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Il provvedimento «terapeutico» del Tribunale sulla base dell’indagine della Guardia di Finanza: alla banca è contestata la mancanza di controllo per massimizzare gli introiti
Dieci milioni di euro in finanziamenti, forti di garanzie statali a sostegno delle emergenze relative a Covid e guerra in Ucraina, sarebbero stati erogati a società legate a clan della ‘ndrangheta lombarda. Per questo Banca Progetto, banca digitale che appena un mese fa il fondo americano Oaktree ha venduto per 600 milioni al fondo Centerbridge, è stata posta oggi, giovedì 24 ottobre, sotto amministrazione giudiziaria. La decisione, da parte della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano, si basa sulle indagini della Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza e del pm Paolo Storari. L’amministrazione giudiziaria, disposta in base al “Codice Antimafia”, è motivata dal fatto che ripetute volte nel corso degli ultimi anni l’istituto di credito abbia «totalmente abdicato» alle più basilari procedure di controllo prima di concedere i prestiti. Un modus operandi giustificato dalla volontà di «massimizzare il business».
Le mancanze di Banca Progetto
La banca d’affari avrebbe consapevolmente «perseverato» in questa condotta, trasferendo sullo Stato di fatto il rischio di insolvenza. Banca Progetto, in poche parole, utilizzava i fondi a garanzia statale per garantire un continuo flusso di denaro a clan della criminalità organizzata del Varesotto. I finanziamenti erano mascherati nell’apparente rispetto delle norme riguardo agli aiuti per le piccole e medie imprese «a sostegno dell’economia nell’emergenza del Covid» e «a seguito dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina». Una prassi che, secondo i giudici, era portata avanti «eludendo i principi della normativa antiriciclaggio». La decisione di ricorrere all’amministrazione giudiziaria deriva dal pericolo che l’istituto stesso sia già permeato o a rischio di permeazione da parte di cosche. In particolare i clan di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, che avrebbero sfruttato piccole società per «trasferimento fraudolento di valori con aggravante del metodo mafioso».
Il legame con la ‘ndrangheta
Il denaro, oltre 10 milioni di euro tra il 2019 e il 2023, sarebbe stato «cannibalizzato» dai clan con «ingenti guadagni». Una possibilità resa possibile dal rapporto diretto dei funzionari della banca con Maurizio Ponzoni, arrestato nel marzo 2023 e legato a un clan di ‘ndrangheta di Busto Arsizio, in particolare ai boss Vincenzo Rispoli e Massimo Murano. A questo sono contestati una lunga serie di reati tributari, fallimentari e di trasferimento fraudolento di valori con aggravante mafiosa. I finanziamenti sarebbero stati concessi da Banca Progetto «svalutando i rischi di credito» e «senza adeguata verifica della clientela» ad almeno nove società legate a Ponzoni. Mancanze procedurali che sarebbero continuate nonostante le indagini portate avanti da Banda d’Italia tra il 2021 e il 2022 con lo scopo di «massimizzazione del business».
Il ruolo e le ammissioni di Ponzoni
«Se Banca Progetto prendeva il mio nome e cognome, faceva una… diceva “lasciamo stare tutto”». Ad ammettere le mancanze di sorveglianza da parte dell’istituto di credito è lo stesso Maurizio Ponzoni in un’udienza dello scorso 14 marzo. Le parole si riferiscono al fatto che Ponzoni non fosse in nessun modo collegato alle società a cui il finanziamento veniva concesso: un semplice controllo sulla persona avrebbe quindi svelato ai funzionari della banca che «il vero referente-destinatario dei prestiti era lui». A rendere ancor più gravi le mancanze è la presenza di tre prestiti concessi a società legate a Ponzoni dopo il suo arresto: un totale di 5 milioni tra il 31 maggio e il 13 ottobre 2023. Sarebbe bastata – ha ammesso lo stesso Ponzoni – una «consultazione da fonti aperte». O banalmente leggere la notizia «presente diffusamente sui media» del suo arresto. Ponzoni, insieme al sodale Enrico Barone, è indagato in unn procedimento per «trasferimento fraudolento di valori» con aggravante mafiosa. È inoltre sottoposto a misura di prevenzione per «pericolosità sociale» e numerosi immobili di sua proprietà per un valore di milioni di euro sarebbero sotto sequestro.
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