Se gli anni Novanta e primi Duemila sono stati caratterizzati dal consumismo sfrenato, dal tutto subito, che nella sua massima espressione si è materializzato nel pulsante “Acquista ora” di Amazon, in questi ultimi anni l’aria è cambiata. E a guidare la rivoluzione è, neanche a dirlo, la Gen Z. Complice anche una pandemia globale, ansia sociale, ansia ecologica, ansia finanziaria hanno creato un bel mix che ha spinto a ridimensionare la voglia (e la possibilità) del tutto qui e ora. Second-hand, deinfluencing (il ridimensionamento del potere degli influencer), underconsumption core (consumare fino all’estremo capi di abbigliamento e accessori) sono diventate parole d’ordine per moltissimi giovani (e diversamente giovani) di oggi, che ovviamente ne fanno cavalli di battaglia sui social. Obiettivo: comprare meno o usato, per risparmiare e salvaguardare il pianeta. Un po’ a cappello di tutti questi trend, ce n’è uno nuovo, già presente negli scorsi anni ma emerso con più forza a cavallo tra il 2024 e il 2025: la no buy challenge.
Letteralmente: sfida a non comprare. Una battaglia tutta personale (ma spesso messa online a mo’ di autotrappola) che prevede di limitare o meglio azzerare gli acquisti non necessari per un determinato periodo di tempo, idealmente un anno intero. Spopolano su TikTok i profili che (si auto)lanciano la sfida e che poi aggiornano i seguaci sull’andamento. Ognuno può darsi le regole che vuole, in base alla propria vita (per esempio, ci sono figli in casa? magari un giochino o due ci scapperanno) e ai propri obiettivi. Tendenzialmente, la no buy challenge non prevede che non si compri nulla, bensì che si compri solo dopo averci pensato bene. La parola d’ordine è eliminare gli acquisti di impulso, quelli che facciamo perché condizionati dal marketing. Un’altra regola può essere, se si acquista online, di mettere nel carrello i prodotti ma poi comprarli solo dopo un mese, per avere il tempo di pensarci davvero su. Si può decidere, invece, di comprare solo in negozi fisici, in modo da mettere “un ostacolo” alla voglia di acquistare qualcosa. E ancora, un buon modo per rispettare la sfida può essere di non fare shopping se si è ansiosi o annoiati, come metodo per risolvere una situazione che rende tristi o frustrati.
Acquisti online
Si dirà: è facile rispettare la no buy challenge in tempo di crisi. Non è così: chiunque di noi almeno una volta nella vita ha sperimentato l’ebbrezza (e poi il pentimento) di un acquisto d’impulso, non necessario, pure in momenti di ristrettezze. Ma cosa c’è dietro questo tipo di comportamenti, al livello neurologico? Ne abbiamo parlato con Viola Furoni, piscologa psicoterapeuta. “Quando raggiungiamo un obiettivo oppure otteniamo una gratificazione, nel nostro cervello si attiva un complesso sistema chimico che causa un’aumentata produzione di dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale non soltanto nella regolazione del tono dell’umore e nei processi di apprendimento ma che è fortemente implicata anche nel sistema motivazionale e di ricompensa. Nello specifico, quando compriamo qualcosa che desideriamo, questo produce un innalzamento della produzione di dopamina, causando un’immediata sensazione di piacere che ci spingerà a cercare di ripetere nuovamente l’esperienza. È evidente soprattutto nel caso degli acquisti online, quando, nonostante non si riceva immediatamente il prodotto, nel nostro cervello si innesta il meccanismo di anticipazione, processo fondamentale nel rilascio di dopamina, per cui lo stato euforico che ne consegue ci spinge ad aggiungere prodotti al carrello nonostante non ne abbiamo davvero bisogno. Di questi meccanismi neurologici sono ben consapevoli i siti di e-commerce, i quali, attraverso sconti e offerte personalizzate e a tempo, cercano di indurci in esperienze che massimizzino il rilascio di dopamina”.
Con la conseguenza che ci ritroviamo case piene di cose: armadi che straripano di capi d’abbigliamento che nemmeno ricordiamo di avere; armadietti del bagno ricolmi di prodotti per la skin care, altro tema che ultimamente è esploso sui social, rendendo decine di prodotti “assolutamente indispensabili” per avere la pelle perfetta di modelle ritoccate.
L’euforia per l’arrivo di un prodotto di esaurisce presto
Chi ha sperimentato questo tipo di “piacere” legato all’acquisto non necessario, conoscerà già la sensazione subito successiva: il pentimento. “Basta, non compro più”, è la frase che si pensa subito dopo l’acquisto. A volte non si fa nemmeno in tempo a ricevere la merce a casa, che già l’euforia è terminata. Questo succede perché “ci rendiamo conto di aver ceduto ad un impulso, alla necessità impellente di comprare piuttosto che a un reale bisogno, quasi come se fosse più importante il gesto in sé che ciò che lo ha motivato. Se la compulsione è da intendersi come una risposta comportamentale che mettiamo in atto per cercare di rispondere, annullandolo, ad un pensiero ricorrente e pervasivo, possiamo vedere come lo shopping possa diventare compulsivo quando diventa un comportamento che la persona attua per cercare di regolare uno stato di tensione/malessere emotivo, che tenta di eliminare immaginando la soddisfazione conseguente all’acquisto”.
Il meccanismo che si innesca è molto, molto simile a una dipendenza. Lo spiega bene Furoni: “Il fatto che già nel 1915 lo psichiatra Kraepelin parlasse di oniomania, ovvero la “la mania di comprare ciò che è in vendita”, ci dimostra come lo shopping compulsivo abbia profonde radici psicologiche, per molti versi comuni a quelle che sono alla base di altri comportamenti di dipendenza patologica, come il gioco d’azzardo oppure la dipendenza da sostanze. Lo shopping compulsivo ha delle caratteristiche patologiche molto simili a quelle che si manifestano in altre forme di dipendenza: dall’incapacità a resistere all’impulso di cercare soddisfazione nella sostanza, alla perdita di controllo nella gestione della dipendenza fino ai sintomi di astinenza, per cui un compratore compulsivo può manifestare un forte malessere conseguente all’impossibilità di fare acquisti. Al contempo, come nelle altre forme di dipendenza, lo shopping compulsivo, oltre a generare un forte stress nel soggetto, può portare a serie conseguenze per la sua sfera lavorativa/affettiva ed economica”.
Al netto dei trend, c’è da chiedersi; ma c’è veramente bisogno di una challenge messa sui social per “obbligarsi” a comprare meno o a non comprare cose futili? “Come per molte questioni inerenti la salute mentale, il fatto che se ne parli pubblicamente può essere molto importante per sensibilizzare sull’argomento e sulle conseguenze che lo shopping compulsivo può avere non soltanto sul benessere della persona ma anche sull’ambiente e a livello sociale. Partecipare a una challenge può quindi rappresentare un punto di partenza per iniziare una riflessione più ampia a cui possono conseguire effetti duraturi e concreti al di là dell’obbligo immediato di non comprare”.
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