Los Angeles e non solo: volatilità idroclimatica, cos’è e perché dovrebbe preoccuparci

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Fluttuazioni sempre più improvvise e frequenti tra condizioni meteorologiche insolitamente secche e condizioni molto umide, con conseguenze pesanti e difficili da gestire. Gli esperti definiscono questa condizione “volatilità idroclimatica” e proprio su questo tema cruciale, e sul suo legame con il riscaldamento antropico, si concentra un importante saggio, a cura di un gruppo di scienziati, uscito da poco su “Nature”. Lo sintetizza il climatologo Luca Mercalli: “Si passa sempre più frequentemente da un estremo all’altro. A un evento ne segue un altro di segno opposto, manca un periodo di transizione di un clima normale”. Gli impatti della volatilità idroclimatica sono più gravi di quelli associati a siccità o eventi alluvionali isolati.

Transizioni quintuplicati in scenari estremi

“L’articolo è importante”, spiega a sua volta il fisico Antonelli Pasini, “perché questa volatilità idroclimatica viene per la prima volta misurata attraverso un indice standardizzato di precipitazione ed evotraspirazione, per vedere i passaggi nella frequenza e nell’intensità tra periodi secchi e siccitosi e periodi umidi, potenzialmente alluvionali”. In altre parole, viene introdotta una metrica formale del “colpo di frusta idroclimatico” che comprende entrambi i lati (da umido a secco e da secco ad umido), calcolato su scale temporali substagionali (fino a 3 mesi) e interannuali (fino a 12 mesi).

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Secondo l’autorevole rivista, il cosiddetto “colpo di frusta idroclimatico”, di tipo sub-stagionale e interannuale, è aumentato rispettivamente del 37-66% e dell’8-31% dalla metà del XX secolo. Su scala globale, si prevede che il 60% della superficie terrestre subirà transizioni accelerate tra periodi secchi e umidi in uno scenario di riscaldamento elevato. Inoltre, si prevede che gli anni idrologicamente intensi triplicheranno nei principali bacini fluviali globali anche in condizioni di riscaldamento moderato.

Gli anticicloni accentuano la volatilità

“Si tratta di un fenomeno termodinamico”, continua ancora Antonello Pasini, “causato dall’aumento del vapore acqueo atmosferico, che porta all’aumento di nubi, e dall’aumento di temperatura, che porta all’aumento di evaporazione dai suoli, accentuando entrambi gli estremi dello spettro idroclimatico”.

I cambiamenti dinamici a loro volta (ovvero quelli che riguardano la circolazione atmosferica) aumentano o compensano gli aumenti termodinamici. “In Italia l’estremizzazione tra periodi caldi e secchi e periodi umidi e/o alluvionali è causata sia da questi fattori termodinamici, sia per i cambiamenti di circolazione, con l’arrivo degli anticicloni africani caldi e violenti che talvolta si scontrano con fronti freddi causando precipitazioni violente”, continua il fisico.

Il caso italiano più eclatante di frusta idroclimatica? Senz’altro quello del 2022/23 quando, spiega Mercalli, “la gravissima siccità del 2022 si è conclusa esattamente con l’evento di segno opposto, con le prime due alluvioni della Romagna nel maggio 2023. In un clima più ‘sano’ ci sarebbe stato un aumento graduale delle piogge, che poi portava gradualmente alla fine della siccità”.

I pericoli per la sicurezza e la salute umana

L’aumento della volatilità idroclimatica amplificherà i pericoli associati alle rapide oscillazioni da secco a umido e da umido a secco, verificatesi in tutto il mondo, e da ultimo in California. Questo fenomeno produce infatti minacce alla salute umana e alla sicurezza pubblica, alla quella alimentare e idrica e alle infrastrutture. Può provocare, spiegano gli esperti, elevata attività degli incendi boschivi, influenze sui sistemi di acqua dolce e sicurezza idrica, ma anche diminuzione della produttività delle piante, fallimenti del raccolto, danni a terreni agricoli, mortalità del bestiame, focolai di parassiti, picchi di popolazione di potenziali vettori come roditori o zanzare, aumento di patogeni, frane, incendi boschivi.

Cogestione degli estremi e adattamento flessibile

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“È difficile interiorizzare quanto sta accadendo in questo tempo senza precedenti nella storia della nostra specie”, spiega Giorgio Vacchiano, professore di Scienze forestali all’Università di Milano. “Per questo motivo guardiamo con più facilità alla scintilla che fa partire un incendio che non alla siccità che lo fa correre, ai pochi tronchi incastrati sotto un ponte che non alle centinaia di litri d’acqua per metro quadro che cadono in poche ore”.

La volatilità idroclimatica influenza negativamente gli sforzi di adattamento. “Se, ad esempio”, spiegano gli autori del saggio, “un ente governativo dovesse basare la futura gestione dell’acqua sulle precipitazioni medie annuali, previste in una regione come la California, potrebbe esserci il rischio di scegliere politiche e progettare infrastrutture che alla fine si rivelerebbero inadeguate”.

Servono dunque ulteriori sforzi di adattamento e mitigazione, all’insegna della cogestione di afflussi di acqua enormi e periodi secchi, e flessibilità: i sistemi devono essere in grado di adattarsi a un’ampia gamma di stati idroclimatici e idrologici in rapido cambiamento. “Ogni opzione, presa da sola, lascia le città vulnerabili dall’altro lato del colpo di frusta climatico”, osservano ricercatori.

Alcune delle soluzioni possibili sono, ad esempio l’espansione delle pianure alluvionali, bacini idrici informati sulle previsioni per massimizzare gli stoccaggi, città “spugna” costruite con meno superfici impermeabili. E poi, come sempre, c’è il fattore mitigazione. “Il colpo di frusta idroclimatico può essere fermato e stabilizzato, di pari passo con l’azzeramento delle emissioni e il compiersi della transizione energetica. E a conti fatti, conviene – non a pochi, ma a tutti”, conclude Giorgio Vacchiano.



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