Gli irrisolvibili vizi delle progressioni verticali

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La sentenza del TAR Lazio, Sezione II, 14 dicembre 2024, n. 22593 è il paradigma del modo travisato ed erroneo col quale le pubbliche amministrazioni si avvalgono delle progressioni verticali.

Con la decisione in argomento, il Tar Lazio ha annullato un bando per progressioni verticali affetto dal grave vizio di illogicità, connesso all’ingiustificabile appiattimento dei punteggi connessi ai titoli di studio.

Si tratta di una vicenda rappresentativa di un sistema diffusissimo, volto a trasformare la progressione verticale da metodo di valorizzazione di competenze di eccellenza già individuate, in un sistema para-concorsuale, aperto a tutti, a prescindere dalla faticosa e necessaria individuazione preventiva delle capacità dei destinatari, sì da gestirlo in modo da creare una sorta di “pesca a strascico”, per permettere la verticalizzazione al maggior numero possibile di dipendenti, spesso prescindendo platealmente da qualsiasi logica selettiva e valutativa.

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E’ esattamente per queste ragioni che gli enti spesso introducono l’assurdo punteggio connesso al “colloquio”, come se il datore scoprisse in quell’ambito se il dipendente candidato alla verticalizzazione dispone di motivazioni o conoscenze ed esperienze tali per ascendere di categoria e tale consapevolezza non fosse, esattamente all’opposto, presupposto per la stessa programmazione ed attivazione delle progressioni verticali.

Travisandole da sistema selettivo mirato a valorizzare dipendenti predeterminabili in una sorta di premio quasi a pioggia, anche a causa della negoziazione dei criteri e della decisione di avvalersene con i sindacati, nonostante le verticalizzazioni non rientrino in alcun modo nelle materie di contrattazione, le amministrazioni finiscono per trasformare le verticalizzazioni da occasione per soddisfare fabbisogni di professionalità qualificate mediante una migliore qualificazione di dipendenti interni potenzialmente capaci, così da non reclutare tramite concorso pubblico, un una “imbarcata” il più generale possibile, tanto da deprimere, invece di valorizzare, competenze e conoscenze.

Il Tar illustra l’inaccettabile errore procedurale: “nel caso in cui il candidato laureato con voto inferiore a 105/110 avesse conseguito pure il diploma con la votazione massima, il titolo superiore non poteva essere considerato. Ugualmente, il candidato che avesse conseguito il diploma con votazione massima otterrebbe lo stesso punteggio di colui il quale ha conseguito la laurea magistrale”.

Quindi:

  1. ad un laureato con voto di laurea fino a 104 punti il bando non attribuisce alcun punteggio per la laurea, se tale laureato avesse conseguito il diploma col massimo dei voti:
  2. ad un diplomato col massimo dei voti, il bando assegna comunque il medesimo punteggio di un laureato magistrale.

Sottraendo punti per il diploma ai laureati o premiando il diploma col massimo dei voti col medesimo punteggio di una laurea magistrale, è evidente che un bando lungi dal valorizzare le competenze ed i titoli, mira la progressione orizzontale verso un esiziale appiattimento delle competenze. Il Tar Lazio non può che osservare: “Tale illogica distribuzione dei punteggi ha alterato l’assegnazione degli stessi, tanto che 13 vincitori della procedura de qua, esibendo il solo diploma di scuola media superiore, hanno ottenuto un punteggio pari al ricorrente, in possesso della laurea magistrale in giurisprudenza, anche per mezzo della parallela integrazione del punteggio con gli altri titoli esperienziali vantati”, ribadendo come “sia palese l’irragionevolezza della sostanziale equiparazione, specie se riferita al diploma di scuola media superiore e alla laurea quinquennale, posto che quest’ultima integra un percorso di studi sicuramente più importante del primo, premiabile con l’assegnazione di un punteggio ben più alto”.

L’articolo 24, comma 2, del d.lgs 150/2009 chiarisce che la progressione verticale “è finalizzata a riconoscere e valorizzare le competenze professionali sviluppate dai dipendenti, in relazione alle specifiche esigenze delle amministrazioni”. Inoltre, a mente dell’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001 “le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti”.

Ma:

  1. come si può perseguire il fine enunciato dalla legge di valorizzare le “competenze professionali sviluppate”, se si deprime la più oggettiva tra le competenze fissate per la selezione, cioè il titolo di studio?
  2. soprattutto, come è possibile costruire dei bandi che, come nel caso di specie connesso ad una progressione verticale verso l’Area dei Funzionari, per la quale è necessaria la laurea ai fini dell’accesso dall’esterno, attribuiscono punteggi a titoli, come nel caso di specie il diploma, privi di qualsiasi valore ai fini dell’identificazione delle competenze, posto che la norma richiamata sopra subordina la selezione a titoli “ulteriori” rispetto a quelli necessari per l’accesso dall’esterno?

E’ evidente come una gestione siffatta delle progressioni verticali, oltre alle illegittimità che la affliggono, ma rilevabile solo se qualcuno si tuteli davanti ai Tar, tutto consente, tranne che una migliore e più efficiente qualificazione dell’organizzazione pubblica.

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