«Un domani qualche ragazzo della comunità Kayros potrebbe essere in gara a Sanremo. L’anno scorso stava per capitare con Baby Gang, che purtroppo è stato arrestato, per essere poi assolto dopo qualche mese». Mentre a Sanremo ci si divide sulla presenza in gara di cantanti come Tony Effe e Fedez (mentre Emis Killa ha fatto un passo indietro) e il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi invita i trapper che usano testi violenti o sessisti a una maggiore responsabilità verso i giovanissimi, c’è chi vive il fenomeno in prima persona. Don Claudio Burgio, cappellano dell’Istituto minorile di Milano “Cesare Beccaria” e fondatore della comunità Kayros, è ancora convinto che non esistano i cattivi ragazzi. Piuttosto esiste un vuoto esistenziale e un deserto emotivo causato dal crollo dei valori che finisce per esprimersi in violenza verbale.
Ma don Claudio dal 2000 è riuscito a concentrare queste tensioni in un percorso educativo attraverso la musica all’interno della comunità Kayros da lui fondata, che accoglie in comunità residenziali minori con procedimenti amministrativi, civili e penali. Dagli studi musicali della sua comunità sono usciti giovani trapper dal passato difficile che sono diventati delle star come Baby Gang e Simba la Rue e l’emergente Sacky. Con alcuni dei ragazzi della sua comunità don Claudio sarà ospite nel pomeriggio del 13 febbraio, alle 14.30, in un incontro a Casa Sanremo per la presentazione del libro “In trappola. Giovani, parole e linguaggio. Come liberarsi da stereotipi e modelli sessisti” edito da Il Sole 24 Ore, scritto dalle giornaliste Livia Zancaner, Chiara Di Cristofaro e Simona Rossitto. Ospiti anche Enzo Mazza, ceo Fimi, e il rapper napoletano Luca Caiazzo, in arte Lucariello.
«Con alcuni dei cantanti in gara quest’anno siamo in contatto – rivela don Claudio –. In particolare Achille Lauro che ha voluto girare in comunità insieme ai nostri ragazzi il video di Banda Kawasaki insieme a Salmo e Gemitaiz, una bella iniziativa. E’ anche uscito un remix scritto dai ragazzi con un video finanziato da Lauro”».
Cosa ne pensa di alcune figure controverse presenti a Sanremo? «Sanremo è l’espressione della musica popolare italiana e deve intercettare tutte le fasce, anche la quota trap per favorire i giovani e per aprirsi al futuro». Certo che sussiste un problema di un linguaggio crudo che resta incomprensibile agli adulti. «Avendo visto nascere in casa rapper e trapper di ultima generazione, ragazzi di seconda generazione, so che il mondo istituzionale e gli adulti possono essere disturbati da un linguaggio così scomodo e schietto – prosegue don Claudio -. Dobbiamo fare i conti con un genere che riflette la realtà dei giovani, senza giustificarne il contenuto, ma comprendendo che è uno specchio della realtà che non possiamo censurare. Occorre avere il coraggio di ascoltarlo e di guardare in faccia il fenomeno». Per l’educatore la questione è più complessa. «I giovani trapper non sono la causa del disagio giovanile, ma vittime di un sistema che li ha travolti. Quello che loro cantano sono le condizioni di vita in cui sono vissuti, i livelli di cultura o non cultura che li ha abitati. Non tutto si può giustificare e normalizzare, ma occorre avere il coraggio di farci un po’ disturbare da queste canzoni».
Non teme che, invece, certi concetti diventino solo una moda? «Una certa forma di emulazione fra i più giovani può esserci – prosegue -. Ma constatiamo che questi artisti esprimono un vuoto di emozioni e sentimenti che sono trasversali. Anche i ragazzi di buona famiglia ed educati ai valori avvertono questo disagio interiore, i ragazzi che entrano in carcere non appartengono a un ceto sociale unico». Tutto parte dall’abbandono a se stessi, aggiunge: «Un vuoto che è una malattia dello spirito. Questa generazione non può più far riferimento ai codici etici della società che diamo per scontati, a una certa etica cristiana: i ragazzi si sono trovati in una situazione di vuoto valoriale. E questo vale anche per i riferimenti sessisti purtroppo dicono il vuoto dei nostri ragazzi, la mancanza di empatia». Il lavoro di don Claudio e dei suoi volontari è faticoso, lungo, paziente. «Da un avamposto come il carcere minorile è evidente. I ragazzi con la musica magari riscoprono di avere delle radici di valore, immersi in una cultura che non ne ha – aggiunge – Baby Gang mi ha detto che non ha mai pensato che le sue canzoni non potessero arrivare ai piccolissimi ma che loro, a differenza sua, hanno un esercito di adulti che può aiutarli a decodificare i testi, e capire la vera intenzione che non è quella di aggiungere violenza, ma di portare in evidenza la situazione di svantaggio dei ragazzi di seconda generazione».
Da 25 anni però la comunità Kairos offre la possibilità di un riscatto con la musica. «Negli ultimi anni ha preso piede la trap e il rap e alcuni ragazzi hanno iniziato a scrivere e ad occuparsi professionalmente della musica, li abbiamo accompagnati nei primi passi, abbiamo creato un dibattito pedagogico con loro. La Sugar ci ha regalato l’anno scorso uno studio di registrazione in comunità, poi la Universal ci ha proposto di un accordo discografico che a marzo compirà il primo anno, è l’inizio di una piccola avventura. Per noi è uno strumento fantastico per educare i ragazzi attraverso la musica che ci ha permesso di entrare nel loro mondo per creare un dibattito interessantissimo e cercare un’evoluzione».
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