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I fratelli Ceirano, figli di un orologiaio di Cuneo, si formano nella bottega del papà e diventano i pionieri dell’industria automobilistica. La storia della famiglia Agnelli partì da Priero, vicino a Ceva, da dove gli antenati dell’intuitivo e pragmatico Giovanni si trasferirono a Racconigi.
In più occasioni, incrociano anche la Granda le vicende raccontate ne “I grandi industriali del Piemonte – I Pionieri”, nuovo libro dello storico Gianni Oliva edito da Capricorno (160 pagine, 14 euro). «Il primo volume di un nuovo progetto editoriale è dedicato al periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – presenta l’autore -. Molte storie sono torinesi, perché a Torino ci furono le condizioni ideali per il decollo industriale: amministratori pubblici lungimiranti, come i sindaci Secondo Frola e Teofilo Rossi, e il coraggio dell’imprenditoria privata».
A Cuneo non fu così?
«Nella provincia Granda ci fu una grande accelerazione successiva, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ne parlerò ampiamente nel secondo volume, che uscirà nei prossimi mesi e avrà diverse pagine anche dedicate alla storia della famiglia Ferrero. Tante aziende anche del territorio cuneese, in ogni caso, sono un’eredità del decollo industriale torinese di fine Ottocento».
In quel periodo Torino stava perdendo il ruolo di capitale politica. In che modo i sindaci Frola e Rossi gettarono le basi per attirare gli investimenti dei futuri imprenditori?
«Hanno capito che bisognava rendere la città attrattiva. Per esempio, si deve a loro la costruzione della principale centrale idroelettrica di Torino. L’elettricità è fondamentale: rende la luce figlia dell’uomo e permette di allungare le giornate all’infinito, risolvendo il problema del buio. Ma in seguito presero un’altra decisione importantissima».
Quale?
«Di fatto, fecero arrivare i tram a Torino. Si iniziò da 7 chilometri di rete tramviaria. In questo modo, per tutti, raggiungere i luoghi di lavoro era più comodo, semplice e veloce».
Tra i pionieri dell’industria piemontese cita Pietro Sella, Giovanni Agnelli, Vincenzo Lancia, Arturo Ambrosio, Giuseppe Lavazza, Alessandro Cruto, i fratelli Ceirano, Napoleone Leumann, Camillo e Adriano Olivetti… C’è qualcosa che li accomuna tutti?
«Avevano tutti idee nuove e adeguate ai loro tempi. È un meccanismo tipico di tutte le epoche di rivoluzioni tecnologiche: chi ha buone idee, eccelle. Bill Gates ed Elon Musk, in epoche e contesti molto diversi da quelli che ho approfondito io, hanno avuto o stanno avendo successo per questo stesso meccanismo».
Le storie dei pionieri partono tutte dal basso o c’è chi faceva già parte di famiglie benestanti?
«Non si può generalizzare. Prendiamo il caso della famiglia Agnelli. Erano benestanti già a metà Settecento. Priero, dove abitavano, era uno dei principali centri di produzione serica d’Europa. Loro erano già all’epoca commercianti di filati, operatori finanziari, investitori immobiliari. Si può dire che erano già imprenditori, nel senso moderno del termine: si assumevano il rischio di impresa, spaziando in diversi settori. La fondazione della Fiat, nel 1889, fu l’ultima di una serie di fortunate iniziative di famiglia».
I fratelli Ceirano, invece, arrivavano da una famiglia molto modesta. Quale fu il punto di svolta del loro percorso?
«Tutti si formarono nel piccolo laboratorio del padre, a Cuneo. Poi il fratello maggiore, Giovanni Battista, si trasferì a Torino. Aveva appena 20 anni, era il 1880. Lo raggiunsero i fratelli e, in un ripostiglio di corso Vittorio Emanuele 9, iniziarono a riparare e vendere biciclette. Poi avviarono una vera e propria produzione. Non si accontentarono, guardarono oltre. E si posero il problema di garantire il movimento delle ruote non con l’energia muscolare, ma con un motore a scoppio».
Fu così che iniziarono a produrre autovetture?
«La prima era piccola, a due porte, chiamata Welleyes e presentata il 30 aprile 1899. Poi arrivarono molti altri modelli».
E Lavazza?
«Luigi Lavazza era originario dell’Alessandrino. Aveva iniziato da “lavorante” in una drogheria. Si occupava del magazzino, delle ordinazioni, del banco vendita e della contabilità. I suoi unici capitali erano i risparmi personali. Con queste premesse, ha ideato l’impero che ancora oggi è ai vertici del settore».
Da storico, crede che a queste storie bisognerebbe dedicare più attenzione anche nelle scuole?
«Purtroppo, la storia contemporanea ha sempre poco spazio nei programmi didattici. In generale, credo che bisognerebbe concentrarsi meno su Annibale e la Battaglia di Canne e più sugli ultimi centocinquant’anni».
C’è un insegnamento che possiamo trarre considerando i percorsi dei pionieri piemontesi e che porterebbe a benefici anche nella realtà di oggi?
«Per creare sviluppo nei territori poco sviluppati bisogna creare sinergie tra amministrazioni pubbliche e iniziative private. Funziona, quando questo viene fatto come si deve».
Intanto proprio questa sera (giovedì, ore 21) ospite del Castello di Cisterna d’Asti, Gianni Oliva – autore decisamente prolifico e versatile – presenta il suo primo romanzo: “Il pendio dei noci” (Mondadori). L’autore dialogherà con il critico letterario Bruno Quaranta e sono previste letture a cura di Giorgia Mo.
A cura di Luca Ronco
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