Palermo, i milioni delle scommesse e la lista dei boss stipendiati

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PALERMO – “Ho preso ora… quindici milioni di gioco”, diceva Angelo Barone, imprenditore tra i più noti delle scommesse on line.

Un’ulteriore espansione affaristica, connessa allo sviluppo tecnologico riguarda il settore dei giochi e delle scommesse digitali che subentrando alle vetuste riffe, in realtà rappresenta oggi una delle attività più remunerative di Cosa Nostra”. Così scrive la Direzione distrettuale antimafia nell’atto di accusa che ha portato al maxi blitz dei giorni scorsi.

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I progetti di espansione

Francesco Stagno, accusato di essere il braccio destro del reggente di San Lorenzo, Nunzio Serio, voleva “fare le cose in regola per camminare e ingrandire… perché qua il cervello per migliorare ce l’abbiamo… se noi dobbiamo andare a prendere cani di mannara che ci dobbiamo andare con i ferri a casa e gli dobbiamo andare a tirare (sparare ndr) di sopra per pochi spiccioli non vale la pena”.

Esiste una rete di agenzie controllate direttamente o indirettamente dalla mafia. Significa che alcune sono intestate a dei prestanome, mentre altre pagano ai boss una percentuale sugli incassi delle giocate.

I pannelli del totonero

Questo per quanto riguarda le scommesse che passano dai circuiti legali perché sottobanco sono attivi i “pannelli” del totonero che scaricano le puntate su siti esteri illegali. Domenico Serio, fratello di Nunzio, faceva riferimento ai “rientri” e cioè alle somme che le varie agenzie impegnate avrebbero dovuto versare. Anche le parole di Stagno, divenuto il referente unico del settore, darebbero la misura del giro di affari: “Tutte cose insieme a livello di commissioni mensili… giocato, se fa duecentomila qua e trecentomila qua”.

A San Lorenzo avrebbero siglato un accordo con Barone che avrebbe messo a disposizione la sua competenza. Stagno era felice della nuova piattaforma di gestione del gioco clandestino. “La skin ti piace giusto?”, chiedeva Barone. Stagno rispondeva: “Ma non solo a me, a tutti piace… ma anche i colori… la velocità… mi un mostro”.

Affari in corso a Porta Nuova

Con il gioco fanno soldi anche a Porta Nuova dove a gestire gli affari sarebbe stato Pietro Pozzi. Quando si pentì Filippo Di Marco temeva ripercussioni: “Ora ci mettono sotto intercettazione”. Tanto che voleva “andarsene” perché “con questo ci andiamo ad ammazzare”.

Nel frattempo accettò il consiglio di Stefano Comandè di “spostare tutte cose”. Comandè sarebbe stato uno dei fedelissimi di Tommaso Lo Presti, il lungo, e Giuseppe Auteri, e avrebbe preso in mano la gestione del gioco quando Pozzi fu arrestato.

Soldi ai boss detenuti

Nel covo dove lo scorso marzo è finita la latitanza di Auteri i carabinieri hanno trovato una lista di persone detenute che ricevevano assistenza economica dalla cassa del mandamento: “Jaki” (identificato da chi indaga in Gioacchino Pispicia) , “Pisp” (Salvatore Pispicia), “Tomm Pacch” (il capomafia Tommaso Lo Presti, detto il pacchione), “il lungo” (Tommaso Lo Presti, anche lui capomafia e soprannominato “il lungo” per non confonderlo con il cugino), “Roma” (sarebbe Gaetano Badalamenti, uomo del pizzo), “Lipari T” (Onofrio Toni Lipari, sotto processo per l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo), “Nonn” (l’anziano Calogero Lo Presti), “Paolino” (Paolo Calcagno, che è stato reggente del mandamento).

I soldi delle scommesse servono anche a garantire la catena di solidarietà, vitale per la sopravvivenza di Cosa Nostra. La conferma arriva da un’intercettazione di Serio. A ricevere sostegno economico erano capimafia detenuti del calibro di Totuccio Lo Piccolo, con la moglie Rosalia Di Trapani, i figli Sandro e Calogero, Giulio Caporrimo: “… io so che Giulio è a posto, mio cugino Calogero è a posto, suo padre è a posto, lui è a posto… se mi porti questi cinquemila euro per Natale e io gli devo dare mille euro a Giulio, mille euro a mio cugino Calogero, mille euro a suo padre, mille euro a suo fratello e mille euro a mia cugina Rosalia che è con gli arresti domiciliari là sopra, glieli devo mettere dalla tasca io a suo figlio già glieli ho mandati”.

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Saldo e stralcio

 

Una situazione che aveva finito per creare malumori. Francesco Mulè, oggi detenuto, all’epoca reggente della famiglia di Palermo Centro, a proposito del mantenimento di Giovanni Castello diceva: “Ma questo non è che… gli pare che c’è… la banca. Non è che, per dire, uno è impiegato all’Inps”.



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