò, dopo il golpe del 2021 e il lockdown del Covid, Laukkai si inventa una nuova vocazione: da città del vizio a Scam City, dal gambling alla truffa online. Nell’autunno del 2023 il Mndaa decide di riprendersela e ci riesce. I cinesi danno una mano. La città cade clamorosamente nel gennaio 2024 con la resa dei soldati della giunta. Ma Pechino ha chiesto in cambio alla Mndaa di sgominare le bande criminali e liberare i cyberprigionieri che infestano la Rete della Rpc. I Kokang eseguono mentre la giunta e i suoi alleati – le Border Guard Force, miliziani rinnegati del Mndaa passati ai golpisti – si ritirano; non prima – nel tentativo di blandire Pechino – di aver arrestato tre cinesi della famiglia Ming, banda criminale di Laukkai dedita alle frodi online – mentre il loro capo, Ming Xuechang, si suicida. Con la presa di Laukkai qualche settimana dopo, oltre duemila scammer verranno liberati. Ma la partita non è affatto chiusa.
LE TRUFFE informatiche, decollate nel Sudest asiatico durante il Covid, non stavano solo a Laukkai e dintorni. Un’altra potente enclave si trova infatti sul confine birmano tailandese nei dintorni di Myawaddy, città specchio – come è Muse con Ruili – con la tailandese Mae Sot. Territori di contrabbando e traffico di esseri umani che con la pandemia conoscono una nuova stagione. L’area di nuova urbanizzazione criminale si chiama Shwe Kokko ma è la punta di un iceberg composto di decine di altre località piene di compound-prigione.
I banditi del Nord del Mynmar, in fuga dal Kokang, si spostano lì, dove la Cina è meno vicina. La pressione cinese su Shwe Kokko, dove le Guardie di frontiera locali (Bgf) sono al servizio della giunta birmana e coltivano le Scam City, arriva verso la fine dell’anno scorso, preceduta – un anno fa – da una prima evacuazione di un migliaio di cinesi. A Mae Sot è dunque attiva la fase due della liberazione delle Scam City. Un tema che tocca anche Laos e Cambogia e che abbiamo già raccontato su queste pagine.
Sotto pressione di Pechino, Bangkok ha tagliato luce e Rete ai centri truffaldini e i miliziani e le Bgf hanno liberato un po’ di schiavi e aperto le porta alla stampa per far vedere che non sono poi così meschini. Storia in divenire.
Tornando a Ruili, la città ha oggi altri problemi oltre a qualche residuale contrabbando. Pechino ha investito tanto da far crescere il suo Pil del 16,9% nel 2014 e la città gestisce dal 30% al 40% del commercio della Cina con il Myanmar con un volume di scambi di quasi 12 miliardi di dollari. Il Pil pro capite, scrive The Diplomat, è arrivato a «superare in certi periodi la media nazionale». C’è un benessere palpabile anche se dovuto agli immigrati birmani che non se la passano benissimo.
OGGI COMUNQUE, dall’altra parte del fiume, comanda la guerra. Muse è circondata e se gli scammer sono scappati, il conflitto birmano continua a fornire grattacapi. Perché da qui deve passare una linea ferroviaria da 1.700 km, con tanto di gasdotto e oleodotto, che deve aprire la strada alle merci cinesi da Kunming, capitale dello Yunnan, al porto in costruzione di Kyaukpiu nello Stato birmano del Rakhine. Progetto chiave della Nuova Via della Seta per bypassare lo Stretto di Malacca. Ma i lavori sono fermi. La guerra invece va avanti.
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