Piazze (social) piene, urne vuote. Quel disamore per la politica che polarizza il contrasto

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«Wikipedia riceve una bella impennata di donazioni quando Elon Musk chiede alle persone di non donare», così ha dichiarato il cofondatore della enciclopedia on line Jimmy Walsh. E noi tutti a festeggiare. Tutto bellissimo, però Musk ha vinto le elezioni degli USA appoggiando Trump e non ci sono state impennate di prese di coscienza degli elettori anche vagamente progressisti, e in quel caso bastava una istruzione media e un po’ di senso logico. Senza dubbio è rincuorante una reazione a difesa di uno spazio comune dove si condividono informazioni, ma sarebbe stato meglio non consentire a due folli di governare il mondo e l’unico mezzo era andare a votare contro.

E non ci sono più scuse che tengano: le critiche agli avversari dei super villain di questa storia non sono e non saranno mai sufficienti a giustificare il mancato voto, o addirittura il voto a favore di Donald bellicapelli.

Le destre vincono e i progressisti manifestano, ci siamo divisi così i compiti nel mondo, con poche e felici eccezioni. In Francia le manifestazioni hanno portato ad un risultato effettivo, vedremo cosa accadrà in Germania il 23 febbraio. Nel frattempo si scende in piazza per arginare le destre. La vecchia analisi di Nenni torna ancora una volta attuale, ma con una accezione particolare: una totale polarizzazione delle azioni che passano per una diffusa disaffezione per la politica militante. Quella che da Mani pulite é diventata una maleparola, la politica (a noi verrebbe da scriverla con la maiuscola) è sparita dalle urne in favore del movimentismo, quello di pancia, quello che parte dal Vaffa italiano e arriva ai Provita statunitensi.

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Gli orfani della politica scendono in piazza e fanno battaglie sul web, battaglie che non sempre danno esito: ricordate la manifestazione contro la Brexit? Ecco, va così da alcuni anni. Il perché è piuttosto evidente: il sostegno di piazza si trasforma in sostegno effettivo, quindi in voto, quando ci si fida delle azioni politiche, ovvero si diventa votanti solo se le battaglie si traducono in risultati. Anche inventati. Prendete Meloni, appena insediata ha fatto solo leggi propaganda per lanciare un osso al suo elettorato, tanto che molti tornerebbero a votarla benché non abbia fatto nulla di quello promesso in campagna elettorale. Non ci sono stati meno sbarchi, non ha abolito le accise, nemmeno le ha diminuite, anzi. Ma urla di grandi risultati, mai avvenuti e quasi tutti le credono. Almeno l’italiano medio che le ha dato il voto.

In Spagna (ma anche in Francia) accade esattamente il contrario: la parola politica si pronuncia ancora con la maiuscola e quello che si promette in campagna elettorale viene mantenuto. Soprattutto la sinistra fa ancora la sinistra senza sentirsi intimidita da cattolici e ricchi “regressisti”. Sanchez vince perché fa cose di sinistra: il salario minimo, la diminuzione della giornata lavorativa a parità di stipendio, leggi sulla parità e contro la violenza di genere. Insomma mette in atto il programma elettorale per il quale è stato eletto. Questo rafforza la fiducia e probabilmente assicura risultati futuri. E nessuno ha smesso di manifestare: si lotta per nuovi diritti, sempre. Quando si ha un interlocutore vero non ci si accontenta dell’osso gettato da un direttore marketing. Noi siamo in balia del vecchio adagio: «Signore mai peggio».

L’ultima volta che l’Italia ha avuto un vero governo di centro sinistra fu col secondo governo Prodi. La coalizione vinse grazie ad un poderoso programma fortemente progressista e cadde, grazie a Mastella, sulle unioni civili, ovvero quando si lavorava alla realizzazione di un punto del programma. Un tradimento attivo dell’elettorato che ormai nessuno nota più, siamo assuefatti alle bugie e ci limitiamo a litigare online, ma non abbiamo più voglia di sostenere qualcuno con il voto. Il mantra è: tanto è tutto inutile. Una posizione qualunquista che purtroppo ormai trova riscontro nella realtà.

Uno studio avvenuto in una Università belga ha messo in esame la discrepanza tra partecipazione di piazza e mancato sostegno effettivo. Ad essere preso come esempio un movimento studentesco nato per contestare l’aumento delle tasse universitarie. Il movimento raccolse una discreta partecipazione, ma quando si propose di non pagare la rata successiva, il movimento di sciolse. Dalle interviste risultò che i partecipanti al movimento avevano percepito come poco efficace l’azione proposta. La mancanza di fiducia in chi ci rappresenta fa la differenza.

Il caso di Elodie, che dice che non voterebbe Meloni nemmeno se le tagliassero una mano, e però non le piace nemmeno Elly Schlein perché poco carismatica è un esempio paradigmatico. Alla segretaria del Pd si imputa uno scarso appeal, insomma non riesce a generare fiducia. Eppure è difficile trovare qualcosa di sbagliato nelle affermazioni di Schlein, né nella sua determinazione a rinnovare il partito per ritrovare la antica forza. Il problema è una stupida polarizzazione delle posizioni: non si discute per capire, non c’è più un dibattito, ma solo accuse e scuse: uno contro l’altro, bianco o nero, senza scala di grigi. La modalità social ha vinto e si parla dal vivo come se si commentasse un post online, da hater: raccontando bugie senza ritegno, facendo a chi grida più forte, ma mai, mai, entrando nel merito. A nessuno importa più capire, ma solo avere ragione.

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Persino col Festival di Sanremo non si possono formulare critiche: o sei con me o sei contro di me, se il Festival ha fatto record di ascolti allora hanno perso i politici di sinistra e il vecchio conduttore, perché questo festival è l’apice della Telemeloni e se non ci piace è perché siamo come sempre ideologizzati, non perché è stato il Sanremo più insulso di sempre. Eh ma ha fatto record di ascolti, è la vulgata. Ok anche Trump ha stravinto in Usa. Scegliere quello che piace alla maggioranza non è sinonimo di qualità, ma di democrazia.

Ed è la stessa democrazia che ci permette di criticare quello che ha scelto la maggioranza senza essere additati come pericolosi sovversivi. Come se il democristiano Amadeus fosse un bolscevico (e come se gli fossero state risparmiate le critiche da ogni parte, politica e non). Tra l’altro trasformare persino Sanremo in una guerra per bande è davvero il capolavoro della nostra presidente del Consiglio, che fa politica, ma riesce a rendere “ideologico” (come amano dire i suoi amici) persino le canzonette.

Sarebbe ora di tornare a fare politica per smettere di politicizzare anche il Festival di Sanremo. Non gettiamo via lo spartito, o la musica sarà sempre la stessa.

Foto: RSI/keystone





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