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Ogni volta che in Italia si parla di pressione fiscale, si apre il dibattito se essa sia in aumento o in diminuzione. A introdurre l’argomento è stata il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un video pubblicato sui social in cui afferma che “è falso che il nostro Governo aumenta le tasse, noi le abbassiamo”. Cerchiamo di capire quanto affermato dalla Premier sia vero oppure no. In nostro soccorso arrivano i dati del Documento di Economia e Finanza approvato a fine dicembre 2023. In esso, l’Esecutivo prevede imposizione al 42,5 per cento nel 2023; al 42,1 per cento nel 2024; e al 42,4 per cento nel 2025.
Le previsioni, dunque, davano una leggera diminuzione delle imposte in Italia per l’anno in corso. Istat Si sa, però, che raramente quanto previsto dal Def trova riscontro nella realtà. Capita cosi oramai da almeno trent’anni a questa parte. Un Governo fa previsioni ottimistiche per l’anno successivo salvo poi, dopo sei mesi, dover correggere quanto indicato per evitare di “scassare” i conti pubblici. Alla ricerca della reale pressione fiscale in Italia, allora, viene in nostro aiuto l’Istat. Secondo l’Istituto di Statistica, nel secondo trimestre del 2024, “La pressione fiscale è stata pari al 41,3 per cento, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”. In base alle indicazioni ufficiali, la pressione fiscale ad oggi non è diminuita in Italia ma è in leggero aumento.
A dare man forte alle indicazioni dell’Istat, ci sono anche i dati in valore assoluto degli incassi da imposte e tasse. La Ragioneria dello Stato, infatti, certifica un aumento degli incassi da imposte del 7,5 per cento nei primi sei mesi dell’anno rispetto al 2023, cioè quasi 18 miliardi di euro in più. Questo aumento è dovuto alla lotta all’evasione, all’aumento del gettito Irpef, alla crescita dell’inflazione e all’aumento del numero di occupati. Tecnici Per cercare di analizzare meglio la pressione fiscale, però, non ci accontentiamo solo dei dati Istat. Analizziamo anche il report della Fondazione dei Dottori Commercialisti, “la pressione fiscale reale risulterebbe pari al 47,4 per cento nel 2023 e si ridurrebbe al 46,8 per cento nel 2024 per poi risalire nel 2025 al 47,2 per cento e stabilizzarsi al 46,9 per cento nel periodo 2026-2027”. Come mai una differenza cosi grande con le stime del Governo e i numeri dell’Istat? Semplicemente perché i commercialisti calcolano la pressione fiscale togliendo l’economia sommersa dal Prodotto interno lordo. Pertanto, nell’economia reale gli italiani risulterebbero i più tartassati d’Europa visto che il Paese dove si pagano maggiori imposte è la Danimarca con una tassazione complessiva pari al 47,6 per cento. In ogni caso, un livello cosi alto da rendere il sistema italiano uno dei più ingessati nell’Occidente anche perché imposte e tasse non vengono spese in maniera efficiente dalla macchina burocratica italiana creando lungaggini e ostacoli per imprese e cittadini. Ma questo è un altro discorso. Misure Per quanto riguarda la riduzione del carico fiscale, al momento l’Esecutivo Meloni ha attuato due sole misure: il riordino delle aliquote Irpef e l’allargamento della flat tax per le partite Iva. Il taglio del cuneo fiscale, infatti, è stato riproposto dal Governo Draghi, dopo una parentesi dell’esecutivo Renzi, e confermato da Palazzo Chigi. La nuova Irpef, poi, crea un sistema di vantaggio solo per coloro che guadagnano più di 28mila euro lordi l’anno in una Paese in cui la dichiarazione media non supera i 22mila euro. Ombre si stagliano anche sul taglio del cuneo fiscale. La sua riduzione permette di avere più soldi in busta paga per alcune categorie di lavoratori. Molti di questi hanno poi trovato l’amara sorpresa del salto di scaglione Irpef. Quindi hanno avuto più soldi ma hanno dovuto pagare un conguaglio che, in pratica, ha tolto quanto guadagnato con il taglio della contribuzione. A questo punto sarebbe necessario una analisi settoriale della pressione fiscale. Avendo scaglioni in base al reddito, essa andrebbe misurata proprio in base alle classi di salari per capire effettivamente quanto un singolo italiano paga in media. Quello che è certo è che la spesa pubblica italiana è troppo alta e che ogni euro incassato in più per la lotta all’evasione andrebbe destinato per diminuire il livello di tassazione. Il nostro sistema fiscale, però, è di una tale complessità che non permette una analisi oggettiva e puntuale. Ecco perché il Governo dichiara una stima, Istat ne produce un’altra e per i tecnici è un’altra ancora.
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