Nouvelle vague dell’agroecologia | il manifesto

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L’agroecologia è intesa dai movimenti sociali come uno strumento per la trasformazione agroalimentare, socio-economica e cultural-politica. Nel primo caso c’è il rigetto di ricette preconfezionate, la nobilitazione delle pratiche radicate nei territori e fondate su conoscenze e competenze concrete, la sobrietà energetica e tecnologica. La dimensione socio-economica prende in considerazione l’intero sistema alimentare e assegna all’agroecologia l’obiettivo di perseguire l’accesso a una sana nutrizione garantendo il reddito e la dignità dei produttori e la coesione nelle comunità.

LA DIMENSIONE SOCIO-CULTURALE e politica si concentra invece sui temi di giustizia sociale, reciprocità, partecipazione e solidarietà, ancorati a un processo decisionale dal basso e all’azione collettiva. È il portato trasformativo dell’agroecologia, ben diverso da quello trasformista di aziende, istituzioni e organizzazioni che ne fanno una vetrina e non un orientamento che cambi radicalmente obiettivi e modalità della produzione e distribuzione degli alimenti. Valga lo stesso per la nouvelle vague dell’agricoltura rigenerativa.

SUL PIANO DELL’APPROCCIO, agroecologia e biologico puntano strategicamente sul rafforzamento delle competenze e sul presidio attivo del sistema agroecologico da parte dei produttori, non affidandosi a soluzioni ad applicazione universale, al ricorso all’agrochimica come strumento per standardizzare l’ambiente agrario, a un approccio fideistico e illusorio sulle tecnologie, bensì puntando ad accrescere l’autonomia e la resilienza del sistema di coltivazione e allevamento.

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LA DEMOCRATIZZAZIONE della produzione alimentare, sottesa nell’agroecologia, abbandona così il condizionamento proprietario del sapere, orientato a un pacchetto tecnologico fatto di sementi ibride e OGM, pesticidi, erbicidi e concimi chimici (e oggi di dati generati da robotica e AI, privatizzati dagli sviluppatori). Fattori di produzione legati a una visione che assegna all’agricoltore un ruolo limitato alla generazione di biomassa, in cui i mezzi tecnici non sono più strumenti di produzione nel controllo degli agricoltori, ma beni e servizi strumentali alla loro subalternità a monte e valle dei processi di filiera.

LA DUPLICE RIFORMULAZIONE agroecologica e del sistema di conoscenza richiede quindi di qualificare il ruolo dei produttori e sostanziarne la partecipazione nei processi decisionali e di sviluppo. In ambito di ricerca e innovazione, l’approccio collaborativo è sempre più evocato, ma non sufficientemente declinato in termini di pratiche o di ridefinizione dei programmi e strategie. Nella co-costruzione di conoscenza, diventa quindi cruciale rendere gli atti partecipativi più effettivi e consapevoli, genuini e coerenti, perché nelle politiche di ricerca e innovazione si vanno aprendo degli spazi che vanno però sostanziati nelle pratiche, arricchiti nelle esperienze e valutati negli esiti.

OGGI, I DISPOSITIVI QUALI I Gruppi Operativi per l’innovazione, i Living Lab o la ricerca multiattoriale prevedono l’interazione tra diversi attori del sistema di conoscenza (produttori, operatori di filiera, tecnici, ricercatori, associazionismo, amministratori) in un disegno condiviso di promozione di nuovi processi e competenze. La pariteticità e l’efficacia di tali dispositivi di co-sviluppo resta però estremamente aleatoria. Anche per questo, assumono ancor più rilevanza i meccanismi di co-determinazione e condivisione di abilità e saperi tra pari (come gli scambi tra agricoltori) o le scuole esperienziali che garantiscono una maggiore concretezza al percorso di elevazione socio-tecnica dei partecipanti e un più evidente protagonismo dei produttori, non più meri beneficiari o controparti dei percorsi di formazione e innovazione.

INIZIATIVE E PROCESSI di democratizzazione del sapere si moltiplicano in Italia e in Europa frutto della vitalità dei soggetti sociali sui territori e si muovono quasi sempre in un quadro di intervento e di relazioni che opera fuori dalla rappresentanza sindacale agricola. Questa appare infatti disattenta ai percorsi di emancipazione da competenze e tecnologie terze, adottando un atteggiamento paternalistico e assistenziale verso i produttori, e in questi ultimi tempi finanche timorosa dello spontaneismo con cui prendono corpo le istanze autonome. Forse anche frutto di queste ragioni, forme orizzontali e autogestite di socializzazione del sapere non godono di finanziamenti pubblici.

IN SENSO ALLA PAC, INFATTI, I SOGGETTI che possono beneficiare dei contributi nel quadro degli interventi del cosiddetto pacchetto AKIS (il sistema di conoscenza e innovazione in agricoltura, sciogliendo l’acronimo inglese) sono enti accreditati per la formazione, soggetti di consulenza, centri di ricerca pubblici e privati, ma non gli agricoltori e le loro comunità. In un quadro volto a potenziare la capacità di azione del mondo agricolo, gli agricoltori stessi sono esclusi dal concorrere alla formulazione o all’adattamento dei saperi e restano confinati a un ruolo di meri destinatari degli interventi altrui. Al contrario, è importante che questi non siano ignorati dalle logiche di finanziamento dei programmi di innovazione e da quelle di attuazione nei progetti di ricerca, assicurando risorse mirate e adeguate: è così che possono trasformarsi da oggetto a soggetto del percorso di sviluppo.

PUNTARE A UN QUADRO DI SPRECO ZERO della conoscenza, di riconoscenza per i suoi depositari e di riconoscimento del loro valore, è la sfida che intendiamo lanciare, facendo emergere le spinte in queste direzioni e catalizzando un dibattito che permetta di federare le esperienze e di promuoverne le istanze. Lo faremo anche grazie un’iniziativa nazionale a Roma il 27 febbraio dal titolo Conoscenza, Ri-conoscenza e Accompagnamento, con cui speriamo di aprire un confronto concreto e lungimirante.

* Segretario generale Firab



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