Il Festival della mamma, delle sorelle, dei ricordi, della pace. La prima serata del Festival di Sanremo, targato Carlo Conti per la quarta volta, dopo l’era Amadeus, è stata contrassegnata dai buoni sentimenti e dalla normalizzazione. Ne è convinto Adriano Fabris, professore di Filosofia morale e di Etica della Comunicazione all’Università di Pisa, che per il Sir analizza l’esordio del Festival 2025, che ha debuttato con 12,6 milioni e il 65.3% di share. Il sistema di rilevazione, però, è diverso rispetto al 2024. La total audience, che è la novità di quest’anno, calcola anche il pubblico dello small screen (che segue cioè il programma in diretta su pc, smartphone e tablet). Lo scorso anno la prima puntata del Festival – in base ai dati Auditel riferiti però esclusivamente alla tv tradizionale – aveva ottenuto in media 10 milioni 561mila telespettatori pari al 65.1% di share.
Professore, l’anno scorso, dopo l’ultima serata di Sanremo targato Amadeus, lei aveva osservato che era stato un Festival caratterizzato da grigiore e conformismo. Ora, dopo la prima serata del Festival di Conti, secondo lei i colori sono tornati?
Sanremo è un minestrone, nel senso che è un piatto che è fatto da tanti ingredienti di tutti i gusti e per tutti i gusti. Questa era l’impostazione di Amadeus – bisogna cercare di raggiungere tutti i target possibili – e questa è stata ovviamente l’impostazione di Conti. Il problema è l’equilibrio dei vari ingredienti del minestrone, la qualità degli ingredienti e la mano del cuoco. Come premessa, devo dire che per Conti come per Amadeus, e questo sempre vuole essere Sanremo, il Festival è uno specchio offerto agli italiani perché gli italiani possano specchiarsi. Quindi, questo minestrone è particolarmente indicativo per capire anche un po’ chi siamo e dove va il Paese. Per rispondere alla sua domanda,
il colore non è propriamente tornato. Però, c’è un equilibrio maggiore nelle varie parti degli ingredienti.
Si è cercato proprio di ottenere questo equilibrio in una maniera anche, tutto sommato alla fine, abbastanza gradevole. E lo si vede anzitutto dai tre conduttori della prima serata.
Carlo Conti, Gerry Scotti e Antonella Clerici l’hanno convinta?
Conti ha tenuto il filo da generale e ha cercato di mantenere il ritmo, di cucire il tutto con un ritmo meno incalzante, più tranquillo, ma che ha funzionato.
Il ruolo che era di Fiorello, cioè dell’incursione, un pochino è stato svolto da Gerry Scotti, però in maniera totalmente diversa. Gerry Scotti è un po’ la vecchia zia, che dice a Rkomi: “Ti sei dimenticato la maglietta della salute”. È quello che fa battute che fanno sorridere, che piacciono alle mamme e alle nonne.
Un pochino più in ombra nella prima serata è stata Antonella Clerici, malgrado i vestiti sbrilluccicanti. Il risultato, ripeto, è stato un minestrone equilibrato, anche con dei colori equilibrati, con un incursore equilibrato e con un conduttore che cerca di mantenere un ritmo non estremamente incalzante. L’unica cosa non equilibrata in Carlo Conti è stata l’immagine.
In che senso?
L’unico elemento diciamo meno misurato, ma anche in questo caso è lo specchio degli italiani e perciò indicativo, è l’immagine che è stata creata di Carlo Conti, il modo in cui si è presentato sul palcoscenico ed è interessante anche qui diversificarlo da Gerry Scotti. Quest’ultimo ha avuto il coraggio di mostrare la sua calvizie, i suoi capelli grigi relativamente spettinati, il suo sovrappeso, si è mosso a suo agio sul palcoscenico, veramente da grande professionista. Conti, altrettanto grande professionista, anche se con uno stile diverso, invece ha le sopracciglia tinte, i capelli pettinati come Steven Seagal. Ecco, noi italiani ci tingiamo un pochino ma non troppo i capelli e ci curiamo le sopracciglia, per fare, in qualche modo, i conti con il tempo.
Amadeus aveva puntato tantissimo sulla trasgressione. La prima serata del Festival di Conti, invece, ha puntato tanto sui buoni sentimenti.
Sì, è stato il Festival della mamma. In subordine, è il Festival delle sorelle, il Festival di chi è stato lasciato e piange o va in depressione, è un Festival intimistico.
Di nuovo è lo specchio in cui si specchiano gli italiani: abbiamo la guerra alle porte, vediamo ogni sera situazioni orrende in cui vengono trattati gli esseri umani senza dignità, massacrati, torturati, ci troviamo in una guerra mondiale a pezzi, come dice il Santo Padre, e noi ci ritiriamo in noi stessi. Direi di più: i rapper propongono canzoni neomelodiche e si vestono in smoking per nascondere i tatuaggi o per farli vedere solo pochino. E anche quelli che hanno il coraggio di fare rap vengono devitalizzati, hanno ritornelli melodici, che sono urban rap, che possono essere memorizzati e cantati mentre si va al lavoro.
Possiamo dire che è un Festival della “normalizzazione”? Penso ad Achille Lauro che era usato come elemento trasgressivo e ieri molto sobrio.
Per Lauro l’effetto collaterale della “normalizzazione” era che sembrava un vampiro. E Gabbani travestito da Domenico Modugno che canta “Viva la vita”, altro che “Nel blu dipinto di blu”. Qual è il senso del Festival della “normalizzazione”? Con Amadeus c’era stato l’errore comunicativo di non voler parlare di certi temi sensibili e quindi ci si sono buttati quelli che hanno voluto provocare facendo pubblicità strane sul palcoscenico, dando baci in diretta che volevano essere scandalosi.
Nel Festival di Conti si è parlato un po’ di politica in maniera devitalizzata, si è parlato un po’ di cose buone, di pace, del “volemose bene”, abbiamo invitato Noa e Mira Awad. Quindi, si è anticipato tutto questo, in modo tale che all’interno di questa cornice poi alla fine nessuna provocazione poteva avere più senso.
Ci sono stati molti momenti significativi nella prima serata, primo tra tutti il video messaggio di Papa Francesco sulla pace.
Certamente, è stato un Festival studiato a tavolino per mantenere, secondo un ritmo non forsennato, ma appunto scandito e pacato, l’attenzione, cioè ognuno aveva qualche cosa di nuovo, di personale, di interessante da dire. Gimbo Tamberi ha detto che parteciperà alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028, Jovanotti ha fatto il suo ingresso con ritmi travolgenti, dando il meglio di sé, ma poi si è impappinato e per due minuti ha ripetuto che il Festival è bellissimo. È stato anche un Festival dei ricordi e della commemorazione: Ezio Bosso, Fabrizio Frizzi, Sammy Basso. Un Festival delle lacrime, perché tutti piangono in diretta e non si può non parlare della mamma senza che venga la commozione.
Il momento clou è stato effettivamente il messaggio di Papa Francesco che ha avuto la capacità di inserire un tema importante, serio, forte all’interno del “minestrone” del Festival, collegando la musica, il canto alla pace.
Anche il Papa ha parlato della mamma, ma è rientrato in una proposta tale da far emergere il problema della pace oggi, quindi non soltanto l’intimismo, ma quello che noi siamo e quello che possiamo e dobbiamo fare nei confronti di certe questioni, oggi. Ma il meccanismo del Festival è un po’ spietato: fuori uno, dentro l’altro. Alla fine del messaggio del Papa, Conti ha detto: “Sono parole emozionanti. Bene, andiamo avanti adesso con la nuova canzone”. C’è stato il rischio di ridurre questo messaggio forte – che ha ricollocato anche quello che vuole dire Sanremo, cioè i buoni sentimenti, l’impegno, all’interno del mondo dove non c’è questa bontà e stiamo vedendo cose terribili – a un episodio, passando poi alla prossima emozione, al prossimo ospite o alla prossima canzone. Questa è la logica dello spettacolo.
Cosa resterà di questa prima serata?
I giochi di luce della scenografia, anche ricollegata ai braccialetti luminosi che hanno regalato a tutti i presenti. Il duetto di Noa e di Mira Awad, le canzoni e le interpretazioni di chi credeva davvero in quello che cantava, ad esempio Brunori Sas, Giorgia e Simone Cristicchi.
Altri, invece, hanno dato l’impressione di portare una canzone per compiacere il pubblico. Molti brani chiaramente hanno testi e musiche costruiti per diventare il tormentone radiofonico.
Il pubblico come guarda Sanremo?
I vecchietti come me sono ancora legati alla televisione e seguono fino a che non crollano addormentati, con buona pace di Cattelan. Le persone più giovani – la Generazione Zeta che segue Sanremo, questa può essere una sorpresa, non solo per il Fantasanremo – si scaricano poi le hit da Spotify e seguono la kermesse attraverso i vari canali alternativi, anche in differita. C’è una fruizione multicanale del Festival, rispetto alla quale i conduttori e i vestiti passano in secondo piano. Importa la qualità della canzone, della musica. Ecco, è qualcosa di meno legato anche all’immagine.
Vuol dire che il Festival è diventato ormai un prodotto che grazie ai diversi canali può essere fruito in tante diverse maniere, da tante diverse prospettive, da tante diverse categorie di fruitori e di utenti. E questo è un segno della sua vitalità dopo 75 anni. Sta ancora a galla, perché si è adattato non solo ai vari mezzi, ma alle varie modalità di fruizione.
I dati di ascolto della prima serata sono molto buoni…
Assolutamente sì. Ma, dando uno sguardo agli altri canali, effettivamente c’è stata la Pax romana, non solo perché Gerry Scotti, tra i conduttori di punta di Mediaset, era sul palco di Sanremo, ma anche perché gli altri hanno fatto desistenza. Tranne Bianca Berlinguer e le Iene, sulle altre reti c’erano i soliti film già visti duemila volte. Anche questo un segno di pace e di accordo tra le varie reti? Non ho elementi per dirlo, però è il risultato di una preparazione,
evidentemente anche in questo caso, per fare in modo che si realizzasse questo enorme share e che venisse offerto agli italiani uno spettacolo senza troppi concorrenti.
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