In Germania si va a votare anticipatamente, dopo tre anni di gravi difficoltà: il vento è cambiato, e le spira violentemente contro da quando il presidente russo Vladimir Putin annunciò, il 24 febbraio 2022, l’invasione della Ucraina: tutte le ragioni strategiche del suo venticinquennale successo economico e finanziario a livello europeo e globale sono venute meno.
Tutto si sta ritorcendo: sotto il profilo economico, Berlino non ha più il gas russo, in passato abbondante e a buon prezzo; la sua industria automobilistica è devastata dalla transizione verso l’elettrico mentre i comparti della metallurgia, della chimica e della meccanica soffrono per gli alti costi energetici; sotto il profilo prospettico, mentre il presidente Donald Trump vuole il riequilibrio dei conti commerciali, la Cina attraversa una fase di crescita meno dinamica e dunque importa meno dalla Germania ed è invece pronta a invadere il mercato europeo per riversarvi le minori esportazioni verso gli Usa dovute ai dazi.
L’Unione Europea è una nave senza nocchiero: annaspa, sforna in continuazione documenti che invocano interventi straordinari di spesa per centinaia di miliardi l’anno. Denari che soprattutto la Germania ha accumulato, ma che assai furbescamente ha impiegato all’estero.
Un modello in piena crisi
Per arricchire solo sé stessa, in un quarto di secolo la Germania ha devastato il resto dell’Europa che è stata costretta a seguirla nel modello ordoliberista, basato sul mercantilismo sfrenato, sulla deflazione salariale e sull’azzeramento del debito pubblico. Ma i vantaggi per i produttori tedeschi derivanti dai tassi di interesse vantaggiosissimi, cui corrispondevano compensi irrisori sui depositi bancari e sugli impieghi obbligazionari in Germania, hanno spostato verso l’estero i proventi accumulati con il commercio internazionale: gli investimenti finanziari sono stati indirizzati prevalentemente all’estero, penalizzando il settore produttivo tedesco, rimasto fermo alla manifattura tradizionale. Niente grandi investimenti privati né tanto meno pubblici, tanto meno innovazione: la Germania si è ingrassata, ma soprattutto sclerotizzata.
Numeri alla mano, la Germania guidata con polso di ferro e nessuno scrupolo dalla cancelliera Angela Merkel per sedici anni filati, al potere ininterrottamente dal 22 novembre 2005 all’8 dicembre 2021, ha ottenuto successi tanto clamorosi quanto ora irripetibili.Nel 2001, anno di entrata in circolazione dell’euro, la Germania era il secondo debitore mondiale per investimenti di portafoglio con 1.163 miliardi di dollari di esposizione, preceduta solo dagli Usa che ne avevano per 3.106 miliardi; nel 2023, la Germania è scomparsa dall’elenco dei dieci principali debitori, mentre gli Usa hanno raggiunto la stratosferica cifra di 23.623 miliardi di dollari, moltiplicando addirittura per oltre sette volte lo stock precedente.
Molti tedeschi sono rimasti al palo
Tutta l’impostazione teutonica delle normative europee ha messo sotto torchio la crescita interna sostenuta dai bilanci pubblici: il divieto di aiuti di Stato alle imprese; il divieto di aiuti agli Stati da parte delle Banche centrali; il divieto di disavanzi pubblici superiori al 3% del pil e poi addirittura il pareggio strutturale imposto con il Fiscal Compact, insieme all’obbligo di ridurre di 1/20 l’anno l’eccesso di debito rispetto al 60% del pil.Il mercantilismo, la crescita sostenuta solo dalla domanda estera basata sulla competitività salariale, ha devastato la domanda interna europea.
Anche qui la Germania ha fatto da apripista con le riforme Hartz: i settori economici protetti dalla concorrenza internazionale dovevano dare l’esempio, con gli oltre 4 milioni di lavoratori impiegati con i minijob, quasi il 10% degli occupati totali, col limite di dieci ore di lavoro settimanale remunerate ognuna al minimo di 12,82 euro, per complessivi 566 euro di retribuzione annua. È così che la Germania ha rieducato i suoi lavoratori.
La Germania si è avidamente arricchita, ma non solo a spese degli altri partner, con la Francia azzoppata, l’Italia stremata e la Spagna che si salva ancora solo perché i suoi rifornimenti energetici non sono mai dipesi dal gas russo: c’è una gran parte dell’elettorato tedesco fortemente insoddisfatto, non solo perché di tutta questa opulenza ha visto poco e niente, ma soprattutto perché si rende conto che il futuro è quanto mai fosco. Domenica, alle elezioni, la Germania farà ancora una volta i conti col suo passato e soprattutto si interrogherà sul futuro: nulla di ciò che è stato ci sarà ancora. (riproduzione riservata)
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