Ormai è cosa risaputa che le grandi piattaforme di social media hanno completamente cambiato le loro strategie rispetto alla questione delle fake news e della disinformazione.
Quasi tutti i social network hanno apportato o stanno apportando significative modifiche sia alle proprie linee guida interne, sia alle regole di utilizzo, ma soprattutto ai propri algoritmi di verifica e controllo dei post e del materiale che gli utenti caricano ogni giorno.
Ovviamente partendo dal proprio paese di origine, quasi sempre gli Stati Uniti, e via via in tutti gli altri paesi in cui operano, sebbene in questi ultimi gli effetti potrebbero non essere ancora del tutto visibili, come ad esempio in Italia.
Ma le regole della sede centrale alla fine si applicano quasi completamente in ogni stato da cui è accessibile la piattaforma.
L’inefficacia dei sistemi di controllo
Nell’epoca d’oro delle grandi polemiche sulle fake news, sulla disinformazione, sui contenuti falsi circolanti ovunque e veicolati in grande quantità proprio sui social network, ogni big tech ha cercato di cavalcare l’onda mediatica introducendo sistemi automatici di controllo, revisioni manuali fatte da umani, regole stringenti e via discorrendo. A mio modo di vedere, erano più comunicati stampa e dichiarazioni a investitori e utenti, che vere azioni tangibili. E dico questo perché non ho mai visto dei veri cambiamenti nei miei feed su uno qualsiasi dei social che frequento, piccolo o grande. Le bufale hanno continuato a girare indisturbate, spesso anche spinte dall’algoritmo che ne pompava la reach seguendo il trend delle interazioni, così più interazioni significavano più esposizione e più esposizione significava più interazioni.
L’illusione del fact checking
Ricordo i grandi proclami di Facebook sul famoso programma di fact checking, che sebbene fosse formato da realtà e persone di buona volontà, non è mai riuscito ad arginare granché, e come ho detto sopra le fake news non sono mai diminuite. Anzi, con l’avvento dell’intelligenza artificiale si sono pure moltiplicate come un virus, invadendo ogni feed con post su qualsiasi argomento, dal gatto che eredita miliardi alla morte del vip di turno. E non voglio entrare nel merito di tutto il mondo crypto e dei facili guadagni.
Solo strategie di comunicazione e marketing?
Questo lungo preambolo per dire che secondo il sottoscritto, sono state tutte ottime strategie di comunicazione e di marketing per cercare la simpatia degli utenti, esasperati dalla enorme mole di rifiuti digitali che da troppo tempo infarcivano il feed delle grandi piattaforme sociali.
Sebbene gli interventi fossero reali e in qualche modo i programmi fossero stati attivati, i risultati non credo si siano mai realmente visti. Ma i titoloni dei giornali su questo o quell’intervento, oppure su quanti post avesse rimosso una piattaforma nell’anno precedente, sono stati molti e in prima pagina. Ergo, la comunicazione è di sicuro stata efficace, il traguardo è rimasto lontanissimo.
Le metodologie che le piattaforme hanno messo, o detto di aver messo, in atto sono state molteplici e di vario genere: avvisi sotto forma di etichette informative, link a fonti affidabili per confutare il contenuto del post, team di fact checker in diversi paesi, algoritmi dal delete facile, e così via. Ma anche automatismi di ban basati su calcoli oscuri che han fatto danni, con celebri pagine satiriche chiuse senza preavviso che poi hanno dovuto lavorare sodo per far capire al padrone del vapore che i post erano satira e non fake news, perché il divertimento era proprio quello di scrivere notizie dichiaratamente false.
A questo punto è lecito pensare che non si apprezzeranno cambiamenti sul feed dell’italiano medio, nemmeno ora che la presunta “libertà di parola” è stata ripristinata, per dirla come la raccontano le piattaforme. Non si è notato nulla quando i sistemi anti fake news erano super attivi, figuriamoci ora che non dovrebbero più esserci, se non in modo blando e in determinate occasioni.
Il ruolo dell’utente nel contrasto alle fake news
Da qui, il ragionamento che l’unico elemento che doveva essere coinvolto per combattere le fake news non è mai stato nemmeno lontanamente preso in considerazione, vale a dire l’essere umano, anzi, per dirla meglio, l’utente umano. Dalla mia esperienza puoi combattere una stortura della rete solo attraverso chi quella stortura la vive o la subisce, spesso senza nemmeno rendersene conto.
La curiosità e le trappole digitali
L’essere umano è “programmato” per cascare nelle trappole, che oggi sono soprattutto digitali, la nostra curiosità è un tratto distintivo, che è vero ci ha portato alle grandi scoperte e ci fa progredire, ma nel lato pratico di tutti i giorni, ci fa cadere nei tranelli. Se alla curiosità ci aggiungiamo l’imbarbarimento della società, con la voglia, la necessità, di combattere contro qualcosa o qualcuno, lo spirito battagliero che delinea questa nostra epoca, la necessità impellente di esistere e apparire e la dopante sensazione di godimento che traiamo da un like, il gioco è fatto. Ogni singola persona che vivacchia sui social prima o poi vorrà ricevere un apprezzamento e se non ci riesce si accontenterà di essere notato anche negativamente, magari perché riesce ad accendere un flame e a sfogare le sue frustrazioni fra un insulto e un “tu non sai chi sono io”.
La postura difensiva sui social
Questo porta a una considerazione che deve divenire primaria nella vita da social, ogni utente deve tenere una postura difensiva. Così come nella cybersicurezza la postura deve tendere alla protezione assoluta, così la postura della frequentazione dei social deve tendere al dubbio. Secondo il mio punto di vista ogni utente quando scrolla beatamente un social deve partire dal presupposto che “tutto quello che vediamo sui social è falso”, ovviamente parlando di notizie e materiale correlato, e se non è falso quantomeno è artificioso. Da quel pensiero, poi, si inizia a valutare se quanto è davanti agli occhi ha un minimo di senso logico o quantomeno una base realisticamente plausibile. E si risale passo passo con una analisi sempre più approfondita. Soprattutto quando si incontrano notizie che stimolano proprio la parte più battagliera di noi.
Se un post riporta una notizia clamorosa, che è esattamente quello “che ho sempre pensato”, che ci dà una scarica di emozioni forti, che ci fa pensare che abbiamo fatto la scoperta del secolo, ecco, probabilmente è completamente falsa, o appena appena verosimile. Proprio in quel momento, l’ultima cosa da fare è condividerla, mettere like o scrivere un commento.
Dubbi e riflessioni prima dell’azione
Ognuna di queste tre azioni farà sì che l’algoritmo non solo continui a mostrarmi materiale di quel tipo, ma addirittura inizierà a moltiplicare i contenuti di quel genere nel feed. E la cosa ricomincia, più interazioni ha un post e più avrà visibilità e noi con il nostro comportamento saremo responsabili della diffusione di quel contenuto, sebbene falso o alterato artificiosamente.
Il mantra della difesa dalle fake news
Durante le conferenze non mi stanco mai di ripetere il mantra “quello che leggiamo sui social è falso” ed è il punto di partenza da cui poi cominciare ogni volta che ci imbattiamo in un contenuto allettante, attraente e magnetico. Solo tenendo la corretta postura durante tutto il tempo dedicato alle piattaforme social, potremo mettere al riparo noi stessi dalle fake news, e contestualmente divenire un anello della catena di protezione degli altri.
Il dubbio come elemento chiave della giusta “postura da social”
La giusta “postura da social” è composta di diversi elementi e uno imprescindibile è il dubbio, così come un tempo al bar ascoltavamo i discorsi dell’esaltato di turno dubitando di ogni sua parola, oggi dobbiamo fare lo stesso quando fruiamo dei contenuti online. Dubitare di quello che leggiamo e della reazione della nostra mente, dovrebbe divenire una normalità, un automatismo simile alla circospezione che abbiamo quando camminiamo in una strada deserta la notte. Anche il “fermarsi e respirare” prima di intraprendere una azione, un click, una condivisione è un elemento chiave, la fretta e l’entusiasmo sono sempre cattivi consiglieri. Tornando all’esempio del bar di prima, quando ascoltavamo le parole del tizio di cui sopra, non correvamo subito a gridare ai quattro venti la super notizia sentita davanti al caffè, ma ci prendevamo il tempo di ragionare su quanto fosse plausibile. Così dobbiamo fare oggi, davanti a un post.
L’importanza della cultura digitale
Certamente trovare la giusta postura e mantenerla non è una cosa facile, necessita di tempo e soprattutto di impegno, cosa che non vorremmo dover metterci quando “perdiamo tempo” su di un social, ma è oramai imperativo che questo avvenga. Non possiamo più far finta di nulla e cadere in un tranello dopo l’altro per pigrizia mentale. È necessario tenere acceso il cervello anche nell’attività più semplice del mondo: scrollare col pollice davanti ad uno schermo.
Tutto questo si incastona perfettamente nel concetto di cultura digitale, che purtroppo nel nostro paese latita. Io auspico che assieme alla cultura con la C maiuscola, via via diventi sempre più normale sentir parlare di cultura digitale, a tutti i livelli, senza relegarla a “roba da informatici”. Deve partire già in famiglia, per poi arrivare nelle scuole e via via divenire argomento di discussione fino ai più alti livelli istituzionali.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link