Da circa un mese sul territorio pugliese si è attivato il servizio denominato Social freezing promosso dalla Regione Puglia. In un comunicato dello scorso dicembre è la stessa Regione Puglia a spiegare in cosa consiste questo nuovo servizio: «Si tratta di una tecnica di preservazione della fertilità rivolta alle donne che consiste nel congelamento degli ovociti, per dare loro la possibilità di concepire anche in età successiva quando, per ragioni di età o di salute, le possibilità di concepimento naturale potrebbero essere ridotte notevolmente. La misura regionale è rivolta alle donne pugliesi di età compresa tra i 27 e i 37 anni, con ISEE inferiore a 30mila euro l’anno. Lo stanziamento complessivo per il 2025 è di 300mila euro, per un contributo massimo di 3mila euro per donna».
Il congelamento degli ovociti per finalità terapeutiche – ad esempio: donna che si sottopone a chemioterapia – è gratuito in Italia. Il congelamento dei gameti per scopi sociali, come è il caso pugliese, no. Ecco quindi intervenire la Regione con i soldi dei contribuenti per permettere di accedere al social freezing, pratica che consiste in questo: congelare ovociti in giovane età, quando gli stessi ovociti sono qualitativamente migliori, fare carriera o trovare l’uomo della proprio vita, per poi avere figli quando la soglia dei 40 anni sarà superata, naturalmente grazie soprattutto alle tecniche di fecondazione artificiale.
Sul caso pugliese è interessante leggere l’intervista rilasciata da Filippo Maria Boscia, ginecologo, già presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, al sito di ProVita & Famiglia. Da una parte Boscia afferma correttamente che la pratica sarebbe eticamente lecita laddove il prelievo di gameti avvenisse per finalità terapeutiche e laddove gli ovociti fossero impiantati nel corpo della donna e non usati per avere un figlio in provetta. Ciò che invece è da condannare è «il social freezing non legato a problemi sanitari ma ad imposizioni aziendali e lavorative, che impone alle donne di rinviare progetti di maternità per il rispetto di un welfare aziendale economicistico». Una procedura «certamente barbara e non condivisibile, anzi vera e propria schiavitù alla quale andiamo a sottoporre la donna e l’uomo, quasi per ricatto rispetto alla possibilità lavorativa, a loro offerta. [Un] ulteriore condizionamento imposto dal post capitalismo, che giunge a stagionalizzare le nascite o a scegliere i tempi opportuni. Questa trasformazione culturale, parecchio agghiacciante, che va alla ricerca del momento migliore per diventare genitori, ha creato un vero e proprio mercato della crioconservazione di ovociti e sperma, ma anche di embrioni».
Ed infatti i primi ad offrire il social freezing sono state multinazionali del calibro di Meta, Apple, Google e Uber. Un vero business poi gira intorno a questa pratica: «In pochi anni il mercato della crioconservazione degli ovociti, o congelamento di ovuli, è esploso, arrivando a superare i 5 miliardi di dollari», afferma Boscia.
Una soluzione che, tra l’altro, non è esente da rischi: «Occorre che si sappia che i gameti conservati in azoto liquido certamente non conservano tutta la loro energia e molti campioni prelevati si rivelano inadatti ad essere utilizzati a causa di una significativa perdita della loro intrinseca funzionalità». Gli ovociti saranno anche giovani, ma nel tempo si guastano ugualmente.
Boscia, successivamente, torna sull’aspetto morale e sociale: «L’utilizzo di queste tecniche al di fuori di contesti strettamente medici rappresenta un’indebita pressione sulle scelte riproduttive dei giovani e comporteranno diseguaglianze nell’accesso a queste procedure e costi sociali elevati. L’autonomia riproduttiva, pratica molto in voga soprattutto negli Stati Uniti, incontra la mia netta opposizione». Boscia aggiunge che i politici, invece di proporre queste soluzioni moralmente inaccettabili, dovrebbero «preoccuparsi di mettere in condizione le donne di avere un figlio a prescindere dalla loro situazione lavorativa/sociale potendo contare su normative di flessibilità del lavoro senza rinunciare alla maternità che desiderano». Occorre che «la scelta di diventare madri vada a coincidere con il momento di maggiore fertilità della donna ovvero tra i 25 e i 35 anni e che questa scelta sia naturale», senza «artifizi tecnici assolutamente intollerabili, rischiosi, costosi, strumentali da far west ad alta immoralità».
Le parole di Boscia colgono nel segno. È vero che la società occidentale è oggi strutturata in modo tale che la maternità si è spostata abbondantemente dopo i 30 anni, ma la soluzione del social freezing del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano supporta questa struttura, la consolida, la favorisce, non la ostacola. Invece, per tornare a fare figli quando madre natura comanda e combattere efficacemente la denatalità, occorre, da una parte, un’azione culturale volta considerare il figlio un bene prezioso per sé, per la famiglia e la collettività, nonché una priorità e non un onere da soddisfare quando tutte le condizioni di vita avranno trovato la loro somma perfezione. Su un secondo versante, fino a quando la coscienza collettiva non avrà mutato il proprio orientamento su questo tema, è necessario intervenire a livello lavorativo e fiscale affinché il mondo del lavoro sia a misura di bambino e non a misura del solo profitto.
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