S. Finocchiaro | “Garofalo e altri c. Italia”: la Corte EDU afferma la legittimità della confisca di prevenzione | Sistema Penale

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Corte europea dei diritti dell’uomo, dec. I Sezione, Garofalo e altri c. Italia, 20 gennaio 2025-13 febbraio 2025, App. n. 47269/18

1. Con la decisione che può leggersi in allegato, la Corte europea dei diritti dell’uomo torna ad occuparsi della confisca di prevenzione italiana, disciplinata oggi nel c.d. codice antimafia: art. 24 d.lgs. 159/2011. Chiamata a pronunciarsi circa la sua compatibilità convenzionale al metro delle principali norme che regolano la c.d. “materia penale” (artt. 7, 6 § 2 CEDU e art. 4 Prot. Add. CEDU), la Corte di Strasburgo ne afferma la legittimità, escludendo che essa abbia una natura giuridica equiparabile alle sanzioni penali.

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Tale misura ablatoria – sostiene per la prima volta la Corte EDU in relazione alla confisca di prevenzione italiana – possiede «natura ripristinatoria» («restorative and not punitive nature») in quanto mira a garantire che il crimine non paghi e a prevenire l’ingiusto arricchimento ensure that crime does not pay and to prevent unjust enrichment»).

 

2. Ripercorriamo anzitutto rapidamente il caso di specie da cui origina la decisione.

Nei confronti di uno dei ricorrenti, il Pubblico Ministero aveva inizialmente proposto, nel 2007, l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, in quanto rientrante nella categoria dei soggetti c.d. “pericolosi generici”, ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 2, della l. 1423/1975 (oggi art. 1 d.lgs 159/2011). Questa prima richiesta era stata rigettata nel 2008 dal Tribunale, per difetto del requisito della attualità della pericolosità, in quanto l’ultimo reato accertato nei confronti del proposto risaliva al 2005. A seguito dell’arresto della medesima persona nel 2013, per reati in materia di stupefacenti, è stata avanzata dalla Procura una nuova proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e, questa volta, anche della misura patrimoniale del sequestro finalizzato alla successiva confisca di alcuni beni nella sua disponibilità diretta o indiretta, ancorché in parte formalmente intestati a terzi per suo conto. Le misure sono state entrambe applicate dal Tribunale in primo grado, ma – a seguito di impugnazione – la Corte d’appello ha annullato la decisione concernente la misura personale, confermando la statuizione in punto di confisca, che è stata mantenuta anche a seguito di ricorso in Cassazione, che ha rigettato i ricorsi proposti dalle difese.

 

3. Hanno proposto ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sia il diretto destinatario della confisca di prevenzione (secondo ricorrente) sia tre persone formali intestatarie di beni sottoposti alla misura ablatoria (primo, terzo e quarto ricorrente).

Questi ultimi soggetti hanno lamentato una violazione sia dell’art. 7 § 1 CEDU, sostenendo che sarebbe stata loro imposta una “pena” in assenza di una condanna per alcun reato, sia dell’art. 6 § 2 CEDU, sostenendo che l’applicazione della confisca nei loro confronti violerebbe il loro diritto alla presunzione di innocenza.

Il secondo ricorrente ha lamentato, invece, una violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, adducendo una violazione del principio del ne bis in idem, poiché – come si è sopra illustrato – nel precedente procedimento di prevenzione nei suoi confronti, il tribunale competente aveva ritenuto che egli non rappresentasse un pericolo per la società.

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È intervenuta nel processo anche l’associazione Unione delle Camere Penali Italiane, sostenendo la natura afflittiva, e pertanto punitiva, della confisca di prevenzione e la conseguente violazione dell’art. 7 CEDU.

 

4. La Corte EDU, all’unanimità, ha dichiarato inammissibili i ricorsi, rigettando di fatto tutte le doglianze avanzate.

La Corte è in questo modo giunta a una conclusione analoga a quella già espressa in molteplici, ancorché risalenti, precedenti attinenti alle misure di prevenzione italiane, ma lo ha fatto con motivazioni molto diverse da quelle usate in passato.

In quasi tutti i precedenti sul punto, la Corte aveva escluso che la confisca di prevenzione fosse comparabile a una sanzione penale, valorizzando esclusivamente la sua finalità preventiva e la sua necessità per impedire il dilagare del fenomeno mafioso (si ricorderanno, ad esempio: C.edu, sent. 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, § 30; C.edu, sez. II, dec. 15 giugno 1999, Prisco c. Italia, § 1-3; C.edu, sez. I, dec. 4 settembre 2001, Riela c. Italia; C.edu, sez. II, sent. 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia, § 45. Cfr. anche Commissione eur., 15 aprile 1991, Marandino, n. 12386/86).

In questo modo la misura era stata ritenuta convenzionalmente legittima, in quanto “dotata di base legale” e “proporzionata” rispetto all’interesse pubblico perseguito, in ragione: a) dell’indispensabilità di simili misure nel quadro di politiche criminali volte a combattere il fenomeno della grande criminalità organizzata[1]; b) del pericolosissimo potere economico di una organizzazione come la mafia, rispetto alla quale la confisca appare quale «effective and necessary weapon in the combat against this cancer» [2].

Va tuttavia rilevato che, nelle cause in materia di confisca di prevenzione italiana finora portate all’attenzione dei giudici di Strasburgo, non erano mai stati esaminati compiutamente casi relativi a forme di criminalità “ordinaria” ben distanti da quella organizzata di stampo mafioso, casi che pur tuttavia rientrano ormai a pieno titolo nella disciplina del d.lgs. 159/2011, e, in particolare, nell’alveo della c.d. “pericolosità generica” di cui all’art. 1 d.lgs 159/2011.

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La presente decisione, pertanto, rappresenta un passo ulteriore, e per nulla scontato, nel senso di una legittimazione del modello italiano di confisca senza condanna, anche in relazione a forme diverse di criminalità, e anche alla luce delle modifiche normative e giurisprudenziali che più di recente hanno interessato la materia.

Nell’orientare la decisione in questo senso, hanno giocato un ruolo determinante sia la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019[3], che aveva preso posizione circa la funzione meramente ripristinatoria che la confisca di prevenzione deve svolgere, sia i più recenti approdi del diritto dell’Unione europea, da ultimo rappresentati dalla Direttiva (UE) 2024/1260[4], che all’art. 16 ha previsto una inedita “Confiscation of unexplained wealth linked to criminal activities” almeno in parte ispirata al modello italiano della confisca di prevenzione.

 

5. L’inapplicabilità dell’art. 7 CEDU (nulla poena sine lege). In particolare, la decisione in commento, svolge interessanti considerazioni volte ad escludere che la confisca di prevenzione abbia natura punitiva, ragion per cui ad essa non si applica ratione materiae l’art. 7 CEDU.

Anzitutto, come di consueto, la Corte rammenta che il concetto di “punizione” o “sanzione [punitiva n.d.r.]” previsto dall’Articolo 7 § 1 della Convenzione ha una portata autonoma

La Corte rammenta che, se la natura penale di una misura fosse stabilita esclusivamente in base al fatto che l’individuo ha commesso un atto qualificato come reato dal diritto nazionale ed è stato dichiarato colpevole da un tribunale penale, ciò sarebbe incompatibile con il significato autonomo del termine “sanzione” (v. pronuncia G.I.E.M. S.r.l. e altri, § 216)

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Inoltre, la Corte ribadisce che la confisca non è una misura limitata al diritto penale, ma è ampiamente utilizzata nel diritto amministrativo, dove gli oggetti confiscabili possono includere beni importati o esportati illegalmente (v. AGOSI c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, Serie A n. 108; The J. Paul Getty Trust e altri c. Italia, n. 35271/19, § 314, 2 maggio 2024). Inoltre, le confische non penali possono riguardare, ad esempio, beni considerati pericolosi di per sé (come armi, esplosivi o bestiame infetto) o proprietà connesse, anche solo indirettamente, a un’attività criminale (vedi M. c. Italia, cit., p. 59; Bowler International Unit, cit., § 67; e Gogitidze e altri c. Georgia, n. 36862/05, § 126, 12 maggio 2015). La Corte ha stabilito che vari tipi di confisca, essendo di natura ripristinatoria, esulano dal campo di applicazione dell’Articolo 7 (vedi in particolare la decisione Ulemek c. Serbia, §§ 55-58).

Al fine di stabilire se la confisca di prevenzione, nel caso di specie, debba essere ricondotta alla nozione di punishment di cui all’art. 7 CEDU, i giudici di Strasburgo prendono in esame i vari criteri elaborati dalla propria giurisprudenza.

 

5.1.Se la confisca sia stata disposta a seguito di una condanna per un illecito penale” (§ 100-102). Sotto questo primo profilo, la Corte rileva che l’imposizione della confisca di prevenzione nell’ordinamento giuridico italiano non implica una dichiarazione di colpevolezza, ma si fonda piuttosto sulla presunzione ragionevole che i beni acquisiti durante il periodo in cui una persona è indiziata di aver commesso reati, che sono sproporzionati rispetto al suo reddito lecito e per i quali non vi è prova della loro provenienza lecita, siano i proventi di attività illecite o siano stati acquistati con essi.

Tuttavia, l’assenza di una condanna non è sufficiente a escludere l’applicabilità dell’art. 7 CEDU, tale criterio essendo solo uno tra gli altri da considerare, che la Corte passa in rassegna.

 

5.2. “La classificazione della confisca nel diritto interno” (§ 103-111). Sotto questo secondo profilo, la Corte rileva anzitutto che la confisca in esame è qualificata dalla legge come “misura di prevenzione”, in quanto inclusa nel Capitolo II della Parte I, del d.lgs. 159/2011. Come sempre, tuttavia, la Corte non si limita a considerare il diritto positivo, analizzando altresì il diritto vivente di carattere giurisprudenziale, nel cui ambito – pur con una isolata eccezione[5] – sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale hanno sempre escluso la natura punitiva della confisca di prevenzione. Inizialmente considerata una sanzione amministrativa, ne è stata poi affermata la natura di “misura di sicurezza”, finalizzata a prevenire la commissione di ulteriori reati. Quando poi, dal 2008, l’applicabilità della confisca di prevenzione è stata svincolata dalle misure di prevenzione personali, divenendo possibile disporle in modo disgiunto, indipendentemente dall’esistenza di una pericolosità “attuale” della persona destinataria della misura, la qualificazione come misura di sicurezza ha iniziato a vacillare, pur essendo infine ribadita dalle Sezioni Unite Spinelli del 2014[6].

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Successivamente, osserva la Corte EDU, sono state fornite chiare indicazioni da parte della Corte Costituzionale, che – nella sentenza n. 24 del 2019 – ha ribadito che la misura non ha natura penale, bensì natura meramente ripristinatoria.

 

5.3.La natura e lo scopo della confisca” (§ 112-134). Per quanto riguarda la natura della confisca in esame, la Corte individua alcuni primi elementi che depongono nel senso che la misura non abbia carattere punitivo e presenti caratteristiche che la distinguono dalle sanzioni penali:

  1. anzitutto, il grado di colpevolezza dell’autore del reato è irrilevante ai fini della determinazione dell’importo dei beni da confiscare, a differenza dalle pene pecuniarie;
  2. inoltre, la misura è specificamente rivolta ai proventi di reati presumibilmente commessi, rispetto ai quali non si richiede una piena prova di responsabilità personale;
  3. ancora, la confisca non può mai essere convertita in una misura che comporta una privazione della libertà, che è un’altra caratteristica importante delle pene pecuniarie;
  4. la confisca è inoltre espressione di un crescente consenso internazionale circa l’impiego di misure simili per rimuovere i beni di origine illecita dalla circolazione economica, con o senza una precedente condanna penale;

Quanto allo scopo della confisca, la Corte osserva che essa ha subito modifiche significative a seguito delle riforme legislative del 2008-2009. Nella sua formulazione attuale, ripete la Corte, la confisca non richiede l’accertamento del “pericolo attuale” per la società rappresentato dalla probabilità che la persona commetta ulteriori reati, che la misura in esame dovrebbe prevenire. Mentre infatti, nella sua formulazione originaria, era basata su una valutazione prognostica relativa al rischio che in futuro venissero commessi ulteriori reati, nella sua formulazione attuale, al contrario, la misura si basa su una valutazione diagnostica (proiettata verso il passato): le autorità nazionali devono accertare se, durante un determinato periodo di tempo, l’individuo in questione abbia presuntivamente commesso delitti e se, durante tale periodo, abbia acquisito beni la cui origine lecita non può essere dimostrata.

Pertanto, indipendentemente dalla sua caratterizzazione formale nel sistema giuridico interno – quale “misura di prevenzione” – la misura non ha più una funzione preventiva in senso stretto.

La confisca conserva, invece, uno scopo preventivo solo in senso generale, che risiede nell’effetto deterrente legato al messaggio che la confisca è in grado di lanciare, e cioè che il crimine non paga.

Tale effetto, osserva la Corte, non è però determinante per individuare la natura della confisca in esame, trattandosi di finalità coerente tanto con uno scopo punitivo quanto con una natura differente.

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Elemento dirimente, secondo la Corte, per individuare la natura non punitiva della confisca è, invece, il suo scopo ripristinatorio (§ 126-133).

La Corte osserva che la misura in questione, come risultante dalle modifiche legislative del 2008-2009 e dalle chiarificazioni fornite dalla successiva giurisprudenza interna, presenta diversi elementi che la rendono più comparabile alle misure (civili) volte ad impedire l’arricchimento ingiustificato, piuttosto che alle sanzioni di natura penale.

Come riconosciuto anche dalla giurisprudenza interna, infatti, l’obiettivo della misura è comunque rimuovere dalla circolazione economica beni acquisiti da un individuo illecitamente: l’attenzione della misura, in questo senso, è nei confronti del bene e non della persona, così come del resto è reso evidente dal fatto che la confisca, a certe condizioni, può essere disposta anche nei confronti di beni appartenenti a terzi che li abbiano ereditati o acquistati.

In secondo luogo, la Corte attribuisce particolare importanza al fatto che la confisca in questione possa essere applicata esclusivamente nei confronti di beni di presunta origine illecita con la finalità di impedire l’arricchimento ingiusto.

A tal riguardo i giudici di Strasburgo rammentano altresì l’importanza di due requisiti non scritti elaborati dalla giurisprudenza:

– uno è quello della c.d. correlazione temporale, secondo cui la misura può essere applicata solo nei confronti di beni acquisiti dall’individuo durante il periodo in cui avrebbe presumibilmente commesso reati comportanti profitti illeciti;

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– l’altro è quello elaborato dalla Corte Costituzionale nella già citata sentenza n. 24 del 2019, in forza del quale la misura è giustificata solo nella misura in cui i reati presumibilmente commessi dall’individuo in questione siano fonte di profitti illeciti, per un importo ragionevolmente congruo con il valore dei beni da confiscare.

A queste condizioni, a parere della Corte, limitando gli effetti della confisca ai profitti illeciti derivanti dai reati presumibilmente commessi dall’individuo può escludersi la natura punitiva dell’istituto, il quale può invece assumere connotati sanzionatori laddove attinga il prodotto del reato (come peraltro affermato da Corte cost. n. 112/2019).

Alla luce di tutte queste considerazioni, la Corte conclude che, per come formulata attualmente, la confisca mira a garantire che il crimine non paghi e a prevenire l’arricchimento ingiusto, privando l’individuo interessato e i terzi che non abbiano un valido diritto sui beni da confiscare dei profitti derivanti da attività criminali, ed è, di conseguenza, essenzialmente di natura ripristinatoria e non punitiva[7].

 

5.4.La severità della misura (§ 135-137)”. La Corte si confronta poi con il requisito della severità della misura, riconoscendo che la confisca indiscutibilmente interferisce gravemente con il diritto di proprietà e potrebbe quindi essere considerata una misura di relativa severità.

Tuttavia, questa circostanza da sola non è ritenuta sufficiente, alla luce delle precedenti considerazioni, per concludere che la misura abbia natura punitiva ai sensi dell’art. 7 CEDU, tenuto conto che molte misure non penali di natura preventiva possono avere un impatto rilevante sulla persona interessata (sul punto la Corte richiama le pronunce Balsamo, § 64, Del Río Prada, § 82 e Ilnseher, § 203).

 

5.5.Procedure per l’adozione e l’esecuzione della misura di confisca (§ 138-139). Infine, per quanto riguarda l’aspetto più strettamente procedimentale, la Corte osserva che non è decisivo il fatto che la confisca sia disposta da sezioni specializzate dei tribunali penali, essendo del tutto fisiologico che giudici penali adottino provvedimenti di natura anche non penale come avviene, ad esempio, con le statuizioni civili nei confronti della persona danneggiata dal reato. Inoltre, va considerato che la misura in questione viene adottata nel contesto di un procedimento speciale, diverso e distinto dal procedimento penale, che è appunto il c.d. procedimento di prevenzione.

 

In conclusione, non essendo la confisca di prevenzione equiparabile a una sanzione penale, l’invocato art. 7 CEDU è dichiarato inapplicabile ratione materiae e il relativo ricorso dichiarato inammissibile.

 

6. L’inapplicabilità dell’art. 6 § 2 CEDU (presunzione di innocenza). Tra le doglianze del primo, terzo e quarto ricorrente vi era anche quella legata a una asserita violazione della presunzione di innocenza garantita dall’art. 6 § 2 della Convenzione, fondata sull’assunto di essere stati ritenuti responsabili per reati presuntivamente commessi dal secondo ricorrente e non da loro.

Sul punto, l’argomentazione dei giudici di Strasburgo, coerentemente con le premesse, è particolarmente sintetica: posto che si è già spiegato che la confisca non può essere considerata una pena ai sensi dell’art. 7, per ragioni di coerenza nell’interpretazione della Convenzione letta nel suo complesso, la Corte ritiene che il procedimento in questione non abbia comportato la determinazione di una “accusa penale” ai sensi dell’art. 6 della Convenzione.

Del resto, osservano i giudici europei, i ricorrenti avevano lamentato solo la violazione del c.d. primo aspetto insito nell’art. 6 § 2, attinente alla presunzione di innocenza, che a sua volta impone il rispetto di requisiti riguardanti, tra l’altro, l’onere della prova, le presunzioni legali di fatto e di diritto, il diritto di non auto-incriminarsi, la pubblicità pre-processuale e il diritto a che non vi siano premature dichiarazioni di colpevolezza da parte del tribunale o di altri funzionari pubblici.

Non era stata invece lamentata la violazione del secondo aspetto insito nella medesima disposizione convenzionale, in forza del quale chi è stato destinatario di un provvedimento di assoluzione o archiviazione non può essere trattato, sotto diversi profili, come colpevole.

 

7. L’inapplicabilità dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU (ne bis in idem). Il secondo ricorrente, invece, aveva lamentato una violazione del diritto al ne bis in idem previsto dall’art. 4 Prot. Add. CEDU, in quanto – come anticipato – lo stesso era stato già destinatario di una proposta di applicazione di una misura di prevenzione personale, precedentemente rigettata. Tuttavia, le considerazioni precedenti circa la natura non punitiva della misura in questione conducono la Corte a ritenere che non possa in alcun modo affermarsi che la persona sia stata «giudicata o punita nuovamente in procedimenti penali» ai sensi di tale disposizione, di cui parimenti afferma l’inapplicabilità ratione materiae.

 

* * *

8. La decisione in commento assume senz’altro grande importanza sia nel nostro ordinamento sia nel contesto europeo in cui si inserisce. Non è infatti secondario rammentare che, proprio di recente, il sistema italiano della confisca di prevenzione è stato assunto come ‘modello’ dal legislatore europeo nell’ambito dell’Unione, con l’adozione della nuova Direttiva 1265/2024/UE[8]. L’odierna decisione rappresenta dunque un arresto per certi versi rassicurante circa la conformità di tale modello di non-conviction based confiscation, non solo rispetto alle istanze efficientistiche nel contrasto della criminalità economica nell’ambito unionale, ma anche rispetto ai canoni garantistici convenzionali, pur con alcune opportune precisazioni che si cercherà di mettere sinteticamente in luce.

Al contempo, l’odierna pronuncia perviene proprio durante l’attesa della decisione di un altro delicato caso portato all’attenzione dei giudici di Strasburgo: quello oggetto del ricorso “Cavallotti c. Italia”, in cui dovrà essere affrontato – tra gli altri – il delicato tema della ammissibilità di esiti divergenti tra processo penale e di prevenzione, potendo il secondo concludersi con l’applicazione della misura anche a fronte di un’assoluzione nel merito in sede penale[9].

Inoltre, la decisione giunge a breve distanza di tempo da un’ulteriore pronuncia – “Episcopo e Bassani c. Italia” del 19 dicembre 2024 – in materia di confisca, in quel caso non “di prevenzione”, bensì disposta in sede penale e avente ad oggetto il profitto del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640 bis c.p. Tale pronuncia, pur muovendo da premesse teoriche non dissimili da quelle odierne, ha riscontrato tuttavia una violazione dell’art. 6 § 2 CEDU e 1 Prot. add. CEDU. In estrema sintesi – e rinviando ad altra sede più approfonditi commenti – può infatti rilevarsi che anche in quel caso la Corte ha riconosciuto alla confisca del profitto natura ripristinatoria, affermando che essa è maggiormente assimilabile agli istituti civilistici restitutori volti ad evitare l’ingiusto arricchimento piuttosto che alle sanzioni penali[10]. Per tale motivo, anche in quell’occasione ha riconosciuto che essa non va considerata una “pena” ai sensi dell’art. 7 CEDU, che risulta di conseguenza inapplicabile ratione materiae. Nondimeno, la Corte ha rinvenuto una violazione dell’art. 6 § 2 CEDU, sotto il “secondo aspetto” di cui si è detto sopra, e cioè quello in forza del quale chi è stato destinatario di un provvedimento di proscioglimento non può essere trattato, sotto diversi profili, come colpevole. La Corte (sebbene non all’unanimità e con un’ampia e argomentata dissenting opinion del giudice Sabato[11]) ha ritenuto in quel caso di specie violato il diritto alla presunzione di innocenza, in quanto il provvedimento con cui al ricorrente era stata applicata dalla Corte d’appello la confisca nonostante l’imputato fosse stato prosciolto per intervenuta prescrizione del reato, risultava fondato e motivato sulla scorta della sua sostanziale responsabilità penale, già affermata nella sentenza di primo grado e non successivamente smentita (conformemente a quanto statuito dalle Sezioni Unite “Lucci” della Corte di Cassazione nel 2015, e poi di fatto codificato nell’art. 578-bis c.p.p.).

 

9. I moti di assestamento della giurisprudenza europea in tema di confisca, lato sensu “senza condanna”, sono dunque ancora in corso. I più recenti sviluppi a cui si è fatto cenno evidenziano ad ogni modo la tendenza a non equiparare le confische dei proventi delittuosi alle pene, in particolare sul piano funzionale, in quanto aventi uno scopo ripristinatorio antitetico rispetto a quello punitivo. Questo assunto – con il quale ci troviamo in linea di principio pienamente d’accordo – presuppone tuttavia di impegnarsi in uno sforzo non indifferente nel senso di assicurare che l’applicazione concreta di siffatte misure ablatorie avvenga in modo coerente con la funzione che le si assegna. Occorre cioè fare in modo che la misura abbia l’effetto di rimuovere dal patrimonio della persona beni di valore non superiore, e quanto più possibile corrispondente, a quanto quel patrimonio si è arricchito illecitamente attraverso la commissione di condotte criminose.

Come in altre sedi abbiamo già avuto modo di osservare, per giungere a tale risultato, sarebbero senz’altro opportuni alcuni interventi sull’assetto attualmente vigente, in particolare su quello della confisca “di prevenzione”[12]. Interventi in parte già possibili de iure condito, attraverso l’adozione di interpretazioni giurisprudenziali coerenti con la ratio della misura e orientate al rispetto dello statuto garantistico costituzionale e convenzionale che la circonda, ma in altra parte necessitanti di un intervento normativo di riforma.

Non è certo questa la sede per approfondire ciascuno di tali aspetti, ma può essere utile farvi qualche breve cenno.

Ad esempio, quanto al piano meramente interpretativo dell’assetto vigente, è importante che si dia adeguato rilievo al requisito (non scritto, ma elaborato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019), in forza del quale deve essere assicurata una “ragionevole congruenza tra profitti illeciti e valore dei beni confiscabili”, funzionale a limitare la possibilità di una sconfinata estensione della confisca a tutto il patrimonio sproporzionato della persona. Il riferimento alla sproporzione patrimoniale presente negli artt. 20 e 24 d.lgs 159/2011 non andrebbe letto come l’oggetto della confisca, bensì come una indicazione di carattere processuale-probatorio: la sproporzione dovrebbe unicamente fungere da indizio che, unito agli ulteriori indizi rappresentati dalla mancata giustificazione della provenienza e dalla commissione di una delle fattispecie-presupposto (c.d. fattispecie di pericolosità), permette di svolgere il ragionamento inferenziale che conduce alla prova (indiretta) della provenienza criminosa dell’arricchimento illecito che la misura intende colpire. Si tratta, del resto, di una confisca “per sproporzione” e non “della sproporzione”.

Se, da un lato, proprio nell’agevolazione probatoria che caratterizza questo strumento di confisca risiede la sua spiccata efficacia nel campo del contrasto patrimoniale alla criminalità economica, dall’altro, rimane però ad oggi non sufficientemente precisato quale sia lo standard probatorio richiesto. Senz’altro insoddisfacente è l’ambiguo riferimento legislativo a non meglio precisati “indizi” o “elementi di fatto”, né la giurisprudenza di legittimità è ancora riuscita a delineare in modo sufficientemente preciso quale livello di convincimento sia richiesto al giudice della prevenzione. Inferiore a quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio operante in sede penale, ma superiore a quello civilistico del “più probabile che non”: in positivo, occorrerebbe individuare una formula che fornisca un riferimento certo, per assicurare maggiore prevedibilità alle decisioni (come negli Stati Uniti si è almeno tentato di fare in relazione alla civil forfeiture sin dal 2000 con il Civil Asset Forfeiture Reform Act, adottando lo standard del clear and convincing evidence).

Ulteriore intervento che assicurerebbe all’istituto maggiore coerenza rispetto alla funzione che le si assegna sarebbe quello di prevedere espressamente il divieto di duplicazioni nell’apprensione dell’arricchimento illecito, considerando sempre sussidiaria la confisca (anche di prevenzione) rispetto ad altre conseguenze dell’illecito previste dall’ordinamento, siano anche esse prestazioni restitutorie o risarcitorie, che abbiano comunque, ancorché indirettamente, avuto l’effetto di rendere non lucrativo il fatto illecito.

Infine, non secondario sarebbe rimodulare i c.d. presupposti soggettivi della confisca di prevenzione, mediante l’enumerazione dei tipi di delitti cui può conseguire la confisca e la loro individuazione espressa, nel rispetto del principio di legalità, selezionando unicamente fattispecie tipicamente produttive di ingenti profitti illeciti[13], nel rispetto del principio di ragionevolezza e proporzione, a tal fine scindendo una volta per tutte le fattispecie-presupposto delle misure di prevenzione patrimoniali da quelle relative alle misure di prevenzione personali, con le quali il sequestro e la confisca non hanno ormai davvero nulla a che spartire.

 

 

 

 

[1] C.edu, sez. II, sent. 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia, § 40-51.

[2] C.edu, sent. 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, § 30.

[3] Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, con nota, tra gli altri, di Basile F., Mariani E., La dichiarazione di incostituzionalità della fattispecie preventiva dei soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi”: questioni aperte in tema di pericolosità, in DisCrimen, 2019; Grasso G., Le misure di prevenzione personali e patrimoniali nel sistema costituzionale, in Sist. pen., 14 febbraio 2020; Maiello V., La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. cost., fasc. 1/2019, p. 332; Id., Gli adeguamenti della prevenzione “ante delictum” nelle sentenze costituzionali nn. 24 e 25, in Dir. pen. e proc., 2020, fasc. 1, p. 107 ss; Manna A., La natura giuridica delle misure di prevenzione tra diritto amministrativo e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2020, p. 1064 ss.; Maugeri A. M.-Pinto de Albuquerque P., La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria (C. cost. 24/2019), in Sist. pen., 29 novembre 2019; Mazzacuva Fr., L’uno due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 987 ss.; Pelissero M., Le misure di prevenzione, in DisCrimen, 13 febbraio 2020; Della Ragione L., Le misure di prevenzione nello specchio del volto costituzionale del sistema penale, in DisCrimen, 20 aprile 2020; e, volendo, di Finocchiaro S., Due pronunce della corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza de Tommaso della Corte Edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019

[4] Direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024 riguardante il recupero e la confisca dei beni, già segnalata su questa Rivista. Per un commento al riguardo, cfr. anche, A.M. Maugeri, La nuova direttiva 2024/1260 per il recupero e la confisca dei beni: un complessivo sforzo di armonizzazione per la lotta al crimine organizzato e all’infiltrazione criminale nell’economia, in questa Rivista, 30 dicembre 2024.

[5] Cass. pen., sez. V, 13 novembre 2012 (dep. 25 marzo 2013), n. 14044, Occhipinti, con nota – ex multis – di Maugeri A. M., La confisca misura di prevenzione ha natura “oggettivamente sanzionatoria” e si applica il principio di irretroattività: una sentenza “storica”?, in Dir. pen. cont., Riv. trim., n. 4/2013, p. 353 ss.; di in Cortesi M. F., La Cassazione riconosce alle misure di prevenzione patrimoniali una natura “oggettivamente sanzionatoria”, in Dir. pen. proc., 2014, p. 37 ss.; e di CALÒ, In tema di misura di prevenzione patrimoniale, in Foro it., 2013, II, p. 530 ss.

[6] Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), n. 4880, Pres. Santacroce, Rel. Bruno, Ric. Spinelli, con nota – tra gli altri – di Maiello V., La confisca di prevenzione dinanzi alle Sezioni Unite: natura e garanzie, in Dir. pen. proc., 2015, p. 722 ss.; e di Cisterna A., La confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione continua a essere assimilata alle misure di sicurezza, in Guida dir., n. 18/2015, p. 76; e di Maugeri A. M., Una parola definitiva sulla natura della confisca di prevenzione? Dalle Sezioni Unite Spinelli alla sentenza Gogitizde della Corte EDU sul civil forfeiture (in relazione alla confisca di prevenzione), in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 945; e di Mazzacuva Fr., Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione: un’altra occasione persa per un chiarimento sulle reali finalità della misura, in Dir. pen. cont., Riv. Trim., n. 4/2015; nonché di Di Lello Finuoli M., «Tutto cambia per restare infine uguale». Le Sezioni Unite confermano la natura preventiva della confisca ante delictum, in Cass. pen., 2015, p. 3520 ss.

[7] Così testualmente la Corte al § 134 della decisione, nella versione originale inglese: «Thus, as currently formulated, the confiscation order was intended to ensure that crime does not pay and to prevent unjust enrichment, by depriving the individual concerned and third parties not having a valid claim over the property to be confiscated of the profits of criminal activities, and was, accordingly, essentially of a restorative and not punitive nature (see, for example, Ulemek, cited above, § 50)».

[10] Ai § 73 e 74 si afferma: “73.  As regards the nature and purpose of the measure, the Court notes that the confiscation affected assets that were considered to directly derive from the commission of criminal offences. As such, its main purpose appears to have been that of depriving the applicants of the profits of their crimes. 74.  The Court further observes that the measure in question has certain elements that render it more comparable to the restitution of unjustified enrichment under civil law than to a fine under criminal law”.

[11] Sebbene sia formalmente una “partially dissenting opinion” il giudice stesso precisa come il suo dissenso sia in realtà radicale: “As my approach diverges radically from that of the majority, although I am expressing what is technically a “partly” dissenting opinion, my dissent is, practically speaking, total”.

[12] Sia qui consentito un rinvio a quanto espresso in Finocchiaro S., Confisca di prevenzione e civil forfeiture. Alla ricerca di un modello sostenibile di confisca senza condanna, Giuffré, Milano, 2022, in particolare da p. 391 ss.

[13] In questo senso depone peraltro la sentenza 13 luglio 2021, Todorov e altri c. Bulgaria, citata anche nella decisione qui in commento.



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