La non collaborazione del ministro Nordio, la mancata perquisizione del torturatore da parte delle autorità italiane e il suo rimpatrio in Libia. Il procuratore Khan accusa gravemente l’Italia che «ha esposto le vittime e i testimoni, nonché le loro famiglie, al rischio potenziale di gravi danni»
Il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha chiesto formalmente di deferire l’Italia all’Assemblea degli Stati e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per il rilascio del torturatore libico Osama Njeem Almasri.
L’inchiesta era stata aperta nelle scorse settimane dopo che le autorità italiane avevano prima arrestato e poi liberato il capo della polizia giudiziaria di Tripoli, riportandolo in Libia a bordo di un volo di stato.
Secondo il procuratore Khan, il governo italiano non ha rispettato i suoi obblighi derivati dall’articolo 87 comma 7 dello statuto della Corte penale internazionale e ha deliberatamente deciso di non cooperare con l’Aia per consegnare Almasri alla giustizia.
L’articolo prevede due condizioni cumulative affinché ci sia inadempienza da parte di uno stato membro, la prima è che questo «non abbia ottemperato a una richiesta di cooperazione», la seconda è «che tale inadempienza sia sufficientemente grave da impedire alla Corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri ai sensi dello Statuto». E secondo il procuratore «entrambe le condizioni sono soddisfatte in questo caso».
Un’inadempienza da parte del governo italiano che «ha esposto le vittime e i testimoni, nonché le loro famiglie, al rischio potenziale di gravi danni».
L’accusa del documento
Nelle quattordici pagine dell’accusa sono elencati i fatti partendo dalla richiesta di arresto trasmessa il 18 gennaio alle autorità italiane. Il giorno dopo Almasri è stato arrestato dalla Digos di Torino, ma secondo la ricostruzione del governo Meloni il ministro Nordio – in violazione della legge n.237/2012 – è stato informato dei fatti soltanto il 20 gennaio.
In primo luogo il procuratore Khan afferma invece che la notifica è stata inviata tramite i canali diplomatici ufficiali il 18 gennaio e che anche se a Via Arenula il dossier sia arrivato solo il 20 gennaio non è «di per sé una valida giustificazione per non intraprendere l’azione richiesta». Il fatto che le autorità italiane abbiano fallito nel comunicare tra di loro le rende inadempienti di fronte all’articolo 87 dello statuto.
«In secondo luogo, anche se la Corte d’Appello di Roma avesse ragione a non convalidare l’arresto di Almasri il 19 gennaio 2025 – ancora una volta, una conclusione basata su un’interpretazione della Legge n. 237/2012, contestata dalla maggior parte dei commentatori accademici – il ministero della Giustizia avrebbe dovuto rispondere alla procura generale. Alle ore 12:40 del 20 gennaio 2025, il ministro era in possesso delle richieste e le stava esaminando». La trasmissione degli atti da parte della procura generale «avrebbe consentito alla Corte d’Appello di Roma di ordinare nuovamente la detenzione» di Almasri. Tuttavia, Nordio non ha mai risposto alle richieste della procura.
In terzo luogo «l’Italia ha individuato due presunte criticità: la presunta incertezza sul momento della commissione dei reati e le “perplessità” sollevate dal giudice María del Socorro Flores Liera», nella richiesta di arresto del libico. Ma secondo il procuratore neanche questa è una giustificazione valida, in quanto «l’Italia non solo non ha contattato prontamente la la Corte per risolvere i presunti problemi, ma ha omesso di menzionare l’esistenza di qualsiasi problema quando la Corte lo ha espressamente richiesto».
Infine c’è un quarto punto che inchioda le autorità italiane ed è il rimpatrio di Almasri attraverso un volo di stato giustificato in base alle leggi sull’immigrazione. Questa decisione, scrive Khan, «non è mai stata comunicata alla Corte, sebbene era stata presa già la mattina del 21 gennaio, ore prima che Almasri venisse rilasciato quella sera». E ancora: «Se l’Italia fosse stata aperta a qualsiasi scenario, avrebbe dovuto consultare la Corte ai sensi dell’articolo 97 e compiere sforzi ragionevoli per risolvere il problema individuando un paese terzo di destinazione». Invece il torturatore libico è stato consegnato e accolto all’aeroporto di Mitiga a Tripoli con tanto di fuochi di artificio da parte degli uomini della sua milizia.
La mancata perquisizione
Inoltre, secondo il procuratore dell’Aia la mancata esecuzione del decreto di perquisizione da parte delle autorità italiane nei confronti di Almasri «ha compromesso la capacità della Corte di indagare sulla situazione libica in senso più ampio, compresa la rete di potenziali complici e le risorse finanziarie, e di ottenere ulteriori informazioni rilevanti per il processo di Almasri da parte della Corte penale internazionale».
Le altre denunce
Nelle scorse settimane alcune vittime del capo della polizia giudiziaria di Tripoli hanno denunciato il governo italiano. Tra queste c’è Lam Magok Biel Ruei, originario del Sud Sudan che ha ammesso di aver ricevuto torture da parte di Almasri e delle sue milizie durante la sua prigionia a Tripoli. «Il governo italiano mi ha reso vittima una seconda volta, vanificando la possibilità di ottenere giustizia anche per tutte le persone, come me, sopravvissute alle sue violenze», aveva detto Magok lo scorso 3 febbraio.
Parallelamente c’è un’altra inchiesta in corso aperta al tribunale dei Ministri nei confronti della premier Giorgia Meloni, dei ministri della Giustizia e dell’Interno Nordio e Piantedosi, e del sottosegretario con delega ai servizi segreti Mantovano.
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