Il trucco delle tasse – by Roberto Seghetti

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I tagli per coprire con quelle risorse il risparmio di tasse per i ricchi sta uccidendo i nostri servizi pubblici, a cominciare dalla Sanità. E ora siamo al limite. Ma non è un caso. Questa situazione non è frutto del volere del cielo: è il risultato delle scelte politiche

Roberto Seghetti

Abbassare le tasse! Abbassare le tasse! Il governo di Giorgia Meloni è tornato a lanciare il suo grido di battaglia. Oggi però c’è un problema che rischia di trasformare i desideri di Meloni, Salvini e Tajani in un disastro di cui tutti potremmo fare le spese: nelle condizioni dei nostri conti pubblici è scontato che una riduzione delle entrate subito dopo si trasformerà in un altro, drammatico taglio delle spese sociali già al lumicino.

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Con il prodotto interno lordo che crescerà dello zero virgola, con l’industria in caduta libera, gli investimenti del Pnrr in ritardo, i salari bassi, la povertà in aumento, le spese in più per la difesa e i consumi che certo non potranno crescere in queste condizioni, sarà già un miracolo se nel 2025 non dovremo fare una manovra di aggiustamento dei conti pubblici. Se poi arriverà la mannaia dei dazi imposti dagli amici americani della presidente del Consiglio, i guai aumenteranno.

Si fermeranno? A leggere gli annunci che ogni giorno vengono lanciati da questo o quel ministro sembra proprio di no. Ma allora dove troverà il governo le risorse finanziarie per coprire il buco delle eventuali mancate entrate? Spoiler: in primavera il governo potrebbe fare uno o più interventi una tantum, temporanei, finanziandoli con i proventi di uno o più condoni, cioè con entrate temporanee, valide solo per quest’anno.

E dopo? Mica potranno tornare indietro. Beh, non è la prima volta. L’anno dopo, per mantenere lo sconto e non essendoci soldi, potrebbero sempre allargare le braccia, come per dire “non è colpa nostra, che ci volete fare?”, e procedere come hanno già fatto per finanziare la flat tax al 15 per cento sugli autonomi e le altre manovre, compresi una ventina di condoni: potrebbero tagliare le spese sociali e tirare una linea netta sui costi dei ministeri, giusti o sbagliati che siano.

Tanto per ricordarlo: abolito il reddito di cittadinanza e sostituito con una formula ben meno generosa e inefficace a contrastare la povertà, sanità in crisi, taglio dei fondi per l’automotive, taglio dei fondi per i comuni, taglio degli insegnanti, tagli lineari sui ministeri…

Il ministro Giancarlo Giorgetti

I lavori in corso riguardano tre interventi. Come è noto, il concordato preventivo biennale offerto alle partite Iva non ha prodotto il gettito straordinario che era stato promesso, nemmeno in presenza di sconti scandalosi e dell’ennesimo condono tombale sul passato.

Lo sapevano tutti che sarebbe finita così, per una ragione semplice: perché pagare (a meno che non convenga) se non è necessario, dal momento che questo governo propone un condono dopo l’altro?

In ogni caso, il gettito del concordato doveva servire a finanziare il taglio dell’aliquota Irpef intermedia dal 35 al 33 per cento, il più volte strombazzato alleggerimento fiscale sul ceto medio, ma ha raggranellato solo 1,6 miliardi di euro e questa somma non basta, anche se fosse stabilizzata in futuro.

Entro marzo, però, coloro che hanno aderito al concordato potranno accedere anche al condono e in quella occasione il governo si aspetta di incassare qualcosa in più. Solo che saranno soldi una tantum, cioè risorse che entrano solo una volta: quindi, non potranno essere usati per coprire spese strutturali, né il venir meno di entrate strutturali. Può Giorgia Meloni rinunciare a questa promessa? Può Forza Italia smettere di puntare i piedi per avere questo intervento? Avranno il coraggio di dire che non si può fare?

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Le dichiarazioni promettenti, e l’esperienza sulle azioni di questo governo, suggeriscono che è più probabile che ci si inventi qualche contorsionismo, qualche escamotage temporaneo per dire di aver fatto il taglio delle tasse. Temporaneo sì, ma sempre taglio. Poi, chi vivrà vedrà.

Ma non è mica finita qui. Per coloro che ricercano il consenso politico senza dover guardare a quel che accadrà dopo qualche mese, i condoni sono come la droga: finito l’effetto di una dose, ce ne vuole subito un’altra.

Ecco allora che ne sono spuntati un altro e mezzo, di condoni. Il mezzo consiste nel ripescaggio dei contribuenti che hanno perso il treno della “rottamazione” quater.

Traduzione: la possibilità di godere della quarta rottamazione delle cartelle, cioè la possibilità di usufruire del quarto condono di questo tipo per accettare il quale è ormai scaduto il termine. La scadenza verrà riaperta, si propone, fino al 30 aprile.

Nel frattempo, su sollecitazione di Matteo Salvini e sotto il benevolo sguardo di buona parte della maggioranza di destra, si sta già lanciando l’idea di una rottamazione quinquies. Un altro condono. Costo per lo Stato: non meno di 5 miliardi di euro di mancate entrate.

“Pensiamo a una proposta che permetta di raggiungere la pace fiscale per tutti quegli italiani che, in buona fede, si trovano oggi a doversi misurare con un contenzioso con l’erario” ha dichiarato il senatore della Lega Alberto Bagnai. Chiaro no? Erano in buona fede, hanno difficoltà economiche, bisogna aiutarli.

Problema: ma come si fa a capire chi era davvero in difficoltà e chi invece ha barato, se le stesse forze politiche che propongono questo nuovo condono impediscono che il fisco possa “vedere” tutte le carte? La proposta non è combinata in modo che, se chiedi aiuto, accetti di farti controllare in totale trasparenza e, se stai davvero in difficoltà, ti si aiuta. No. La proposta è che se tu dichiari di essere in difficoltà, alè, si fa la rottamazione di quel che devi, perché il fisco deve essere amico del contribuente.

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Di più: paghi in dieci anni, ovviamente senza sanzioni, ma anche senza interessi. E qui si nasconde un’altra gabola. Facciamo due conti. Ammesso che una banca ti presti 10 mila euro al 7 per cento di interesse (esempio minimalista): dopo dieci anni ne avrai restituiti 13.933,20 (basta usare uno dei calcolatori di interessi che trovi nel web per verificarlo).

Ma se tu quei soldi invece di prenderli a prestito dalla banca li prendi a prestito dallo Stato, cioè non paghi le tasse e poi va a transazione con una rottamazione del genere, non solo non pagherai quei 3.933,20 euro in più, ma in termini di valore reale ne pagherai almeno un quinto o un quarto in meno sotto forma della svalutazione del tuo debito provocata dall’inflazione.

L’imbarazzo del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che è dello stesso partito di Salvini, è stato palpabile. Non poteva dire un no secco al capo del suo partito, ma nemmeno un sì, considerato lo stato dei conti pubblici. E allora? Ni, si potrebbe fare, ma con prudenza.

Altro spoiler: è probabile che questa storia finisca come con il concordato biennale. Si comincerà con una proposta del governo, prudentissima, con margini a dir poco stretti. Poi la si presenterà in Parlamento.

E lì, passo dopo passo, i deputati e i senatori delle destre faranno a gara ad allargare le maglie, fino a spuntare un altro condono puro e semplice, magari proprio alla vigilia di qualche appuntamento elettorale. Governo con le mani pulite e Parlamento con le mani nella pasta.

E i soldi per la sanità, la scuola, l’assistenza, la ricerca, il sostegno alle industrie, i comuni, la difesa (nuove richieste Nato comprese)? Ci sono sempre da tagliare le tax expenditures, si dirà. Di più: lo si scriverà nero su bianco nei provvedimenti. Se poi non ci si riesce, sarà gioco forza scegliere la soluzione che i partiti oggi al governo hanno sempre adottato, anche nelle loro esperienze precedenti alla guida dell’Italia: tagli lineari a tutti. Con buona pace dei più deboli, che già stanno sott’acqua.

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Insomma, nulla di nuovo: è la solita ricetta mitica recitata a memoria dai tempi di Silvio Berlusconi (e ben prima di lui da Thatcher e Reagan) per rimettere le classi meno abbienti al loro posto grazie al loro stesso voto e giustificare così l’idiosincrasia per una società accudente (sanità, previdenza, assistenza, scuola…), in cui la collettività conti qualcosa.

L’obiettivo formale è sempre lo stesso: la crescita economica e la necessità, per questa ragione, di non infastidire chi produce. Ma è un obiettivo finto, come dimostra la realtà.

Per capirlo basta tenere bene a mente quattro fatti. Il primo: in tutti gli ultimi anni la crescita del Pil è rimasta debole, nonostante ogni governo che si è succeduto abbia fatto qualcosa sul piano della riduzione delle tasse, vuoi sugli autonomi, vuoi sul patrimonio, vuoi con il taglio del cuneo fiscale per i dipendenti, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico.

Il secondo fatto: la pressione fiscale in Italia è, negli anni, stabilmente ai massimi (oggi al 42,5 per cento), perché gli sconti ci sono stati, eccome se ci sono stati, ma per la rendita e per i più ricchi (secondo una ricerca della Normale di Pisa, il 5 per cento più ricco paga in Italia meno di quelli che stentano ad arrivare a fine mese); in più si è lasciata molta libertà agli evasori; ma questi cali di entrata sono stati più che compensati caricando di tasse le spalle di industrie e soprattutto di dipendenti, di pensionati e di quei pochi che sono sottoposti all’Irpef.

Terzo fatto: in questi 45 anni (1980 elezione di Reagan) una crescita c’è stata e questa sì straordinaria: quella della disuguaglianza tra i pochi diventati ricchissimi e i molti scesi in basso nella scala sociale.

Il quarto fatto: l’asfissia finanziaria (cioè i tagli dei finanziamenti per coprire con quelle risorse il risparmio di tasse per i ricchi) sta uccidendo i nostri servizi pubblici, a cominciare dalla Sanità. E ora, come ciascuno può constatare, siamo al limite. Ma non è un caso. Questa situazione non è frutto del volere del cielo: è il risultato delle scelte politiche.

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