Spreafico e l’incontro per “Immaginare la Pace”, e magari per realizzarla – AlessioPorcu.it

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L’evento è previsto il 20 febbraio presso l’auditorium diocesano di Frosinone alle 18 con il professor Impagliazzo come ospite

Banale e gigante al contempo, quell’assioma per cui immaginare la pace è azione che non prescinderà mai dalla costruzione di un dialogo. E, come accade con tutte le cose banalmente immense, quando Ambrogio Spreafico ribadì questo concetto, lo stesso sembrò un’invocazione di prammatica. Una cosa detta da un alto prelato che deve stare nel novero delle cose che un alto prelato deve dire, per natura del suo mandato e per intima convinzione di un presule esegeta di concordia ed amore.

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Come al solito lo sbaglio lo compiamo noi, noi terragni, noi “civili”. Noi che ogni volta che si parla di Pace, imbevuti di social e saccentismo spicciolo, proclamiamo che la pace è un concetto vago. Una chimera etica che il più delle volte cozza con le rigide regole di una geopolitica che non capiamo, ma che fa scudo ottimale alla nostra indifferenza.

Lo scudo alla nostra indifferenza

A quella ed alle nostre iperboli, alla nostra intolleranza, al nostro essere incasellati – supini e comodi – ad un modo hegeliano di leggere il mondo. Anche se l’80% d noi crede che Hegel sia una marca di formaggini bavaresi poco importa: parlare di pace in maniera talmente compiuta da fare la nostra piccola parte per realizzarla è scomodo. Ed ingombrante per noi che – pigri- della storia seguiamo i flussi e non la bussola etica. Il vescovo della diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone Veroli-Ferentino aveva spiegato questo concetto già a febbraio.

Intervistato da Maria Chiara Biagioni di Sir aveva chiosato. “Il dialogo è l’antidoto perché il dialogo è la via alla pace e alla convivenza. Se noi non ci parliamo, come facciamo a conoscere il pensiero, la vita, i sentimenti e le speranze dell’altro?”.

Connettersi, con le parole giuste

Il segreto sta tutto qua, in questa capacità di interconnessione che abbiamo perso. In questo smarrimento di interfaccia con il prossimo che ammala anche i nostri sistemi complessi endogeni. Come si fa a scongiurare l’abberazione del silenzio e di quel che ad esso succede se manca un linguaggio, o se a volte quel linguaggio è troppo criptico per mutare le cose invece che limitarsi a chetare le nostre coscienze fino al prossimo evento in cui indossare il cappotto buono?

Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica

Come potevamo mai sperare di scongiurare, oltre un contingente tremendo e forse ingovernabile, le morti di Emanuele Morganti, Willy Monteiro e Thomas Bricca se dentro al loro sangue versato ci sono state non solo azioni criminali di bruti, ma anche, pregressamente, ugole mute e parole incomprensibili o di facciata?

Emanuele, Willy, Thomas ed altri silenzi

Da questo punto di vista il distinguo tra il neonato antisemitismo successivo al 7 ottobre 2023 ed ogni possibile casella di conflitto-scontro è solo l’effetto di una causa che non riconosciamo più. Manca il dialogo. Spreafico aveva detto: “Ciò che manca oggi alla nostra società, non solo nel rapporto tra cattolici ed ebrei, è il dialogo. Oggi non ci si parla, non si ascoltano i giovani, non si ascoltano i vecchi, non ci si ascolta tra di noi. Questo è il grave problema del nostro modo di vivere oggi insieme.

Pensiamo alle guerre: se non c’è un dialogo, se non ci si mette intorno a un tavolo, come si fa a ipotizzare, a immaginare la pace?”.

Foto © Stefano Strani

Ecco perché per immaginarla come lessico universale e non più come Parola da Raggiungere, Verbo Altero verso cui inerpicarsi o paradigma generalista per giovedì 20 febbraio il vescovo ha voluto e promosso un appuntamento molto importante. Si terrà presso l’auditorium diocesano di Frosinone, in viale Madrid, alle 18 e con un tema che è uno specchio.

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L’appuntamento a Frosinone

Una superficie riflettente implacabile sulla differenza tra concionare ad agire. Tra sapere e condividere. Tra il lessico di una società che deve cambiare e le pagine vuote di una società che può limitarsi a deprecare il mancato cambiamento. Ma che non sa parlare più ai suoi membri. Il tema sarà “Immaginare la Pace. Il Giubileo, anno di speranza e riconciliazione”. L’evento rientra nell’ambito delle “iniziative di approfondimento e di formazione per il Giubileo 2025 fortemente volute dal vescovo Ambrogio Spreafico”.

Ambrogio Spreafico

Ad introdurre il presule ciociaro. Poi sarà la volta di una persona che viene, vive, respira ed agisce nell’esatto contesto in cui parlare di Dio significa saper parlare con il suo gregge. Con quello e con la parte di esso che forse troppo frettolosamente abbiamo eliminato dal vocabolario attivo della militanza del Bene. Perché a troppi di noi alla fine i reietti piacciono e “piace” il fatto che ci siano.

Per esaltare il fatto che reietti non lo si sia noi. Oppure per glorificare quella parte di noi che ogni tanto si ricorda di loro secondo regole di bon ton sociale.

Impagliazzo e l’impegno

Si tratta del professor Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Roma Tre. Il 62enne romano è stato recentemente “riconfermato come presidente della Comunità di Sant’Egidio per il prossimo quinquennio”.

Foto Geralt / Pixabay

Un uomo che le agende di falsa empatia le schifa. Uno che per il lustro che arriva ha invitato la Comunità a “rafforzare il suo impegno per la pace e l’attenzione alle diverse periferie geografiche e ‘della vita’, nell’amicizia che ha sempre avuto con i poveri in tutto il mondo”, come spiega Igor Traboni.

L’impegno come valore

Ed il senso sta tutto in quella parola: “impegno”. Perché non ci sono seme o terra grassa che tengano di fronte ad un innaffiatoio sbagliato. E perché l’acqua più rorida è quella delle parole giuste e giustamente dette.

Spiegare ad un 15enne che forse la vita è qualcosa di più di un dissing è la cosa più difficile del mondo. E la più bella e tonda quando ci si riesce.

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Per ognuno di quelli che camminano su questo mondo. Quelli a cui vorremmo parlare ma di cui non conosciamo più il lessico. E perché parlare agli ultimi ultimi usando il linguaggio dei primi è un errore madornale.



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