“Su 60mila pensieri al giorno, il 90% riguarda il passato”, dice la voce narrante di Selma, la protagonista del film Cherry Juice, un titolo così fruttato e dolce, anche vagamente appiccicoso, in sala dal 20 febbraio. La constatazione vale per chiunque, ma per lei e molti altri, a Sarajevo, ha un significato diverso, proprio in questo 2025 appena iniziato ricorre il trentennale di alcuni degli episodi più drammatici della guerra in Bosnia. Dove anche se sei giovane puoi avere ricordi e immagini che non ti lasciano andare. Selma vuole liberarsene con un film, e Niklas è l’attore che dovrebbe interpretarlo. Con questo scopo atterra a Sarajevo, ma le cose iniziano a girare in modo strano, anche un po’ picaresco, a tratti. Il film di Mersiha Husagic (che si è tenuta per sé il ruolo di Selma) parla, con tanti linguaggi, di tanti tipi d’amore: quello che piano piano impiglia Selma e Niklas; quello per chi non c’è più, ma continua dannatamente a esserci; quello per una città che ne ha passate tante, ma è ancora viva; quello per la possibilità di ridere, sempre; quello per i giradischi, le vhs e le passeggiate (sottozero) in notturna. Dice che non c’è come un bacio per sbloccare il motore e ripartire. Mersiha è nata in Bosnia-Erzegovina nel 1989 e qualche anno più tardi si è trasferita ad Amburgo, dove il padre si era rifugiato a causa delle persecuzioni politiche. Cherry Juice, prodotto anche grazie a un crowdfunding, rielabora cose che ha vissuto sulla propria pelle. È un film coraggioso, onesto e persino divertente, perché non c’è nulla di male a ridere, quando si hanno tutti i motivi a essere tristi.
Mersiha, vorresti raccontarti un po’?
Sono una regista bosniaco-tedesca che vive a Parigi. Fin da quando ero piccola, mi sono aggrappata alla creatività e alla mia vivida immaginazione, il disegno era il mio rifugio dalla guerra e dalla povertà. Più avanti ho iniziato ad apprezzare il fatto di poter cambiare identità cambiando ruolo nei film, così ho studiato recitazione. Ma volevo di più, cioè scrivere e raccontare storie che mi interessavano. Così ho studiato regia e nel 2019 ho iniziato a lavorare a Cherry Juice. Era il mio film per la tesi, con cui esplorare la mia esperienza e quella della mia famiglia a proposito della guerra in Bosnia. Pensavano tutti fossi pazza a fare una fiction con il budget di cui dispone uno studente per realizzare un corto, ma il mio professore mi ha incoraggiato e… Sì, era da pazzi fare un film senza avere budget. E con solo 5 persone nel team. Ma dopo quattro anni di duro lavoro ce l’abbiamo fatta. Cherry Juice è nato nel luglio 2023.
Le giovani generazioni europee non sanno molto della guerra in Bosnia. Come spiegheresti cos’ha significato per la tua gente? E per la tua famiglia? E per te? E cosa da allora non è più stato lo stesso?
La guerra è, per me, la peggiore esperienza che possa sperimentare un essere umano. Non distrugge solo vite, ma l’umanità, e anche quando è finita continua a vivere dentro. Il trauma si trasmette da una generazione all’altra, io lo sento nel mio sangue. I genocidi avvenuti durante la guerra in Bosnia hanno prodotto le peggiori atrocità in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale. Sfortunatamente alcuni politici, quando è scoppiata la guerra in Ucraina, hanno dichiarato che si è trattato della prima guerra in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quindi è ovvio che le nuove generazioni europee non ne sappiano nulla, non la considerino parte della loro storia. Cos’ha significato per noi? Da un giorno all’altro i soldati si sono introdotti nelle nostre case, i nostri vicini volevano ucciderci solo perché avevamo nomi diversi dai loro. Il nostro valore, come esseri umani, era crollato al livello di quello dei topi. I bambini venivano uccisi, le donne violentate. Non c’era pietà. Abbiamo perso le nostre case, le nostre radici, la nostra famiglia è stata fatta a pezzi, siamo cresciuti in povertà. Per molti anni non sono riuscita a trovare un senso alla vita e alla parola giustizia. Quello che la guerra lascia dietro di sé, è irreversibile. Eppure ho speranza per un futuro migliore e spero che l’arte e la connessione umana attraverso il linguaggio universale dell’arte possano contribuire.
Se dovessi fare l’identikit del tuo film, come lo descriveresti?
Domanda difficile…. Beta Trianguli Australis, una stella doppia, ma per capire dovete vedere il film!
Cosa ha rischiato di fermarti nella realizzazione? E quando invece le cose hanno funzionato al meglio?
Quando siamo arrivati a Sarajevo c’erano 10 gradi sotto zero e i caloriferi della casa in cui dovevamo stare si erano rotti. Dopo essere quasi morta assiderata la prima notte, e dopo essermi fatta una doccia gelida la mattina prima di uscire a girare nella neve, ho deciso di provare a cercare un hotel per il mio team e per me, anche se era difficile, essendo l’ultimo dell’anno, era tutto esaurito. Ma alla fine abbiamo trovato un alberghetto piccolo e carino sulle colline di Sarajevo. Ci sono stati molti momenti felici, ma soprattutto siamo stati fortunatissimi con la neve: ogni volta che pensavo “Sarebbe bello avere dei fiocchi di neve nell’inquadratura”, iniziava a nevicare. Ricordo che Niklas e io eravamo felicissimi, anche se ci stavamo congelando non ci importava, perché era come se il paradiso ci stesse dando una mano.
Ah, Niklas Löffler! Come l’hai trovato? È adorabile e bravissimo… E sembra ci sia vera chimica tra voi. Vi siete fidanzati?
No, non siamo fidanzati, puoi averlo se ti interessa! (Ride). Più che chimica, c’è che è un attore bravissimo. E forse il segreto è che ci conosciamo molto bene da anni, per cui abbiamo meno paura di sbagliare, credo, e non dovevamo abbattere quel muro tra attore e regista che ho sperimentato a volte sul set. Nessuno doveva impressionare nessuno. Le riprese non erano guidate dal nostro ego, volevamo solo il meglio per il film. E mi sono ispirata a Niklas per il ruolo di Nikla. Di lui adoro la sua indistruttibile fiducia nella vita, ha mantenuto vivo il suo bambino interiore e questa speranza innocente e bellissima, che Selma ha perso da piccola, durante la guerra, di poter vivere il proprio sogno.
E che ci dici della colonna sonora? Come l’hai scelta e quanto è importante nel film?
È il terzo personaggio principale, ha il suo carattere, come un essere umano. Per molte persone la musica è stata importantissima durante la guerra, ha infuso un sentimento di speranza e libertà. Si tenevano concerti clandestini nonostante i grossi problemi con l’elettricità. Cercavo quello stesso spirito ribelle per Cherry Juice. La musica composta per il film accompagna lo stato emozionale dei protagonisti aggiungendo un altro strato. In un certo punto della storia, poi, ho voluto la vibrazione dei Pink Floyd – la loro profondissima esplorazione della condizione umana, della guerra e del passaggio del tempo con paesaggi sonori sperimentali. Perfetta per un momento particolare del film, verso la fine.
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