Nuovo Giornale Nazionale – QUALCHE RIFLESSIONE SUL PERICOLO DEL RITORNO DELL’ANTISEMITISMO

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GIANCARLO ELIA VALORI*

Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France

Honorary Professor at the Peking University

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L’antisemitismo è una delle maggiori minacce alla pace mondiale oggi.

Sembra strano dirlo, ma è così. Intanto, assistiamo al “ritorno del rimosso” nei Paesi che in qualche modo avevano sostituito l’ideologia antisemita con le grandi narrazioni politiche superate dalla globalizzazione e dalle grandi trasformazioni successive al 1989.

  In un certo senso, l’antisemitismo è parallelo alla rinascita delle ideologie nazionaliste e delle identità locali, fenomeni successivi alle ristrutturazioni geopolitiche che hanno seguito alla fine della guerra fredda.

  La riformulazione dello spazio geopolitico centrale della “Grande Germania” ha riproposto le identità tradizionali dell’area, tutte in qualche modo collegate all’antisemitismo.

  La caduta del collante titoista nei Balcani ha ripreso le tradizioni locali, anch’esse tutte in qualche modo integrate dall’antisemitismo, vero e proprio “internazionalismo reazionario”.  La Francia cerca la propria “grandeur” post-gollista nella sua tradizione antisemita, elemento caratteristico di tutte le sue anime antimoderne.

  Anche in Italia, il progetto eurasiatico diffuso tra destra radicale e sinistra estrema ripropone l’antisemitismo come essenza dell’antisionismo.

  Nella caduta della tensione culturale per l’identità europea, risorge l’Europa delle piccole patrie, nata insieme all’antisemitismo moderno.

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  Insomma, l’antisemitismo è un tratto essenziale, e straordinariamente pericoloso, delle culture politiche emergenti oggi in Occidente.

  Anche negli USA, si stanno diffondendo modelli politici, trasversali tra destra e sinistra, nei quali l’antisemitismo è in qualche modo occultato dalla necessità di evitare, come dicono alcuni think tanks conservatori, di “proteggere Israele in Medio Oriente contro i nostri veri interessi”.

  Ma qual’è il senso geopolitico dell’antisemitismo oggi? Possiamo arrischiare alcune ipotesi teoriche, che naturalmente sono mutuamente compatibili.

  C’è l’antisemitismo che implica la necessità di un accordo globale con l’Islam, radicale o meno, e che tende quindi a buttare a mare il piccolo stato di Israele per evitare le minacce contro l’Europa da parte del jihad islamista.

   C’è poi l’antisemitismo antiglobalizzatore, che vede nella apertura dei mercati e nella finanziarizzazione dell’economia la solita “cospirazione ebraica” per diluire le nazioni dei “gentili” e arrivare al potere.

  La fortuna delle narrazioni cospiratorie sui “Protocolli dei Savi di Sion” è indicativa al riguardo.

   Vi è poi l’antisemitismo come vero e proprio anticapitalismo, punto di convergenza tra rifiuto della società moderna a destra come a sinistra.

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  Infine, abbiamo a che fare con l’esigenza della ricostruzione delle radici dopo che l’Unione Europea non è divenuta un progetto culturale e ideologico di potere pari a quello di unificazione dei mercati, sviluppatosi fino al progetto recente di Costituzione dell’Unione Europea.

  Nel vuoto culturale e nella paura generalizzata nuotano soprattutto le paure ataviche, e quindi l’antisemitismo.

   Bisogna poi riconoscere, sul piano storico, che la diffusione dell’antisemitismo, prima della conoscenza di massa della terribilità unica della Shoah, era tale da caratterizzare diffusamente la cultura politica di massa nei Paesi europei.

  I “volonterosi carnefici di Hitler”, come sono stati chiamati da uno storico qualche decennio fa, erano antisemiti non solo perché nazisti, ma poiché il nazionalsocialismo pescava nella lunga tradizione di antisemitismo popolare della cultura nazionalista, prussiana, protestante, militarista che collega tutte le varie fasi della storia del Reich prima di quello “millenario”  di Hitler.

   Anche gli USA, hanno scoperto la pericolosità dell’antisemitismo, peraltro ampiamente diffuso anche nella classe dirigente WASP, basti pensare a Henry Ford I e alla sua opera di sostegno delle riviste filohitleriane in USA. 

   E’ la guerra fredda che cambia le carte in tavola, quando il filoarabismo dell’URSS sposta gli USA verso Israele.

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   Finita la guerra fredda, cessano di conseguenza, in USA e ancor di più in Europa, i meccanismi politici che hanno tenuto a freno l’antisemitismo e lo hanno interdetto come discorso “politically correct”.

   E’ quindi essenziale leggere l’antisemitismo e l’antisionismo come pericoli essenziali per la pace e la stessa civiltà europea.

   Il presupposto per cui “urtare il mondo arabo” con l’amicizia verso Israele si è dimostrato, per usare una espressione di Mao Zedong, una “tigre di carta”. L’avvicinamento tra Israele, il sostegno alle comunità ebraiche in Europa e in Italia, la politica intelligente del Vaticano intrapresa da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e da Papa Francesco non solo non ha creato reazioni pericolose nei paesi arabi moderati, ma anzi ha reso più credibile la politica mediorientale dei Paesi europei che l’hanno intrapresa, e dell’Italia in particolare.

   L’antisemitismo è il coacervo politico che caratterizza in modo violento e regressivo tutte le “fughe dalla realtà” che informano molte ideologie popolari contemporanee.

   Non bisogna mai abbassare la guardia contro questo pericolo. Esso non riguarda solo Israele, ma la fisionomia della nostra civiltà, e comporta una negazione di tutti i nostri valori democratici, sia per gli ebrei che per i non ebrei.

   Tutti i pericoli seri per la civiltà e la democrazia sono stati caratterizzati dall’antisemitismo e dall’antisionismo: i giovani della sinistra extraparlamentare che hanno partecipato alle azioni di “Al Fatah” contro l’esercito israeliano, i neonazisti addestrati in quegli anni dalle stesse strutture che sostenevano la sinistra estremista, la propaganda di certi gruppi sedicenti “tradizionalisti” sono stati tutti elementi di crisi strutturale dell’Europa, e dell’Italia nel contesto di quegli anni e di oggi.

  Per evitare l’antisemitismo, occorre quindi una forte, continua, radicale polemica culturale e politica, e occorre inoltre capire che, senza l’Ebraismo, non si dà alcuna idea di Europa, e nemmeno di democrazia moderna. “Ce qui est libèral est juif”, amava ripetere Renan, e questa idea deve rimanere stabile nei progetti politici, sociali, culturali di tutte le forze politiche e di tutti gli Stati d’Europa.

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Chair of Peace, Security and International Development

The School of International Studies Peking University

 Chair for the study of Peace and Regional Cooperation

The Hebrew University of Jerusalem

 

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