Hamas libera altri sei ostaggi in cambio di 620 prigionieri palestinesi, sul filo della fragile tregua

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Nuovo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, sempre nel bilico di una fragile e apparente calma nella desolazione delle macerie di Gaza, dove non accennano a diminuire i tormenti di un popolo sconvolto dalla crisi umanitaria.
Nella giornata di oggi sei detenuti israeliani a Gaza sono stati rilasciati in cambio di 620 palestinesi, tra cui oltre 100 donne e bambini. In molti avevano trascorso anni nelle carceri di Tel Aviv.
Tra loro c’era Nael Barghouti, simbolo della resistenza palestinese, che era stato costretto a ben 45 anni di prigionia. Una liberazione, tuttavia, accompagnato da un’amara condizione: è stato costretto a restare esiliato in Egitto, senza poter tornare nella sua terra natale.
Dall’altro lato della barricata si conferma la liberazione di Hisham al-Sayed, l’ultimo prigioniero rilasciato a Gaza City, un beduino con problemi di salute mentale, detenuto dal 2015. Hisham, israeliano originario del villaggio di Hura, nel deserto del Negev, era entrato nella Striscia di Gaza vicino al valico di Erez nell’aprile 2015, prima di essere catturato.
Presente anche Avera Mengistu, un civile etiope-israeliano che aveva attraversato il confine verso Gaza nel 2014. Questa mattina, è stato tra i primi a salire sul palco allestito dal Movimento della resistenza islamica, assieme a Tal Shoham, un cittadino austriaco-israeliano catturato durante l’attacco del 7 ottobre 2023.
Per le famiglie dei rilasciati, la giornata è stata accolta con gioia amara. A Khan Younis, Marwan al-Sultan, direttore dell’ospedale indonesiano di Gaza, ha viaggiato attraverso paesaggi devastati dalla guerra per riunirsi con il genero, detenuto per 18 mesi. “Speriamo solo di vederlo in buona salute”, ha detto Al Jazeera, ricordando la perdita del padre e del figlio del parente a causa dei bombardamenti israeliani.
Venerdì sera, tra le crescenti proteste, Hamas ha comunicato di aver consegnato alla Croce Rossa il corpo di Shiri Bibas, la donna israeliana deceduta che insieme ai suoi figli Ariel e Kfir fu rapita dal kibbutz di Nir Oz durante gli attacchi di Hamas in Israele del 7 ottobre del 2023.
Gli accordi di cessate il fuoco prevedevano per giovedì la restituzione dei corpi di Bibas, dei suoi figli e dell’attivista Oded Lifshitz. Hamas aveva consegnato quattro bare, e già venerdì erano stati identificati i corpi dei bambini e di Lifshitz. Tuttavia, l’esercito israeliano aveva dichiarato che il quarto corpo, che avrebbe dovuto appartenere, appunto, a Bibas, non corrispondeva a nessuno degli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. L’identità della vittima rimane sconosciuta, mentre Benjamin Netanyahu ha affermato genericamente che si tratterebbe di una donna palestinese di Gaza.

Hamas ha violato l’accordo” e “ne pagherà il prezzo… la crudeltà dei mostri di Hamas non conosce limiti: che Dio vendichi il loro sangue, e anche noi li vendicheremo”, ha minacciato il primo ministro israeliano, rilanciando le accuse che vedono la loro morte come risultato delle azioni violente del Movimento della resistenza islamica.
Un portavoce dell’esercito, Avichay Adraee, ha dichiarato che l’analisi dei corpi consegnati e le informazioni disponibili indicano che “Ariel e Kfir Bibas sono stati brutalmente assassinati in prigionia nel novembre 2023 da terroristi palestinesi”.
Accuse respinte dal portavoce di Hamas, Hazem Qassem, che ha bollato le versioni di Tel Aviv sulla morte dei Bibas come “bugie infondate”, mentre Ismail al-Thawabta, capo dei media di Gaza, ha accusato Netanyahu di avere “piena responsabilità” per la loro uccisione.
Ma anche in Israele, i parenti della famiglia Bibas, Shiri e i suoi figli Kfir e Ariel, hanno smentito le affermazioni dell’esercito secondo cui Hamas avrebbe ucciso i bambini “a mani nude“. “Ogni pubblicazione di dettagli aggiunge un profondo dolore”, ha dichiarato la famiglia, chiedendo trasparenza alle autorità di Tel Aviv.

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Non si ferma la tragedia umanitaria a Gaza e le violenze in Cisgiordania

Nella striscia, intanto, non si fermano le sofferenze che il popolo palestinese è costretto a subire, nonostante la tregua in corso. Gli ospedali di Gaza, già sovraccarichi a causa dei 2800 feriti di guerra da gennaio, ora affrontano epidemie di colera, morbillo e polio. Nel merito, una campagna di vaccinazione sostenuta dall’ONU, lanciata il 22 febbraio, mira a vaccinare 600.000 bambini contro la polio, rilevata nelle acque reflue.
Al contempo, in Cisgiordania I raid israeliani a Jenin, Hebron e Qusra hanno provocato la morte di due bambini, di 12 e 13 anni. Fouad Hassan, un attivista anti-insediamenti, ha parlato di truppe dell’Idf che “lanciano gas lacrimogeni nelle case”, aggravando le crisi respiratorie nelle comunità vulnerabili.
Netanyahu, nel frattempo, ha affrontato critiche dalla sua coalizione per aver privilegiato gli accordi sui prigionieri rispetto agli obiettivi militari. Ministri di estrema destra come Bezalel Smotrich si sono opposti alle concessioni, temendo un indebolimento della deterrenza di Israele.
La pace, apparente, è come sempre appesa ad un filo.

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