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La Tenda di Cristo e la sfida di una promozione umana dopo gli errori #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


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«Vedervi qui ci dà più coraggio nei nostri percorsi». Una frase semplice, eppure importante, da chi è ancora alla ricerca di quella fiducia fondamentale per ricostruirsi una propria dignità. Proprio come Francesco Signorelli che, insieme a Jaouad Hadhudi, ha raccontato la sua testimonianza di ex detenuto e di ospite accolto all’interno della comunità terapeutica dell’associazione La Tenda di Cristo per il percorso di reinserimento sociale.

Proprio l’esperienza delle strutture fondate da padre Francesco Zambotti, i metodi educativi e i progetti di reintegrazione sono stati il focus dell’incontro “Dal carcere: come promuovere la persona”, tenutosi nell’auditorium Giovanni Paolo II dell’oratorio Maffei di Casalmaggiore nella serata di venerdì 22 novembre. L’appuntamento, organizzato dal circolo Acli di Casalmaggiore, rientrava nel programma del Festival dei Diritti 2024, rassegna promossa da SCV Lombardia Sud.

«Date le sedie vuote forse c’è bisogno di parlare di diritti ancora per tanto altro tempo», ha esordito Luca Maffi, responsabile dell’unità Tenda di Cristo 2 di San Giovanni in Croce e moderatore della serata, accanto a padre Zambotti, presidente dell’associazione da lui fondata nel 1985. «Quando dobbiamo parlare di diritti teoricamente dovremmo avere fuori la fila. Motivo in più per ascoltare le esperienze che ci racconteranno i ragazzi e che possiamo poi divulgare agli altri. Non sono i numeri che interessano, ma il messaggio». 

Il metodo di accoglienza di persone vissute in carcere e il loro percorso di reinserimento nella collettività dalle dipendenze attraverso la Tenda di Cristo è stato il focus dell’incontro, durante il quale il religioso camilliano ha riassunto i circa quarant’anni di vita dell’associazione, ora gestore di 15 strutture tra Italia e Messico. «È un po’ il “metodo dell’asino” – ha spiegato padre Zambotti –. Mi sono ispirato all’esperienza avuta in Burkina Faso, quando accompagnai un religioso del luogo per incontrare dei lebbrosi. Queste persone malate arrivavano in sella a questi animali che una volta arrivati stavano lì fermi, aspettando la “riconsegna” della persona a loro affidata per il trasporto».  La modalità a specchio, insomma, «è il riconoscere l’importanza dell’altro come collaboratore nel percorso di reintegrazione sociale degli ex detenuti, per evitare la recidiva, promuovendo l’ascolto e la pazienza nella comunità». Un modello poi esportato in tutto il mondo.

Proprio dal paese centroamericano, in videochiamata, i presenti hanno potuto ascoltare la storia di Davide Dalla Pozza, anch’egli ex utente della Tenda cremonese e ora, da più di dieci anni, responsabile di una struttura alle porte del deserto messicano, verso la frontiera americana. «Ho avuto per molti anni la disgrazia di essere in una vita di dipendenze, fino a quando un giorno ho deciso di cambiare la mia vita. Di mia spontanea volontà sono entrato nella comunità. Dopo aver trascorso i due anni del percorso, ho fatto un’esperienza di volontariato a Tenda 3 che mi ha aiutato molto. E poi, in accordo con padre Francesco, sono venuto qua sei mesi. E mi sono innamorato di questo lavoro». Dalla Pozza ha poi descritto le principali differenze tra Italia e Messico in termini di trattamento della tossicodipendenza e supporto comunitario, evidenziando la necessità di un cambiamento di sistema.

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La volontà di trasformarsi è stato il punto saliente anche delle testimonianze dei due ragazzi. «Ho vissuto in carcere, un’esperienza che non augurerei a nessuno. Ci sono troppi detenuti e pochi operatori e operatrici che possano darti veramente una mano», ha raccontato Francesco. «Nel maggio del 2023 ho avuto uno sconto della mia pena, ho fatto un po’ di colloqui e ho potuto così entrare in contatto con la struttura. Sono arrivato già con l’idea di cambiare, però anche quella poi non basta». E ha proseguito: «Uscire dal carcere senza un programma rieducativo è come ritornare negli stessi posti, come ritornare nella giungla. Invece io volevo veramente cambiare la mia vita e ancora voglio farlo, perché ogni giorno è una sfida vinta. Ogni giorno!».

«Quando ero a Monza, dentro le sbarre 24 ore su 24, in cella eravamo in quattro, non si respirava neanche – ha aggiunto Jaouad –. Io vorrei dire ai ragazzini di lasciare stare le droghe, con il pensiero di arrivare a subito fare i soldi. Le cose vengono con calma. E invece, per guadagnare denaro facile si finisce su una brutta strada, perché bisogna andare a spacciare a a rubare. Meglio andare a lavorare e cercare di ascoltare i consigli della propria famiglia: loro non vogliono il nostro male, ci possono dare solo delle parole positive».

Maffi ha ribadito l’importanza della libertà personale nel percorso di crescita e cambiamento, evidenziando che non si può pretendere di “salvare” qualcuno, quanto piuttosto fornire strumenti per il cambiamento. «Il percorso comunitario è proprio il vivere insieme, il fare uno sforzo condiviso di essere testimoni credibili di questo cambio di vita. Come operatori tentiamo tutte le mattine di dare il meglio di quello che possiamo; dare e farlo anche con i nostri limiti. Però, quando dopo anni, a Natale, ti chiamano per farti gli auguri e ti dicono che aspettano il secondo figlio, quando non ci avresti magari scommesso un centesimo, umanamente ti ripaga anche di tanti sacrifici».

Padre Zambotti ha concluso la serata sottolineando l’assenza di una mancata cultura della prevenzione sulle droghe: «Davanti al vuoto dei giovani di adesso, un vuoto nel quale c’è tutto e più di tutto, che cosa si sta facendo a livello di prevenzione? Perché dobbiamo salvare dopo a tutti i costi, spendere la vita con forza, con coraggio, con tutto quel che ci vuole, per salvare dei ragazzi quando si potrebbe almeno in parte prevenire?». Da queste domande è nato un appassionato e stimolato dibattito tra i presenti.

 

 

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