La settimana di Papa Francesco – Il tema –

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di Santo Marcianò*

«Vedere, salire, sedersi»: credo che ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro il 9 febbraio per il Giubileo delle Forze armate, di polizia e di sicurezza, queste parole del Santo Padre nell’omelia siano rimaste impresse nel cuore. Soprattutto, credo che sia rimasto nel loro cuore — e, assieme, nel cuore di noi vescovi ordinari militari e dei tanti cappellani — il fatto che il Papa le abbia consegnate loro quali potenziali imitatori degli stessi gesti compiuti da Gesù.

Non sempre si ha adeguata percezione di quanto spazio trovi l’esperienza di fede nel mondo delle Forze armate e di polizia. La panoramica di una piazza San Pietro piena di uomini e donne in divisa, domenica scorsa, era invece la fotografia di un popolo gioioso di cristiani: dalle diverse autorità fino ai più giovani allievi, c’era una comunità di fratelli, venuti a incontrare il Signore e a rispondere alla vocazione di «operatori di pace».

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Loro sanno «vedere». Sono tecnicamente specializzati, e umanamente formati, ad accorgersi delle violazioni alla dignità umana e alla giustizia che si traducono in «minacce al bene comune, pericoli che incombono sulla vita dei cittadini, rischi ambientali, sociali e politici…».

La loro sensibilità e, direi, il senso di appartenenza, li rendono uomini e donne delle Istituzioni e, al contempo, della gente. Così, in ogni momento e circostanza, sono capaci di «salire» sulle diverse «barche in tempesta»; sanno affrontare il male e farlo con gli strumenti del bene.

Le parole del Papa avevano i volti dei tanti pellegrini di speranza partecipanti all’Eucaristia: uomini e donne venuti dall’Italia e dal mondo, da luoghi liberi o da Paesi poveri e in guerra, che davanti all’Altare del Signore hanno potuto stringersi la mano, come accade spesso nel Pellegrinaggio militare internazionale che ogni anno vede le Forze armate e di polizia di tanti Paesi arrivare alla Grotta di Lourdes per incontrare la Madre.

Ma le parole del Pontefice, per me, hanno anche i volti e i nomi di coloro che ho incontrato in questi undici anni e più di ministero da ordinario militare e dai quali ho tanto imparato: i volti del loro servizio dedito e nascosto, al quale tutti, anche inconsapevolmente, facciamo riferimento, per la sicurezza ordinaria e le emergenze più varie: come dimenticarne il contributo nella recente pandemia di covid-19? Un servizio al prossimo che si spinge talora fino al rischio e al dono della vita; fino, in alcuni casi, alla testimonianza di santità.

Si comprende, pertanto perché il Papa abbia consegnato loro pure il verbo «sedere», tipico di chi sa «insegnare», trasmettere valori che sono presupposto di «un mondo più umano, più giusto e più fraterno», semi di speranza per l’umanità.

Per questo la celebrazione giubilare è stata così importante. Essa, infatti, ha potuto rafforzare nelle Forze armate, di polizia e sicurezza la consapevolezza di essere essi stessi strumenti di speranza. Perché è speranza «la difesa dei nostri Paesi, l’impegno per la sicurezza, la custodia della legalità e della giustizia, la presenza nelle case di reclusione, la lotta alla criminalità e alle diverse forme di violenza». È speranza «il servizio nelle calamità naturali, per la salvaguardia del creato, per il salvataggio delle vite in mare, per i più fragili, per la promozione della pace». È speranza la potenzialità educativa racchiusa in un mondo in cui i giovani sono la maggioranza e che tanto punta sulla loro preparazione tecnica nonché sulla formazione integrale. È speranza il dialogo interreligioso che si crea, in particolare, nelle Missioni internazionali, tra militari e cappellani di diverse religioni, integrati con le culture e le tradizioni locali.

Nella speranza, però, occorre maturare; e i doni giubilari sono di aiuto. Preparandoci all’Anno Santo ho avuto modo, ad esempio, di sottolineare l’importanza della conversione e del perdono, che ha ricadute concrete sulla vita di ciascuno e si amplia al campo delle decisioni politiche, sociali, internazionali.

Preziosa, in tal senso, l’esortazione del Santo Padre a «vigilare contro la tentazione di coltivare uno spirito di guerra; vigilare per non essere sedotti dal mito della forza e dal rumore delle armi; vigilare per non essere mai contaminati dal veleno della propaganda dell’odio, che divide il mondo in amici da difendere e nemici da combattere». Un passaggio che riassume, in particolare, il cuore dell’impegno dei nostri militari: l’autentico senso della difesa, infatti, punta alla protezione di deboli, innocenti, popoli in pericolo, e spezza la logica della vendetta come dimostrazione di forza, aprendo il varco alla cultura del perdono, della mediazione, della pace.

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Si tratta di una visione chiara per il mondo militare, perlomeno per quello italiano, ma nella quale occorre perseverare e maturare. C’è qui un immenso spazio di evangelizzazione che la Chiesa fa suo attraverso gli ordinariati militari e il ministero dei cappellani: una «presenza sacerdotale importante», che è «presenza di Cristo», il Papa lo ha ribadito; un «sostegno morale e spirituale» che aiuta a fare scelte «alla luce del Vangelo e al servizio del bene».

«Vedere, salire, sedersi»: anche la nostra Chiesa, in fondo, è chiamata a questo. Ad accorgersi dei bisogni nascosti di tutti coloro che ci sono affidati, credenti e non credenti; delle fragilità e delle domande profonde, sgorgate dalla loro umanità e dalla vocazione di operatori di pace. A condividere nella quotidianità i loro cammini di difficoltà e fatiche, gioie e crescita, problemi familiari e lavorativi. A trasmettere speranza, insegnando e testimoniando come l’incontro con Cristo cambi l’esistenza e incoraggiando la relazione con Lui, nella preghiera e nella vita sacramentale. In definitiva, ad aiutare i militari e forze di polizia a «non perdere di vista il fine» del loro servizio, indicato dal Papa: «promuovere la vita, salvare la vita, difendere la vita sempre… per costruire una nuova era di pace, di giustizia e di fraternità»!

*Arcivescovo ordinario militare per l’Italia



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