Come in questo momento dobbiamo pregare per Francesco

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«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli» (Mc 1, 30-31).

Il successore attuale di Simon Pietro la suocera non ce l’ha (se vogliamo trascurare qualche erede metaforico della posizione, che sta nelle retrovie della casa). L’episodio di guarigione si può applicare, oggi, a Pietro stesso, quasi negli stessi termini. L’analogia mi colpisce. Nel caso della malattia di papa Francesco riconosciamo una situazione simile e ci aspettiamo – letteralmente – la stessa cosa: che la febbre si allontani e che il suo servizio riprenda, nei modi della dedizione senza risparmio che conosciamo bene. E anche noi, nelle nostre preghiere “ne parliamo a Gesù”, desiderosi di attirare la sua attenzione. Il breve e intenso racconto (presente in tutti e tre i vangeli sinottici) che interrompe e al tempo stesso collega la narrazione dell’intensa e drammatica azione pubblica di Gesù – in lotta con gli spiriti del male (Mc 1, 21-27) e poi premuto dall’invocazione delle folle (Mc 1, 35) – è come un contrappunto, che riflette l’attenzione di Gesù anche per coloro che stanno all’interno della casa. Una parentesi di tenerezza, che fa da contrappunto ai tratti più passionali dell’opera della liberazione dal male, che segna la vita e il destino della missione di Gesù.

I tratti del quadro – la sollecitudine dei discepoli per la malattia della donna, appena entrati in casa; il tratto affettivo della prossimità di Gesù, che le prende la mano; la gratitudine silenziosa per la guarigione, che si traduce in prontezza del servizio – sono pennellate di umanità intensa, delicata, indimenticabile.

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Che altro volete aggiungere? Leggo commenti, ascolto interviste, percepisco non-detti, che sciupano stoltamente l’intensa sobrietà dell’atteggiamento fissato in quelle poche righe di vangelo, in cui dovremmo iscrivere l’affetto e la preghiera di questi giorni. Noi vogliamo parlare a Gesù con affetto del nostro Papa, a letto con la febbre, e speriamo con tutto il cuore che Lui lo rimetta in piedi delicatamente, per consentirgli di riprendere il servizio di cui gli siamo grati. Certo, il fatto che l’uomo non si tiri indietro, fino alla soglia di qualche rischio, è ormai assodato: Francesco non deve dimostrare niente a nessuno. Semmai, siamo noi che dobbiamo dolcemente e fermamente custodirlo, trattenendolo intelligentemente al di qua di quella soglia: a letto, quando necessario. Senza forzare la sua libertà, ci mancherebbe. E anche senza sminuire la testimonianza iscritta in qualche suo azzardo. Per questo, siamo grati a coloro che si prendono cura di lui, con tutti i mezzi umanamente disponibili. Per questo, nella nostra preghiera, e con tutta la tenerezza possibile, cerchiamo di parlare a Gesù della nostra riconoscenza per lui, non del suo punto di rottura.

Papa Francesco inaugurò il suo ministero chiedendo al popolo di Dio di essere benedetto e invocando di “non dimenticarsi” di pregare per lui. Come fa sempre, al termine di ogni incontro. In questo momento noi onoriamo con tutto il cuore questa richiesta, e la sigilliamo al centro della nostra promessa. Che altro? Niente altro. Il di più viene dal maligno, anche quando non sembra.

Naturalmente, questo non significa adottare toni devotamente melensi e obsolete retoriche sacrali che attingono ad una arcaica mitologia del corpo del Papa e avvolgono “l’augusto infermo” nella malcelata ipocrisia di uno sguardo che, in realtà, si augura la sua uscita dalla scena del potere. Noi dovremmo essere vaccinati, ormai, su questa ambiguità. Del resto, proprio da lui – da Francesco, dico – abbiamo imparato, nel modo più serenamente diretto e piacevolmente ruvido – uno stile pontificio che non dissimula la normale fragilità e la vulnerabilità dei suoi passaggi di vita. Essi pure, alla fine, sono il segno di un rapporto intenso e profondo con “il popolo”: al quale ogni servitore del Vangelo appartiene, in vista di un servizio che è dono di grazia e non il privilegio di un super-uomo. Di questo servizio, anche il Papa deve rispondere personalmente di fronte a Dio. Quale sia l’ultimo passaggio del ministero a lui affidato, per altro, non tocca a noi immaginarlo, raccomandarlo (o addirittura intimarlo, come osa qualcuno che ha permesso al maligno di abitare la sua preghiera).

La benedizione della suocera di Pietro adesso è per te, Francesco: e di questo noi parliamo a Gesù. Per la salute, i medici assicurano le migliori cure. Per la mano di Gesù che ti aiuta ogni giorno ad alzarti, abbiamo sempre speranza. Per la ripresa del servizio, quando e fino a quando il Signore vorrà, siamo certi che sarà generosa esattamente come lo è stata sino ad ora. Dentro la nostra preghiera, e il nostro affetto, c’è questo.





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