Nuovo Codice della strada con regole più rigorose, cambiamento delle abitudini dei giovani, restrizioni per motivi religiosi, allarmi sulla salute: non è solo il mondo del vino ad essere seriamente preoccupato del calo di consumo, ma tutto l’indotto. Le associazioni dei ristoratori parlano di crollo delle vendite del 50% già nel giorno di capodanno. «Da me – dichiara, per esempio, “Giorgione” Barchiesi, notissimo volto di Gambero Rosso Tv e ristoratore in Umbria – in pochi giorni la vendita di vino si è più che dimezzata: si è “trimezzata”! I clienti non bevono o, come è successo, prendono una bottiglia in 18».
Una risposta – seppure parziale – al problema potrebbe adesso venire dai vini dealcolati. Perché, finalmente, l’Italia può iniziare a produrli, dopo il divieto che costringeva le cantine italiane a far produrre all’estero questa tipologia di vino per poi rivederla qui. Nel resto d’Europa la normativa definisce vino analcolico quello con un tasso di alcol non superiore a 0,5%; parzialmente dealcolato se tra 0,5% e 9% (in Italia 8,5%).
I PROSSIMI PASSI
A questo punto per superare il vuoto normativo e far cadere un tabù, manca solo la registrazione presso gli organi di controllo del decreto firmato alla vigilia di Natale dal ministro Francesco Lollobrigida. «È possibile – specifica il documento – ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico dei vini, dei vini spumanti, dei vini spumanti di qualità, dei vini spumanti di qualità di tipo aromatico, dei vini spumanti gassificati, dei vini frizzanti e dei vini frizzanti gassificati». Il divieto resterà solo per le Doc e le Igp.
Il via libera alla produzione spingerà le cantine ad aprirsi a un mercato che nel resto del mondo fa già numeri di tutto rispetto (12 miliardi di dollari) e che, secondo l’istituto di ricerca inglese Iwsr, dovrebbe sfiorare i 70 miliardi nel 2030.
L’Unione Italiana Vini riferisce di altre previsioni che indicano già in questo 2025 un giro d’affari mondiale di 30 miliardi. A dimostrazione dell’interesse dei big mondiali, il recente ingresso nel settore dei vini “NoLo” (no alcohol e low alcohol) di Moet Hennessy che ha presentato la sua prima cuvée dealcolata e della la multinazionale inglese Diageo che ha acquistato un’azienda americana produttrice di drink e cocktail pronti non alcolici.
Di svolta storica parlano i produttori italiani perché viene finalmente aggredito un mercato definito da Paolo Castelletti, direttore generale di Uiv, «in crescita e sempre più vivace, che solo in Italia conta il 36% di consumatori maggiorenni sober curious». Definizione, quest’ultima, che descrive persone che amano consumare moderatamente l’alcol. L’arrivo dei vini non scandalizza neanche la “nobiltà” dell’enologia italiana.
«Queste tipologie di prodotto – ha dichiarato Pietro Antinori – possono incontrare nuove fette di consumatori e rappresentare un primo passo nel percorso di avvicinamento al vino vero. Non vanno demonizzati, quindi, ma considerati un’ulteriore freccia all’arco del vino italiano». «Continueremo – precisa la presidente di Federvini Micaela Pallini – a lavorare per valorizzare la tradizione e il patrimonio enologico italiano anche attraverso l’introduzione di nuovi prodotti capaci di rispondere alle esigenze di un pubblico, soprattutto internazionale, sempre più attento e diversificato».
LE STRATEGIE
Pallini punta sulla diversificazione anche nella sua distilleria di Roma, tanto da aver lanciato un limoncello senza alcol. «Siamo stati i primi a farlo – racconta la presidente della società – abbracciando il nostro classico gusto di limoncello (il secondo più venduto al mondo), ma con zero alcool, preparato con infuso di limone di Amalfi, senza glutine e nessun colorante artificiale».
Non si trattava però di vino, come per la Birra Peroni che ha investito 5 milioni di euro nello stabilimento di via Birolli a Roma per adeguare le linee produttive ai nuovi prodotti. Due esempi che pongono la Capitale all’avanguardia per i dealcolati. Intanto, potranno tornare a produrre direttamente in Italia aziende come Argea, Hofstatter, Mionetto, Schenk, Zonin, costrette a rivolgersi ai concorrenti francesi e tedeschi per produrre con i propri marchi i vini dealcolati.
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