Prato, suicidio con la bomboletta del gas. Lettera al sindaco

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16 Feb 2025
Vito Totire
Foto dal sito poliziapenitenziaria.it

Lettera aperta di Vito Totire alla sindaca di Prato in seguito al suicidio in carcere di un detenuto di 32 anni per inalazione del gas di un fornellino (secondo mezzo suicidario in carcere dopo l’impiccagione). Oggetto: morti in carcere.

“Non intendiamo solo mettere “il dito nella piaga” ma fare una proposta precisa che stiamo cercando di diffondere (vox clamans in deserto) quantomeno dal 2004. Apprendiamo la drammatica notizia dell’ennesimo morto “suicida” all’interno del carcere di Prato: un giovane di 32 anni; i “precedenti” del carcere di Prato lei li conosce meglio di noi quindi non ci soffermiamo.

Ogni luogo di lavoro in Italia ha una sua valutazione del rischio (DVR) introdotto formalmente come documento in forma scritta nel 1994; il carcere non ha un DVR sistemico salvo un DVR limitato ai lavoratori dell’istituto; ma al di là delle procedure formali ci chiediamo perché l’istituzione continua a tacere sul rischio connesso alla circolazione di bombolette di gas. La domanda è retorica: è storicamente peculiare delle istituzioni totali l’insensibilità al tema della prevenzione della salute e degli “incidenti”; sta di fatto tuttavia che la gestione attuale delle bombolette nelle carceri si configura come un vero e proprio “crimine di pace” (per usare un termine suggerito da Franco Basaglia). 

I crudi dati epidemiologici ci dicono che le bombolette di gas sono il secondo mezzo suicidario in carcere dopo l’impiccagione; non siamo ingenui e sappiamo bene che la prevenzione del suicidio non può fare affidamento solo sulla non disponibilità del mezzo autolesivo ma consentire ancora la circolazione di bombolette in carcere rappresenta comunque una facilitazione all’atto; ciononostante diverse persone che commentano eventi luttuosi come l’ultimo del carcere di Prato parlano delle bombolette come di un oggetto “regolarmente detenuto” che servirebbe (dicono) a riscaldare i cibi.

Non ci siamo! L’apparente “liberalità” nella distribuzione delle bombolette nelle carceri ha la funzione di tamponare una incapacità dell’istituzione di gestire il cibo e l’alimentazione in maniera adeguata; la carta dell’ONU (1965) che fa riferimento alle persone private della libertà include tra i diritti fondamentali quello della disponibilità del refettorio; viceversa nei penitenziari italiani c’è una commistione inaccettabile tra spazi dedicati ai servizi igienici e spazi dedicati alla pulizia delle stoviglie e, in sostanza, quasi tutti i detenuti mangiano “in camera” che quindi non è solo “di pernottamento” come eufemisticamente viene definita, da qualche anno , la cella.

Ma c’è una altra questione che va oltre il rischio suicidario e riguarda la condotta cosiddetta “voluttuaria” che in sostanza è condotta autolesionista; contrasta palesemente con ogni programma o piano di prevenzione, ancorché “minimo”, la diffusione delle bombolette ad una popolazione così pesantemente connotata da condotte tossicodipendenti o da pulsioni tossicofile; ci risulta che comunemente la bomboletta venga definita “da campeggio”: il carcere di Prato non è tuttavia un “campeggio”.

La disponibilità del mezzo suicidario/voluttuario peraltro ci mette in condizione ogni volta, nelle tristi e drammatiche indagini post-morte, a interrogarci: si è trattato di un suicidio o di un epilogo preterintenzionale di una condotta non suicidaria? Non che l’interrogativo post-morte sia particolarmente significativo se vogliamo fare davvero prevenzione. Sul fatto che poi certi eventi possano essere considerati suicidi “volontari” e non suicidi incentivati o del tutto reattivi a condizioni di costrittività e di deprivazione socio-sensoriale evitabili, è tutto da discutere ma non lo faremo in maniera esaustiva in questa breve lettera aperta.

Vogliamo evitare una chiave di lettura della nostra posizione come “proibizionista”; intendiamoci: non si tratta solo di evitare il mezzo che facilità il passaggio all’atto (togliere bombolette, lenzuola, lacci ecc.) ma si deve dare anche una risposta alla pulsione tossicofila che è dietro la condotta autolesionista e la risposta deve essere la capacità di presa in carico del disagio, anche qui, senza usare la “scorciatoia miracolistica” della overdose di psicofarmaci “legali”.

In sostanza la bomboletta è un evento sentinella pesantemente ignorato, nello stile più classico delle istituzioni totali, ma è ora di dire “basta”. Sappiamo ovviamente che a Prato si discute da tempo sulla drammatica situazione del carcere ma se non si trova il bandolo della matassa rimaniamo legati al palo come confermato, purtroppo, dall’attuale andamento degli eventi suicidari che non evidenzia nel 2025 una controtendenza rispetto al disastroso 2024; non si tratta di “contare i numeri” e di sperare che in una riduzione degli eventi, si tratta di concretizzare un piano che garantisca alle persone private della libertà la stessa speranza di vita e di salute che auspichiamo per tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta.

La totale “impotenza” dei decisori politici nazionali/governativi ci fa pensare che una àncora di salvezza possano essere i sindaci in virtù del loro ruolo di “autorità sanitaria locale”.

Ormai siamo stanchi e nauseati delle parole al vento “il giorno dopo”; signora Sindaco accolga il nostro invito a parlarne nella ipotesi di emanare una ordinanza che possa “bonificare”, per quanto possibile, le gravi condizioni di rischio presenti nel carcere di Prato e che possa aprire un varco nella direzione del rispetto della vita e dei diritti umani delle persone private della libertà, il che sarebbe un vantaggio per la civiltà di tutto il paese. Se ne vogliamo “parlare” siamo disponibili”.

 



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