Kikl ha fatto flop, niente ultradestra al governo

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Finalmente è terminato l’incubo: l’Austria non avrà Herbert Kickl come Volkskanzler, termine di hitleriana memoria che il capo dell’estrema destra ha voluto adottare. Almeno non in questa tornata. I negoziati per la formazione di un governo di coalizione tra Partito popolare (Oevp) del neosegretario Christian Stocker e il leader del Partito della libertà (Fpoe) sono clamorosamente falliti. Erano in pesante stallo da una settimana, per l’esaltazione massimalista di Kickl dopo la vittoria di Trump: «Abbiamo il vento in poppa».

A 136 GIORNI dal voto delle politiche di settembre, dopo il naufragio del negoziato tra popolari, socialdemocratici (Spoe) e Neos, ieri pomeriggio Kickl ha dovuto riconoscere il fallimento e riconsegnare il mandato al presidente della repubblica Alexander Van der Bellen. Niente terza repubblica. La mattina era andato a vuoto l’ultimo irricevibile ultimatum ai popolari, inviato ormai via media perché già non si parlavano più: una spartizione dei ministeri che garantiva i pieni poteri alla Fpoe in tutti i settori chiave, a cominciare da finanze e interni.

«Un delirio di potere, senza alcuna capacità di concepire compromessi», accusavano sempre più dirigenti popolari da giorni («è unfit per fare il cancelliere»). Il ministero degli interni il punto più controverso che non poteva essere lasciato alla Fpoe, considerato dal possibile partner di governo un rischio per la sicurezza, visto l’assalto di polizia organizzato nel 2017 da Kikl – allora ministro degli interni – contro uffici del ministero come i servizi segreti interni. Un rischio anche per i rapporti della Fpoe con i servizi segreti russi.

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LA CONTROPROPOSTA della Oevp di dividersi gli interni con un ministero aggiuntivo lasciando alla Fpoe l’ambito capitolo immigrazione è stata respinta. A inizio gennaio, tre giorni dopo l’incarico, Stocker e Kickl si erano presentati in pieno idillio alla stampa con un piano di risanamento del forte deficit austriaco promettendo un governo in tempo record. È successo il contrario. Nel documento di 220 pagine di confronto tra le due forze, tenuto a lungo tenuto segreto e finito alla stampa una settimana fa, si trova nero su bianco il piano anti-Ue e di smantellamento del sistema democratico liberale.

Troppo per la Oevp che si è sempre considerato partito pro-europeo. Divergenze anche su temi dove Oevp e Fpoe erano ritenuti quasi identici, come quello dell’immigrazione: «Non vogliamo blindare il nostro paese in una fortezza Austria» ha spiegato Stocker visibilmente sollevato nella conferenza stampa dopo la rottura con la Fpoe. Non era stato possibile trovare un consenso sui principi fondamentali dello stato di diritto e sul riconoscimento degli organismi sovranazionali come la Corte di giustizia europea e la Corte dei diritti umani. Non meraviglia il disconoscimento del piano pandemia dell’Oms da parte di Kickl, che ha cavalcato con successo il movimento no vax.

Da settimane si moltiplicavano gli appelli alla Oevp a interrompere i colloqui con la Fpoe. In primis dai socialdemocratici che si sono dichiarati disponibili a riprendere le trattative con i popolari che non erano certo stati loro a lasciare. Lo stesso dai Neos, che erano stati i primi ad uscirne accelerando così la fine del primo negoziato. E dai Verdi del vicecancelliere uscente Werner Kogler, disponibile a entrare nella partita. Loro sì che avevano dimostrato di saper fare dei compromessi governando col partito popolare per impedire un’alleanza con l’estrema destra, riconoscono ora molti commentatori.

ORA COME SI VA avanti? Ieri sera ha preso la parola il presidente della repubblica Alexander Van der Bellen, ex capogruppo dei Verdi, che non ha ancora indicato una strada netta ma quattro possibilità. Nuove elezioni, che è la strada a cui punta la Fpoe che i sondaggi davano in ulteriore salita, ma dopo il fallimento del negoziato chissà. Altra strada un governo di minoranza sostenuto dal parlamento. Terzo un governo tecnico, di cui c’è poca esperienza in Austria. Infine cercare se c’è ancora una via per un governo politico. È la strada che Van der Bellen è sembrato preferire avendo incentrato il suo discorso tutto sul valore e la necessità del compromesso e del bilanciamento tra interessi.



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