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Questa settimana parliamo dell’Imposta di Registro, in relazione alla clausola penale inserita in un contratto.
La clausola penale non è sottoponibile a tassazione a titolo di Imposta di registro
È prassi dell’Agenzia delle Entrate interpretare la presenza di una clausola penale – vale a dire la clausola con la quale, ai sensi dell’art. 1382 codice civile, le parti contraenti si accordano di pre-quantificare l’ammontare di un danno che eventualmente si verifichi in connessione con l’inadempimento del contratto – come generatrice di tassazione della penale stessa, con imposizione in misura fissa, ai sensi dell’art. 27, co. 1, del T.U.R., in quanto pattuizione condizionata al futuro e incerto verificarsi del preconizzato danno del quale la penale costituisce il risarcimento.
Salvo, poi, applicare l’Imposta proporzionale (con aliquota del 3%) ai sensi dell’art. 9 della Tariffa Parte Prima, una volta che la condizione si sia verificata e se ne sia fatta denuncia ai sensi dell’art. 19, co. 1, del T.U.R. Secondo la tesi dell’Ente impositore, in sostanza, se si ha un contratto comprendente una clausola recante la previsione di una penale, si avrebbero due “disposizioni”, ciascuna delle quali soggetta ad una propria tassazione.
A parere di chi scrive, dette conclusioni non sono condivisibili. È noto che oggetto dell’Imposta di registro sono gli atti in senso stretto (cioè le disposizioni produttive di determinati effetti giuridici) ed è altrettanto noto che la legge in tema di Imposta di registro sottopone a tassazione – poiché prive di vita propria e, quindi, prive della caratteristica di capacità contributiva – le clausole di cui gli atti in senso stretto si compongono, intese quali “segmenti” degli atti che concorrono a comporre.
Ciò perché esse hanno un senso in quanto inserite nel contesto nel quale si trovano, poiché stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale.
Ciò premesso, si deve dunque concludere per la non sottoponibilità a tassazione della clausola penale inserita nel contesto del contratto nel quale si disciplina l’eventualità del danno che la penale dovrebbe servire a risarcire. A tali conclusioni perviene il costante orientamento della Giurisprudenza di merito, secondo cui la clausola penale relativa al risarcimento dei danni per inadempimento da parte di uno dei contraenti non ha natura autonoma con la conseguenza che essa non può essere oggetto di tassazione ai fini dell’imposta di registro.
In questo contesto, con una recente sentenza la Corte di Cassazione è intervenuta riconoscendo che il regime impositivo applicabile alle clausole penali deve essere determinato applicando la disposizione di cui all’art. 21, co. 1, del T.U.R., in forza del quale, vista la stretta dipendenza tra le disposizioni di un medesimo atto, allora esso dovrà essere tassato come se contenesse una sola disposizione e, nello specifico, quella per cui è prevista l’imposizione più onerosa.
In sintesi, il ragionamento della Suprema Corte prevede che la funzione della clausola in esame – desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c. – non può ritenersi eterogenea rispetto all’obbligazione nascente dal contratto di locazione a cui accede, perchè sul piano giuridico, l’obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene sia si attivi conseguentemente all’inadempimento dell’obbligazione, non si pone come causa diversa dall’obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente-coercitiva rispetto all’adempimento sua propria, dunque finalizzata a disincentivare e “riparare” l’inadempimento, oltre che introdotta dal legislatore come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualità in caso di inadempienza, tutelando anche in ciò la parte adempiente. È dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all’inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale.
Obbligazione principale che difatti, se per qualsiasi ragione (diversa dall’inadempimento) travolta, non può che rendere per ciò solo al pari inoperante la penale; il che equivale ad osservare che se certo può sussistere, com’è ovvio, un contratto senza penale, non può al contrario sussistere quest’ultima senza il contratto, di cui segue per intero le sorti, anche nel caso di sua invalidazione o cessione.
Ciò premesso, il Giudice di legittimità afferma il seguente principio di diritto: ai fini di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, la clausola penale non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa prevista dal comma 2 della norma citata.
Ebbene, è evidente l’intento dei Giudici di legittimità di porre l’accento sulla funzione subordinata della clausola penale per evidenziare che deve riconoscersi che le clausole penali non possono sopravvivere autonomamente ma, per contro, sono strettamente di pendenti dal contratto cui accedono, con il quale condividono la causa.
In questo senso, contratto e clausola penale sono riconducibili ad un unico rapporto ed il loro inserimento nel medesimo negozio altro non rappresenta se non l’espressione dell’autonomia privata concessa dal Legislatore in ordine alla predeterminazione del danno risarcibile. La comunanza di cause e la stretta interdipendenza che ricorre tra le disposizioni in esame emergono, dunque, chiaramente, considerando altresì che, come si è già sopra evidenziato, l’obbligo di risarcire il danno in cui si estrinseca la penale si pone in una relazione di alternatività rispetto alle obbligazioni del contratto e, quindi, ha ragione di esistere fintanto che esiste l’obbligazione principale.
In definitiva, la clausola penale, attenendo alla responsabilità di una delle controparti contrattuali rispetto alle sue obbligazioni e al risarcimento che conseguirebbe nel caso in cui si verifichi il danno in esse preconizzato, non è sottoponibile a tassazione a titolo di Imposta di registro, perché non è atto/disposizione, bensì mera clausola che non rappresenta alcuna capacità contributiva e, pertanto, non è suscettibile di provocare l’applicazione dell’Imposta di registro.
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