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IL CASO. “Un male deportare i migranti”. Scontro Bergoglio-Casa Bianca


CITTÀ DEL VATICANO – È scontro aperto tra il Papa e Donald Trump sui migranti. Con una lettera quanto mai irrituale Francesco ha criticato energicamente le annunciate «deportazioni di massa». «Si occupi della Chiesa cattolica e lasci che noi ci occupiamo delle nostre frontiere», è la secca replica del consigliere del presidente Usa per le politiche migratorie, Tom Homan. 

In un Paese dove molti fedeli cattolici sono di origini sudamericane la minaccia di «deportazioni di massa » prima, poi l’annuncio di andare a scovare gli immigrati dentro le chiese, infine il taglio a Usaid e le sue ricadute sui Catholic Relief Services hanno acceso la polemica. I vescovi hanno protestato, il vicepresidente, il cattolico convertito J.D.Vance, li ha accusati di essere mossi non da motivi umanitari ma da interessi economici. Parole «scurrili » e «non vere», ha replicato, spiazzato, il cardinale di New York Timothy Dolan, che si era mostrato con Trump in campagna elettorale. 
E a questo punto il Papa argentino è intervenuto a difesa di un episcopato che in maggioranza, prima delle elezioni, era tutt’altro che prevenuto verso la nuova amministrazione repubblicana, e con il quale invece nel corso degli anni Francesco ha avuto non poche incomprensioni. Assicura di aver «seguito da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata — scrive il pontefice — non può non esprimere un giudizio critico e il proprio disaccordo con qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifichi la condizione illegale di alcuni migranti con la criminalità». Certo, «si deve riconoscere il diritto di una nazione a difendersi», ma «l’atto di deportare persone che in molti casi hanno lasciato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie » e «ciò che si costruisce sulla base della forza, e non sulla verità circa l’uguale dignità di ogni essere umano», avverte il Papa, «inizia male e finirà male». Se poi per giustificare le politiche anti-migranti J.D.Vance ha evocato l’ ordoamoris di sant’Agostino, quasi una gerarchia di amore da rivolgere prima ai propri concittadini e solo poi agli stranieri, «il vero ordo amoris da promuovere», puntualizza con acribia Bergoglio, «è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del buon Samaritano, meditando cioè sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, nessuno escluso». 
Il Papa, è stata la replica di Tom Homan, lo “zar del confine Usa”, deve «concentrarsi sulla Chiesa cattolica e lasciare che noi ci occupiamo delle frontiere. Vuole attaccarci perché garantiamo le sicurezza dei nostri confini? Ha un muro interno al Vaticano, no? Noi — ha concluso sarcastico — non possiamo avere un muro intorno agli Stati Uniti». 
È la conferma di un rapporto che si annuncia difficilissimo. Già nel primo mandato il Papa aveva tacciato Trump di essere «non cristiano» per via del muro costruito al confine col Messico. Ora le posizioni sono dichiaratamente incompatibili fin dall’inizio. Trump invierà in Vaticano come ambasciatore Brian Burch, ultraconservatore che lo ha aiutato arastrellare il voto cattolico, Francesco ha nominato nella casella-chiave di Washington il cardinale liberalRobert McElroy. Ieri ha nominato vescovo di Detroit Edward Weisenburger, un altro fustigatore delle politiche che hanno diviso figli e genitori sudamericani alla frontiera. Nella lettera di ieri chiede ai cattolici di Oltreatlantico di non cedere a «narrazioni che discriminano e causano sofferenze inutili ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati». Anche perché, ricorda il Papa, «il figlio di Dio, divenendo uomo, ha scelto di vivere il dramma dell’immigrazione». 
La Repubblica, 12 febbraio 2025



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