di ERNESTO MANCINI – Nei giorni scorsi il Consiglio Regionale della Toscana ha approvato, primo in Italia, la legge sul suicidio medicalmente assistito. Si tratta di una legge che prevede tempi e modalità per consentire ad una persona affetta da gravissima malattia di esercitare, a certe condizioni, il diritto di cessare la propria vita caratterizzata da sofferenze insopportabili. Gli esponenti della maggioranza regionale di centro sinistra che hanno approvato la legge, hanno chiarito che essa ha contenuto esclusivamente procedurale ed organizzativo e che non hanno avuto alcuna necessità di introdurre ex novo tale diritto sia perché la Regione non ha potere legislativo al riguardo sia perché esso è già vigente nel nostro ordinamento a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25.9.2019.
1) La sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25.9.2019
Tale sentenza, richiamando altre conformi pronunce, fissa i presupposti per dare luogo alla volontà del cittadino di cessare la propria vita divenuta insopportabile a causa di una patologia grave ed irreversibile. È una sentenza “additiva” perché aggiunge princìpi normativi nell’ordinamento sulla base dell’interpretazione della Costituzione e per evitare, come dice la Corte, un “vulnus” alla stessa.
I presupposti fissati dal Giudice delle Leggi sono molto rigorosi:
- a) che la persona sia affetta da una patologia irreversibile;
- b) tale patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona trova assolutamente intollerabili;
- c) sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale;
- d) sia comunque capace di prendere decisioni libere e consapevoli;
Tali presupposti, come si vede, sono chiari ed indefettibili nel senso che se ne manca anche uno solo, scatta il reato di omicidio del consenziente previsto e punito dall’art. 579 del codice penale.
2) Il monito della Consulta a legiferare.
Invero la Corte Costituzionale aveva ammonito più volte il Parlamento a provvedere con legge nazionale per rendere esercitabile il diritto al fine vita ma tale massimo organo legislativo è rimasto per anni sordo (e lo è tuttora) a tale sollecitazione sia nei momenti in cui governava il centro-sinistra, per colpevole inerzia o per timore di non raggiungere il quorum, sia nell’attuale maggioranza di destra i cui partiti, almeno nei vertici, sono decisamente contrari a questa disciplina. Invero anche eminenti personalità della destra sono favorevoli al diritto di che trattasi ma non hanno poteri decisionali o rappresentanza di vertice.
Nonostante il riconoscimento del diritto più volte sancito dai Tribunali ordinari e poi, definitivamente, dalla Corte Costituzionale, il Parlamento è rimasto gravemente omissivo e si sono perciò continuati a verificare casi di persone costrette a ricorrere a cliniche svizzere (es.: Dj Fabo) ovvero, restando al proprio domicilio, costrette a ricorrere clandestinamente ad un medico anestesista disposto ad assumersi il rischio di essere imputato per il reato di omicidio del consenziente (caso Welby).
Da tale accusa gli imputati venivano poi prosciolti con sentenza del Giudice Penale competente. In alcuni casi l’assoluzione veniva richiesta congiuntamente – e ciò è significativo – sia dall’accusa che dalla difesa. Ci si riferisce, per esempio, al caso Welby in cui il medico anestesista, dr. Riccio, è stato prosciolto dal Giudice per le indagini preliminari perché aveva agito, ex art. 51 codice penale, “nell’adempimento di un dovere”.
Anche i sostenitori radicali del suicidio assistito, come Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, hanno affrontato l’accusa di concorso in omicidio del consenziente e i conseguenti lunghi processi, salvo poi essere assolti.
Ma il peggio toccava sempre agli ammalati costretti a vivere per anni “prigionieri del proprio corpo” perché lo Stato non tutelava il loro diritto a cessare una vita obbiettivamente insopportabile nonostante la presenza delle condizioni tassative di cui si è detto.
3) E le altre Regioni?
In altre regioni si sta cercando di colmare il vuoto normativo causato dall’assenza dello Stato che nulla ha disciplinato al riguardo. La regione Sardegna ha in corso un progetto di legge analogo a quello della Toscana; ugualmente la Liguria (su iniziativa popolare attraverso la raccolta di firme). L’Emilia-Romagna ha emanato direttive alle aziende sanitarie sul presupposto che la sentenza della Corte Costituzionale oltre che additiva è anche autoapplicativa, non ha bisogno cioè di alcun intervento legislativo di fonte regionale perché basta una regolamentazione amministrativa. Il Consiglio Regionale del Veneto, a maggioranza di destra, ha fallito l’approvazione della legge per un solo voto (inopinatamente di una consigliera P.D.). In Lombardia, in assenza di una legge è dovuto intervenire per un caso singolo l’assessore regionale alla sanità Bertolaso facendo applicare direttamente i princìpi stabiliti dalla Corte e, ciò nonostante, è stato contestato da esponenti della maggioranza. In Calabria, nel 2022, è stata presentata una proposta di legge regionale peraltro mai giunta all’esame del Consiglio Regionale.
Tutte le normative, come quella approvata dalla Regione Toscana, hanno in comune di essere meramente organizzative e procedurali perché, come si è detto, il diritto al fine vita nel nostro ordinamento è già presente. Si tratta di renderlo operativo e perciò organizzare le procedure e le garanzie di legalità affinché sia esercitato con le adeguate cautele soprattutto per ciò che riguarda i presupposti tassativi indicati dal Giudice delle Leggi.
3.1.) Le procedure organizzative di cautela e di garanzia
In tutti i progetti regionali si prevede la costituzione di apposite Consulte Sanitarie multidisciplinari (medico palliativista; medico neurologo, medico psichiatra, medico anestesista, infermiere, psicologo) che verificano la presenza dei presupposti fissati dalla Corte Costituzionale affinché in alcun caso si proceda in mancanza di essi. Viene anche previsto l’intervento del Comitato Bioetico presente nelle Asp ai quali è affidato il compito di valutare le fattispecie anche da un punto di vista non esclusivamente medico. È sempre ammessa l’obiezione di coscienza dei sanitari. Non meno importante è la previsione di una corretta procedura che garantisca tempi certi ma anche congrui dalla presentazione dell’istanza alla decisione di accoglierla o meno. La procedura e i trattamenti sanitari sono sempre assolutamente gratuiti.
Tutto ciò evita che il singolo caso si svolga clandestinamente o sia sottoposto al vaglio della Procura di riferimento che altrimenti dovrà accertare, ma con la inappropriatezza dell’indagine penale e solo a fatto avvenuto, che non si tratti di una fattispecie penalmente rilevante di omicidio del consenziente.
4) E lo Stato?
Lo Stato, e per esso il Parlamento o l’iniziativa legislativa del Governo, sono assenti. La maggioranza non ne vuole sapere, la minoranza si batte senza risultati i quali, peraltro, non ci sono stati neppure quando era maggioranza. Una legge nazionale avrebbe comunque una certa probabilità di larga approvazione non solo perché i princìpi sono già scritti dalla Corte Costituzionale – basta copiarli ed incollarli – ma anche perché sembra prevalente nel Parlamento e nel paese un orientamento favorevole alla disciplina del fine vita alla presenza di condizioni certe.
La mancanza di una legge nazionale porta alle seguenti disfunzioni.
- A) frammentazione dell’ordinamento: alcune Regioni regolano la materia, altre no e ciò crea grave frammentazione dell’ordinamento che si traduce in diseguaglianza dei cittadini in violazione dell’art. 3 della Costituzione.
- b) vi possono essere regioni (es.: Toscana) che stabiliscono tra i requisiti del richiedente la residenza nel loro territorio, altre regioni (progetto di legge Sardegna come risulta nel suo testo attuale) che non prevedono tale requisito. Come è noto la residenza si può richiedere se la persona ha la dimora abituale in una città della regione ma ciò crea ostacoli a chi, per esercitare il diritto, sarebbe costretto a migrare altrove in una situazione personale assolutamente inconciliabile con il trasferimento. D’altra parte, va detto che il diritto a qualsiasi trattamento sanitario è universale su tutto il territorio nazionale ed è perciò “portabile” dal cittadino in qualsiasi suo spostamento al di là della residenza.
- c) i comitati regionali per la valutazione dello stato patologico dell’interessato non possono certo agire per l’esame delle situazioni personali degli ammalati che si trovano lontani dal territorio della Regione; si deve tener conto, infatti, che una corretta valutazione non può prescindere dall’esame diretto del paziente, dai necessari colloqui (in alcuni casi solo per cenni assentivi); vanno sentiti i familiari e le persone comunque vicine al paziente.
È dunque evidente la necessità di una legge nazionale che disciplini diffusamente l’esercizio del diritto e la sua applicazione in ogni regione secondo garanzie e procedure uniformi.
5) Il fine vita e l’autonomia regionale differenziata
Va chiarito, a scanso di equivoci, che quello della Toscana non è un caso di autonomia regionale differenziata alla maniera della legge Calderoli. Non vi è infatti alcun trasferimento di funzione dallo Stato alla Regione né alcuna intesa al riguardo ai sensi dell’art. 116, terzo comma della Costituzione. La Toscana, inoltre, si è mossa nell’esercizio pieno delle sue competenze di organizzazione e gestione dei servizi sanitari come da decenni previste dalle leggi fondamentali di riforma sanitaria (legge 833/78 – Decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni).
Tutte le regioni, inoltre, si trovano in posizione paritaria rispetto alla Costituzione ed alla legislazione vigente sicché la differenziazione esiste solo perché la Toscana ha inteso disciplinare ed organizzare il diritto già esistente mentre le altre regioni no, o non ancora, pur potendolo fare. Si tratta perciò di una espressione di autonomia virtuosa e non di una graziosa e discriminante concessione di poteri e privilegi da parte dello Stato a singole regioni secondo la legge Calderoli, già largamente incostituzionale di suo.
6) Il contenzioso ostruzionistico
Dalla stampa di questi giorni si apprende che la minoranza di destra del Consiglio Regionale della Toscana ha chiesto al Collegio di Garanzia regionale la sospensione della legge per verificare se essa sia conforme allo Statuto regionale. Trattasi di evidente tentativo dilatorio ed ostruzionistico che non credo abbia successo.
Si è anche appreso che il Governo avrebbe intenzione di impugnare la legge Toscana. Sarà interessante vedere come l’avvocatura dello Stato formulerà i motivi del ricorso atteso che ogni lagnanza deve fare i conti col fatto che è proprio l’omissione dello Stato a rendere necessarie le normative organizzative regionali.
Insomma, lo Stato, e per esso il Parlamento od il Governo, anziché pensare a ricorsi si affrettino a dare uniformità su tutto il territorio nazionale alla disciplina costituzionale assumendo la giusta iniziativa legislativa.
6) In conclusione
La materia del suicidio medicalmente assistito è materia delicatissima per la quale vanno rispettate tutte le posizioni favorevoli o contrarie sorrette da convincimenti laici o religiosi e senza affermazioni apodittiche o demagogiche. Qui si è inteso affrontare il punto di vista giuridico alla luce della normativa esistente e dei pronunciamenti del Giudice delle Leggi.
Non è comunque indifferente che sulla base della nostra Costituzione il diritto al fine vita sia già presente nel nostro ordinamento sia pure con le doverose limitazioni di cui si è detto. Né è tollerabile che nell’ordinamento giuridico ci sia un diritto che lo Stato impedisce ai cittadini di esercitare e siano le Regioni, e solo alcune di esse, a dovervi provvedere.
Questa è materia urgente per evitare frammentazione tra i diversi territori e soprattutto disuguaglianza fra cittadini che già sono in condizioni di estrema sofferenza. (em)
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