Doppia reazione, ieri, da parte della Ue alle ultime prese di posizione arrivate da Washington. Da Monaco, alla Conferenza sulla sicurezza, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato che Bruxelles vara una «escape clause», una clausola di emergenza, che permetterà ai 27 di aumentare la spesa militare senza aggravare le infrazioni nei confronti dei parametri europei, una decisione che interessa soprattutto i paesi più indebitati, a cominciare da Grecia e Italia (ma la Francia segue a ruota). Non era stato possibile incrinare il corsetto del Patto di stabilità per la spesa sociale, lo sarà per la difesa.
POCHE ORE PRIMA, da Bruxelles, la Commissione ha difeso il commercio Ue (il blocco è la prima potenza commerciale mondiale), rispondendo in modo secco all’ultimo assalto di Trump sui dazi «ingiustificati» – l’occhio per occhio dente per dente, imporre una «reciprocità» tariffaria automatica, per tutti i paesi e per tutti i prodotti. Una mossa che contraddice le norme della Wto, che puntano a un equilibrio globale negli scambi e hanno misure protettive per i paesi più deboli, le prime vittime dell’ultima mossa di Trump.
L’EUROPA, paralizzata dall’angoscia del ritorno della guerra sul suo territorio, entra a pieno titolo nella corsa agli armamenti, lo ha chiesto Trump ma lo fa di sua spontanea volontà. La presidente della Commissione non ha presentato la scelta della clausola di emergenza sulle spese per la difesa, già concordata con gli stati membri, come un cedimento all’ingiunzione di Trump, che vorrebbe imporre un aumento fino al 5% del pil per gli europei. Ursula von der Leyen ha inserito la questione della spesa nel contesto della guerra in Ucraina, che obbliga l’Europa a preoccuparsi della propria difesa sotto la minaccia di un disimpegno Usa: i paesi Ue sono passati da una spesa di 200 miliardi di euro per la difesa prima dell’aggressione russa a 320 miliardi nel 2024, arrivando a una media del 2% del pil, obiettivo che era stato individuato dalla Nato.
L’Europa parteciperà ai negoziati con la Russia? «Certo, che dovrebbe, certamente», ha affermato ieri a Monaco il vicepresidente J.D.Vance. Von der Leyen ha ricordato a Trump che un’Ucraina «perdente indebolirà la Ue ma anche gli Usa», cioè esiste un’alleanza occidentale che oggi Washington sta mettendo in difficoltà, con l’incomprensibile cedimento di fronte a Putin prima ancora che siano iniziati i negoziati, su tre punti che interessano Mosca e che possono essere discussi, ma non adesso con la guerra in corso: la cessione di territori ucraini alla Russia, la negazione dell’adesione di Kyiv alla Nato e la richiesta di elezioni in Ucraina (che aprirebbero la possibilità di creare un governo fantoccio).
URSULA VON DER LEYEN ha insistito sulla «pace giusta» e sottolineato che bisogna evitare che «gli autoritari di questo mondo osservino con attenzione se c’è un’impunità quando invadono il vicino e violano le frontiere internazionali», affermazione che vale per la Russia ma anche per la Cina (che minaccia Taiwan). «L’Europa deve cambiare» ha spiegato von der Leyen, per adattarsi alla «nuova realtà» di un mondo con un approccio più «competitivo» e «transazionale».
Sui dazi, la Commissione ripete che sono «un passo nella cattiva direzione», «senza giustificazione» e spiega che Bruxelles ha «i più bassi al mondo» (più del 70% dell’import europeo è senza dazi). Per la Ue, che vuole evitare la fuga degli investimenti verso gli Usa e reazioni da si salvi chi può che dividono il blocco, «i dazi accrescono incertezza economica e perturbano l’efficacia e l’integrazione dei mercati mondiali».
OLTRE AL CONTROSENSO della «reciprocità» alla cieca, Trump ha preso di mira anche l’Iva, con un’assurdità, perché le merci europee pagano l’imposta sul valore aggiunto con tassi variabili a seconda delle merci e dei paesi, allo stesso livello di quelle Usa e di altri paesi sui mercati Ue. La Commissione ha ricordato ieri che la Ue, prima potenza, è «legata a un sistema commerciale mondiale aperto e prevedibile, che va a vantaggio di tutti i partner». E ha messo in guardia gli Usa, che imponendo dazi «tassano i loro cittadini, aumentano i costi per le imprese, frenano la crescita e alimentano l’inflazione».
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