Separazione e divorzio: quando l’assegno può essere ridotto o revocato | Catania – Avvocato Civile

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MASSIMA Cass., Sez. I, Ordinanza n. 3554/2025 a cura di Avv. Graziella Sangrigoli, Foro di Catania esperta in separazioni e divorzi

MATRIMONIO E FAMIGLIA – ASSEGNO DIVORZILE – REVISIONE – ONERE DELLA PROVA – CIRCOSTANZE GIÀ VALUTATE ALL’ATTO DEL DIVORZIO – ESCLUSIONE DELLA SOPRAVVENIENZA

«In tema di revisione dell’assegno divorzile, la parte che ne chiede la riduzione o la revoca è tenuta a fornire la prova di una “variazione in melius” delle condizioni economiche del beneficiario, intervenuta dopo la statuizione sul divorzio. Non integra un fatto nuovo la constatazione della mera redditività di beni immobiliari o liquidità già valutati, in quanto trasferiti al coniuge beneficiario in sede di divorzio».

Riferimenti normativi:

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

  • Legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 (oggi art. 473-bis, n. 29, c.p.c.)
  • Cass., Sez. I, Ordinanza n. 3554/2025

ARTICOLO su Cass., Sez. I, Ordinanza n. 3554/2025 a cura di Avv. Graziella Sangrigoli, Foro di Catania esperta in separazioni e divorzi

1. La vicenda processuale

La controversia prende le mosse dalla domanda proposta da A.A., medico odontoiatra, il quale, rivolgendosi al Tribunale di Arezzo, chiedeva la modifica delle condizioni di divorzio stabilite con sentenza n. 875/2017. In quel provvedimento, infatti, era stato posto a suo carico, in favore dell’ex moglie B.B., un assegno divorzile di importo pari a 1.700 Euro mensili, oltre alla rivalutazione annuale. L’ex marito mirava a ottenere la revoca dell’assegno, e invocava altresì la restituzione di quanto già versato in forza della medesima statuizione (a decorrere da gennaio 2017). Contestava inoltre la validità di tutte le disposizioni patrimoniali che, dall’epoca della separazione e del successivo divorzio consensuale, erano state concordate in favore dell’ex coniuge, comprensive di rilevanti trasferimenti immobiliari e somme di denaro.
La base storica del rapporto matrimoniale tra i due risaliva al 1991, con successiva separazione consensuale nel 2013 e divorzio congiunto nel 2017, con un impianto economico-patrimoniale già definito in favore della moglie. Il Tribunale di Arezzo, adito dall’ex marito, rigettava la richiesta di revisione, negando la sussistenza di fatti sopravvenuti, e condannava A.A. alle spese.

Tale decisione veniva poi reclamata dinanzi alla Corte di Appello di Firenze, che confermava l’orientamento del giudice di primo grado. Avverso la pronuncia d’appello, A.A. ricorreva in sede di legittimità, lamentando, fra l’altro, il mancato adeguamento del giudice del reclamo ai principi enunciati dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 18287/2018), con particolare riferimento alla funzione assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno divorzile. Emergeva, infatti, a dire del ricorrente, che l’ex moglie aveva beneficiato di ingenti trasferimenti di immobili, nonché di liquidità di rilevante entità; e che, pertanto, la sua condizione economica si sarebbe modificata in melius, rendendo superfluo o quantomeno non più attuale l’assegno divorzile. L’interessato insisteva inoltre per dimostrare che l’ex coniuge non avesse più diritto a continuare a percepire l’assegno, in considerazione del tempo trascorso e della asserita possibilità per lei di svolgere attività lavorativa (possibilità, secondo il ricorrente, disattesa esclusivamente per inerzia). Infine, egli adduceva l’esistenza di una relazione sentimentale di B.B. come presunto motivo per la revoca dell’assegno.

2. La ratio decidendi della Cassazione

La Suprema Corte, con la richiamata ordinanza n. 3554/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso. La ratio si individua sostanzialmente nella mancanza di circostanze sopravvenute tali da incidere significativamente sull’assetto economico dei coniugi definito al momento del divorzio. L’art. 9 della legge n. 898/1970 – la cui vigenza è poi proseguita nella sostanza, seppur con le modifiche introdotte dal nuovo art. 473-bis, n. 29, c.p.c. – richiede espressamente la prova di fatti nuovi, ulteriori e rilevanti, verificatisi dopo la sentenza divorzile, che incidano sull’equilibrio economico delle parti. In difetto di tali presupposti, non è concesso al giudice operare una rivalutazione integrale e autonoma dei presupposti e dell’importo dell’assegno.

La Corte di Cassazione sottolinea come, nel caso di specie, le doglianze di A.A. mirassero in realtà a una generale riconsiderazione del merito, lamentando l’erroneità del giudizio compiuto in sede divorzile, pur senza indicare un’evoluzione concreta (ad esempio, un sopravvenuto incremento dei redditi dell’ex moglie derivante da nuove iniziative lavorative, nuove attività imprenditoriali o simili). In particolare, la Corte pone l’accento sul fatto che i trasferimenti immobiliari e le somme di denaro destinati alla ex moglie in sede di separazione e divorzio erano già stati esaminati dai giudici, nel comporre l’assetto patrimoniale conseguente allo scioglimento del matrimonio. Non può dunque parlarsi di una circostanza “nuova”, semplicemente perché l’ex marito, a distanza di tempo, contesta la medesima situazione già nota al momento in cui l’assegno fu determinato. Analogamente, per quanto concerne la potenzialità lavorativa o la pretesa convivenza di fatto della controparte, la Cassazione osserva che si tratta di mere ipotesi o supposizioni prive della concretezza e della rigorosa dimostrazione richiesta dall’ordinamento, non bastando un rapporto sentimentale non provato né configuratosi come effettiva vita comune con sostegno reciproco, per qualificare la situazione come convivenza more uxorio rilevante ai fini dell’estinzione (o riduzione) dell’assegno.

3. La natura nomofilattica del principio

La decisione in esame contribuisce a ribadire un filone interpretativo già consolidato in tema di revisione dell’assegno divorzile. Come è noto, Cass. S.U. n. 18287/2018 aveva segnato un punto centrale in ordine alla funzione dell’assegno divorzile, considerando che esso non è più da ancorare al precedente tenore di vita, bensì a una valutazione complessiva di natura assistenziale, compensativa e perequativa. Tuttavia, la Cassazione odierna chiarisce come i predetti principi si applichino allorché si discuta della misura dell’assegno nel momento genetico della decisione sul divorzio; e, nel caso di una successiva revisione ex art. 9 l. 898/1970, gli stessi criteri devono essere utilizzati purché emerga una reale sopravvenienza di circostanze che alterino lo scenario precedentemente valutato.
La pronuncia si ricollega ad altre sentenze (tra cui Cass. n. 7666/2022, Cass. n. 354/2023, nonché Cass. n. 14160/2022) che ribadiscono la medesima impostazione: non ci si può limitare a invocare la giurisprudenza di legittimità per postulare un esame ex novo dei requisiti dell’assegno; occorre la rigorosa prova dei fatti sopravvenuti. Se tali elementi mancano, la domanda di revisione resta inammissibile, non potendo la Cassazione rivalutare in sede di legittimità i fatti di causa già analizzati dal giudice di merito.

4. Il ruolo dell’onere probatorio e la rilevanza dei “fatti nuovi”

Uno degli aspetti fondamentali della pronuncia è il ribadire che il soggetto che invoca la modifica o la revoca dell’assegno di divorzio dovrà necessariamente dimostrare, in maniera precisa e documentata, che il beneficiario dell’assegno ha effettivamente visto le proprie condizioni economiche migliorare o, comunque, discostarsi rispetto a quelle prese in esame al momento della sentenza di divorzio.
L’indicazione di un “ipotetico” miglioramento (legato, per esempio, alla supposizione che il coniuge beneficiario avrebbe dovuto intraprendere un’attività lavorativa, ma non lo ha fatto) non basta a configurare la sopravvenienza di un nuovo fatto; è di tutta evidenza che l’obbligato non può limitarsi a richiedere un “riesame” sostenendo che l’altro coniuge, volendo, avrebbe potuto trovare un’occupazione.
Allo stesso modo, ove siano stati già trasferiti beni immobili e somme di denaro durante il divorzio, non si può invocare la semplice redditività di tali beni come motivo per ridurre l’assegno, se la redditività stessa era già nota all’epoca del divorzio. Si esige, pertanto, la dimostrazione di ulteriori sopravvenienze (ad esempio, una radicale rivalutazione degli immobili, la percezione di nuovi redditi non preventivabili, o un’acquisizione di beni in precedenza non compresa negli accordi).

5. La convivenza more uxorio e i suoi effetti sul mantenimento

Un altro elemento saliente del ricorso per cassazione atteneva all’asserita stabile relazione sentimentale di B.B., con la conseguente domanda di revoca dell’assegno. È noto che la giurisprudenza di legittimità, laddove risulti provata l’esistenza di una convivenza consolidata con un nuovo partner, caratterizzata da condivisione di spese e da una dimensione di reciproco sostentamento, possa affermare la perdita del diritto all’assegno divorzile, o comunque una riduzione. In tale contesto, la pronuncia ribadisce che, per configurarsi un effettivo “progetto di vita comune”, idoneo a produrre effetti giuridici, è necessaria una prova stringente, dalla quale risulti non solo l’affectio e la frequentazione, ma pure la concreta condivisione di mezzi e risorse.
Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso che la convivenza fosse stata in alcun modo comprovata, ritenendo del tutto carente l’elemento della stabilità e dell’effettiva coabitazione, nonché l’assenza di reciprocità di sostegno economico. A.A. non aveva provveduto a fornire riscontri oggettivi, ma si era limitato a riferire dell’esistenza di un legame sentimentale, elemento non sufficiente a integrare i presupposti di legge per la soppressione dell’assegno.

Testo Cass., Sez. I, Ordinanza n. 3554/2025

fonte del testo dell’ordinanza: Banca dati giuridica One LEGALE consultata in data 23/02/2025

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta da:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. TRICOMI Laura – – Consigliere

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Dott. CAPRIOLI Maura – – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere

Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere-Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da

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A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Tiberio Baroni pec: (Omissis);

ricorrente

Contro

B.B., rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Giovanni Passagnoli (Omissis);

controricorrente

Avverso il decreto della Corte di Appello di Firenze n. 747/2023, ex art. 739 c.p.c.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.2.2025 dal Consigliere Daniela Valentino.

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Svolgimento del processo
1.- A.A. (medico odontoiatra) ha proposto dinanzi al Tribunale di Arezzo domanda di modifica delle condizioni di divorzio stabilite nella sentenza n. 875/2017 emessa dal Tribunale di Arezzo in data 13.7.2017, domandando la revoca dell’assegno divorzile posto a suo carico in favore della ex moglie B.B. (non occupata), pari ad Euro 1.700 mensili, nonché la restituzione degli importi dell’assegno divorzile versati a quest’ultima a partire dal mese di gennaio 2017 e la revoca delle statuizioni patrimoniali concordemente pattuite tra le parti in sede di separazione consensuale, avvenuta nel 2013, e di divorzio congiunto, nel 2017, ove venivano previsti consistenti trasferimenti di denaro e immobiliari a favore della B.B. e a carico del A.A., chiedendo la restituzione dei suddetti beni immobili. Il matrimonio era stato invece celebrato nel 1991. il Tribunale respingeva il ricorso e condannava A.A. al pagamento delle spese.

2.- A.A. reclamava il provvedimento dinanzi alla Corte di Appello di Firenze che con il decreto qui impugnato, ha respinto il reclamo.

3.- Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:

a) la revisione dell’assegno divorzile di cui all’art. 9 della L. n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti;

b) il giudice della revisione non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma – nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell’attribuzione dell’emolumento – deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata;

c) nel ricorso congiunto per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, le Parti prevedevano a carico del A.A. un assegno mensile pari alla somma di Euro 1.700 mensili rivalutabili annualmente, fondando nuovamente il contributo sulla circostanza che la moglie non aveva alcun reddito da lavoro. Peraltro, neppure le Parti prevedevano che B.B. dovesse reperirlo entro un dato termine né che, comunque, A.A. avesse un termine finale in suo favore in ordine alla cessazione del versamento di un contributo, con carattere primariamente assistenziale, ma anche compensativo dell’assenza di autonoma attività lavorativa di lei – congiuntamente voluta – al fine di dedicarsi alla famiglia e anche in particolare all’attività del marito in funzione di ausilio alla sua attività;

d) neppure risulta provata la stabile convivenza more uxorio dell’ex-coniuge con altra persona.

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4. – A.A. Alessandro ha presentato ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. con due motivi.

B.B. ha presentato controricorso ed anche memoria.

Motivi della decisione
Il ricorrente deduce:

5. – Con il primo motivo: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 5 e 9 (oggi 473 bis, n. 29, c.p.c.) L. n. 898 del 1970, non avendo la Corte di merito tenuto conto degli insegnamenti della Cassazione S.U. del 2018 n. 18287. Circa il venire meno dei requisiti per l’attribuzione dell’assegno divorzile. Il ricorrente deduce che poiché, pur avendo la giurisprudenza sempre ritenuto “giustificati motivi” ai sensi dell’art. 9 L. sul divorzio solo i “fatti sopravvenuti”, (articolo oggi abrogato ma sostituito dall’art. 473 bis n. 29 c.p.c.) occorrerebbe affermare con chiarezza che una volta accertata il verificarsi di mutamenti nella situazione di fatto (miglioramento delle condizioni della beneficiaria), la valutazione del permanere o meno dell’assegno divorzile e dei trasferimenti immobiliari a favore dell’ex moglie non possa prescindere da una valutazione alla luce dei criteri espressi all’orientamento giurisprudenziale a S.U. (Cass S.U. 18287 del 2018) che “individuava la motivazione dell’assegno divorzile non più nel tenore di vita, né tanto meno nel riequilibrio economico delle parti, ma nella funzione assistenziale, compensativa e perequativa che gli compete”.

6.- Con il secondo motivo: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 5 e 9 (oggi 473 bis, n. 29, c.p.c.) L. n. 898 del 1970, non avendo la Corte di merito tenuto conto degli insegnamenti della Cassazione S.U. del 2018 n. 18287. Circa il il mancato reperimento di attività lavorativa. L’ipotetica ed estratta possibilità lavorativa o di impiego da parte del coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio, non incide sulla determinazione dell’assegno salvo che il coniuge onorato non fornisca la prova che il beneficiario abbia l’effettiva e concreta possibilità di esercitare un’attività lavorativa confacenti alle proprie attitudini. ad oggi, perseverando tale inerzia per ovvi motivi di merito, la B.B. sia ancora meritevole del diritto al mantenimento, stante soprattutto il venire meno dei presupposti di legge per le attribuzioni economiche per cui è lite, ai sensi degli insegnamenti delle S.U.

7.- Con il terzo motivo: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 5 e 9 (oggi 473 bis, n. 29, c.p.c.) L. n. 898 del 1970, non avendo la Corte di merito tenuto conto degli insegnamenti della Cassazione S.U. del 2018 n. 18287. Circa la stabile relazione sentimentale. La Corte non aver inteso la relazione sentimentale non contestata e non negata quale fatto nuovo tale da essere considerato quale fattore per la revoca dell’0assegno divorzile.

7.1- I motivi sono connessi tra di loro e possono essere valutati congiuntamente. Le censure espongono una diversa ricostruzione

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dei fatti sostanzialmente per dimostrare che “oggi non esist(erebbero) più i criteri per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento né di quello divorzile, non sussistendo più (qualora ne fossero mai esistiti) i requisiti previsti per legge per tali attribuzioni”. Non individua nessun fatto nuovo che possa aver modificato la valutata situazione complessiva dei coniugi nella fase di assegnazione dell’assegno divorzile, ma delinea la necessità di una nuova valutazione degli stessi alla luce, a suo dire, dei principi enunciati nella sentenza di questa Corte n. 18287/2018.La Corte di merito ha escluso che vi siano stati miglioramenti nella situazione patrimoniale dell’ex moglie, poiché i redditi evidenziati come miglioramento del reddito erano stati trasferiti in proprietà in sede di divorzio e, quindi, già valutati tra i coniugi nel loro valore e potenziale redditività.

Egual sorte per la censura sulla potenzialità lavorativa della ricorrente ove innegabilmente non c’è alcuna modifica della situazione accettata dai coniugi sin dalla separazione ove gli stessi dichiararono che: “la signora B.B. non ha mai intrapreso una sua propria attività lavorativa né come libera professionista (giornalista) come dipendente dedicando tutte le sue energie e capacità alla cura della famiglia e coadiuvando il marito nella sua attività” e che: “4. Per quanto riguarda le condizioni economiche della separazione i coniugi, consapevoli delle scelte familiari operate intendono disporre nel seguente modo”.

Anche la modulazione sull’esistenza di un rapporto sentimentale dell’ex moglie viene costruito nel tentativo di allegare che sia divenuto elemento di convivenza stabile rispetto al precedente periodo. La Corte invece accerta inequivocabilmente che non può, anche attualmente, accertarsi una convivenza “more uxorio” anche se non sfociata in una stabile coabitazione, perché non è stata provata rigorosamente la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche; tale onere probatorio è gravante sulla parte che neghi il diritto all’assegno.

In sintesi le censure si atteggiano sostanzialmente in una richiesta di diversa valutazione degli esiti probatori che non è consentita in sede di legittimità.

Va però sottolineato che la richiesta di una diversa valutazione degli esiti probatori alla luce dei principi definiti dalle Sez. U. del 2018, più volte citata dal ricorrente, è mal posta in sede di richiesta di modifica dell’assegno per sopravvenute nuove circostanze ex art. 9. In tema di revisione dell’assegno divorzile, il giudice, a fronte della prova di circostanze sopravvenute sugli equilibri economici della coppia, non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018 deve verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato gli equilibri sanciti dall’assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio (Cass., n.7666/2022).

Ancor più precisamente la Corte ha chiarito quale ruolo possono avere i principi enunciati nel 2018 poiché ha statuito che in tema di assegno divorzile, costituisce presupposto necessario per procedere alla revisione ex art. 9 L. n. 898 del 1970 l’accertamento in ordine alla sussistenza di un mutamento sopravvenuto delle condizioni economiche delle parti, cui segue la valutazione della fondatezza della domanda, da compiersi tenendo conto della funzione in concreto svolta dall’assegno alla luce dei principi enunciati dalla sentenza n. 18287 del 2018 delle Sezioni – ove la valutazione delle condizioni economiche delle parti è collegata causalmente agli altri indicatori presenti nell’art. 5, comma 6, L. 898 del 1970, al fine di accertare se l’eventuale disparità esistente all’atto dello scioglimento del matrimonio sia stata determinata da scelte condivise di conduzione della vita familiare, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di uno dei coniugi, tenuto conto della durata del matrimonio e delle rispettive ed effettive potenzialità professionali e reddituali – in modo tale poter valutare l’incidenza o meno delle sopravvenienze sulla spettanza o sulla misura dell’assegno (Cass., n. 14160/2022). Ove presupposto indefettibile per procedere alla verifica sulla fondatezza della domanda è indiscutibilmente l’esistenza di fatti sopravvenuti che nel caso in esame sono stati ritenuti, con motivazione adeguata, non sussistenti poiché non era intervenuta alcuna sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi (Cass., n. 354/2023).

8.-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.

P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000 per compensi e Euro 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15 per cento dei compensi, ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 5 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria l’11 febbraio 2025.



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