A cura di Rita Coda Deiana
Il bandolo del filo degli Antichi Mestieri, ancora una volta, mi ha fatto da guida per farmi conoscere una delle figure più antiche nella storia degli antichi mestieri: la Mugnaia (sa Molinaja-Molinarza).
Nel periodo pre-industriale, in quasi tutte le abitazioni sarde erano presenti i mulini a forza animale o mola asinaria, (sa Mola a Molenti) dove l’asino girava la macina di pietra vulcanica, per mezzo di un braccio a giogo. Un altro tipo di mulino era quello alimentato dalla forza dell’acqua, (Molino de abba) che era presente soprattutto nei paesi ricchi di questo bene così prezioso. In seguito, con l’estendersi della richiesta della farina e il sorgere di nuovi panifici e soprattutto grazie all’introduzione della corrente elettrica, nacquero i primi Mulini elettrici (Molino a elettricu).
E’ nel paese di Donori, ubicato alle pendici del Monte Zurru della regione storica del Parteolla, ai confini con il Campidano meridionale che, la signora Defenza Deiana era solita raccontarmi del suo antico mestiere de sa Molinarza. Un tempo centro minerario della Monteponi, ma soprattutto un paese dove è sempre stata forte la vocazione agricola e pastorale. Donori, un paese dove la cultura identitaria della comunità con i suoi caratteri e tradizioni si incontrano.
Un paese dove gli antichi mestieri erano e sono la bussola del presente, lo specchio nel quale intravedere nuove prospettive per il futuro, nuove strade da percorrere.
La storia di Defenza Deiana
Sa Molinarza, Defenza Deiana nacque a Donori il 24 Settembre 1937. Primogenita di nove fratelli, la signora Defenza iniziò a lavorare in tenera età, come era consueto a quei tempi nelle famiglie numerose e non nobili. Per aiutare la famiglia, trascurò la carriera scolastica che poi riprese in età adulta, ottenendo brillanti risultati attraverso dei corsi serali per lavoratori, gestiti dall’indimenticabile maestro Arturo Lecca di Donori.
A soli sette anni prestò servizio presso le famiglie abbienti del paese, nello svolgimento delle faccende domestiche.
Lavandaia (Samunadora o Lavandera) a soli sette anni Nel paese di Donori, il primo lavatoio pubblico venne realizzato soltanto dopo gli anni ’50. Così, molte donne del paese si recavano a lavare la biancheria presso su Riu Su Fenu e sa Mitza De Is Cannas.
Anche signora Defenza era solita accompagnare la madre Angelina e la zia Peppina, per lavare le lenzuola (su lantzoru) delle famiglie che lo richiedevano. Si partiva la mattina presto e si rientrava nel pomeriggio. Per alleviare le fatiche del lavoro, le donne cantavano e raccontavano episodi divertenti del passato. La sera, per far rientro a casa, attraversavano la campagna a piedi, trasportando le lenzuola lavate, con dei catini di ferro posizionati sulla testa. Per attutire il peso del catino utilizzavano del tessuto annodato su se stesso che andava a formare un cerchio… il cercine (su tidili).
Per rendere più bianche e brillanti le lenzuola, si utilizzava quello che denominavano “S’Azzurrinu” (granelli di azolo), poi le lenzuola venivano stese all’aria aperta per asciugare e a casa, stirate con il ferro a carbone, (Ferru de stirai a Craboni) e infine riconsegnate alle famiglie che pagavano le lavandaie (is samunadorasa o lavanderas) per il lavoro svolto.
Signora Defenza, amava raccontarmi un’esperienza che aveva vissuto proprio in quegli anni. Un pomeriggio, dopo aver lavato le lenzuola, lungo il cammino di rientro, il cielo si oscurò a causa di numerosi sciami di locuste che in quell’anno devastarono le campagne del paese, causando danni di rilievo ai raccolti e alla produzione locale. Riuscì a proteggersi soltanto il viso con su muccadori, tutto il resto del corpo venne assalito dalle locuste che con i morsi le causarono delle ferite dolorose.
Ma lei era sempre stata una bambina molto coraggiosa, in quell’occasione aiutò la madre e la zia a far rientro in paese, nonostante la strada fosse completamente invasa dalle locuste. Le accompagnò alla prima fontana pubblica, dove con l’acqua corrente riuscì a liberarle dalle locuste che si erano avvinghiate agli abiti e ai capelli.
Quando nasce la passione per l’antico mestiere della mugnaia? E’ all’età di 16 anni che la signora Defenza intraprese la strada per l’antico mestiere de “Sa Molinarza”. Nel paese di Donori era presente un solo Mulino, di proprietà del signor Antonio Loche e della moglie Ottavia Espa.
Era un Mulino elettrico di grandi dimensioni e, per quei tempi, con dei macchinari innovativi che permetteva di lavorare a più persone, tra cui la signora Defenza.
Il mestiere de Sa Molinarza non si imparava sui libri o banchi di scuola, ma la formazione avveniva direttamente nel Mulino (su Molinu). Fu il proprietario del Mulino, signor Antonio Loche, che era anche un abile calzolaio (su sabatteri), ad insegnare alla signora Defenza, il mestiere della Mugnaia.
Era un lavoro molto impegnativo, anche perché la signora Defenza lavorava, la mattina nel Mulino e la notte nel panificio, sempre di proprietà del signor Antonio Loche e Ottavia Espa. Quello della Mugnaia è un antico mestiere che non riguardava soltanto la macinazione e il controllo delle materie prime per ottenere le farine, ma soprattutto era un mestiere dove era richiesta la conoscenza tecnica per la gestione di tutto il funzionamento dell’apparato meccanico del Mulino.
Quando pensiamo ad una materia prima come, il grano e poi la farina, la consideriamo da subito priva di forma e di identità, quasi fosse un “contenitore” indefinito in attesa di essere esplorato e modellato. Tuttavia questo “contenitore” contiene in se stesso tutte le forme e le identità possibili, quindi pressoché infinite. In questo senso la materia è “prima” in quanto contiene in se stessa tutte le potenzialità future.
Lavorare una materia prima come il grano, significa renderla manifesta, partecipare della sua ricchezza intrinseca, conoscerne tutte le sue espansioni immaginarie e farla “nascere” alla vista di chi la osserva o ne fa esperienza.
Ma come veniva scelta e reperita la materia prima? Il grano da macinare veniva acquistato dal proprietario del Mulino nei paesi della Trexenta, (il Granaio della Sardegna) ed era rigorosamente della qualità Cappelli. Un grano duro che veniva utilizzato per la lavorazione del pane, in quasi tutto il territorio della Sardegna. Gli altri clienti abituali del Mulino, oltre ai Donoresi e ai cittadini dei paesi limitrofi, erano i mezzadri che vivevano nella vicina Azienda San Michele, ( poi CRAS e oggi AGRIS) ubicata al confine tra Donori e Ussana, gestita fino alla fine degli anni ’40 dall’Istituto Genetico di Roma. In quegli anni l’Azienda San Michele produceva circa 5000 quintali di grano selezionato all’anno. Parte del grano, spettava alle otto famiglie dei mezzadri presenti nell’Azienda e il resto veniva venduto, non solo nel territorio della Sardegna, ma in tutta l’Italia.
Il grano duro Cappelli, e F51 (una qualità di grano tenero), veniva selezionato con i selezionatori (trivellusu), e poi i mezzadri provvedevano a trasportarlo in sacchi di juta, del peso di 1 quintale ciascuno, presso il Mulino di Donori, con dei carri trainati dal giogo dei buoi.
Quali erano le fasi della lavorazione del grano? Il grano, all’arrivo nel Mulino, veniva pesato con l’antica unità di misura dello starello corrispondente a circa 40/50 Kg. Si utilizzava s’imbudu (3 kg), sa mesuredda (4 kg) e sa mesura (20/25 kg). Il grano, nella determinazione del peso, doveva essere livellato orizzontalmente (a livellu), il resto dei cereali invece a cucuru (colmo). Poi veniva stoccato nei magazzini o silos.
La prima fase era quella della pulitura, (sa prugadura) ossia si eliminavano tutte le sostanze estranee al grano, come semi di altri cereali, sassolini e altro. Il grano poi veniva lavato e fatto asciugare su una piattaforma ad aria, prestando attenzione che il cereale mantenesse la giusta umidità, affinché, nella fase di macinatura, avvenisse la separazione della scorza. La terza fase era quella della molitura che, nel mulino elettrico avveniva con i cilindri d’acciaio.
Il grano veniva introdotto nel primo contenitore della macchina per la fase della rottura che avveniva grazie alla rotazione in senso contrario dei cilindri d’acciaio.
La quarta fase era quella della setacciatura (sa cerridura), che consisteva nel separare il macinato dalla crusca (poddini), attraverso un setaccio (cibiru) oscillante. L’ultima fase era quella della rimacina, con la quale il prodotto ottenuto con le precedenti fasi, veniva rimacinato attraverso rulli e cilindri sempre più ravvicinati e poi passato in setacci fittissimi.
Signora Defenza presso il Mulino di Donori
Quali erano le farine che si ottenevano con la molitura? Dal grano tenero si otteneva:
la farina integrale che non subiva alcun processo di setacciatura;
la farina grossolana che conteneva una buona dose di crusca (poddini) (tipo 2);
la farina (scetti) fine, con la presenza di meno crusca (tipo 1);
la farina molto fine che era la farina di prima scelta (tipo 0);
la farina finissima che era la più bianca e leggera, priva di crusca, denominata “fior di farina” (tipo 00).
Invece dal grano duro si otteneva la semola (simbula) e la farina di grano duro (semola rimacinata) (simbula iscerada) che veniva richiesta per la panificazione dei pani più pregiati in occasione di matrimoni e altre cerimonie importanti.
Signora Defenza lavorò nel Mulino di Donori, per diversi anni, fino a quando decise di convolare a nozze. Il suo più grande desiderio era quello di mettersi in proprio e aprire un panificio, sogno che non realizzò mai, perché si dedicò completamente alla sua famiglia. Ma non abbandonò mai la passione per il grano e la farina. Ogni fine settimana, si dedicava alla molitura del grano e alla panificazione per uso familiare. Ancora una volta è una donna ad essere protagonista e con lei gli antichi mestieri della Lavandaia e della Mugnaia.
Gli antichi mestiere, con le loro sfaccettature e i loro modi di esprimersi, con i loro significati profondi e i loro insegnamenti.
Le testimonianze di vita degli artigiani sono un filo, della lunghezza pressoché infinita, che connette il passato col presente e si proietta verso il futuro. Antichi Mestieri realizzati grazie alla manualità di artigiani che sono anche artisti, grazie al genio e alla pazienza di menti raffinate, propense alla creazione partendo da materie essenziali, semplici, immediate.
E noi tutti ritroviamo nelle instancabili memorie tramandate, come quelle della signora Defenza che ormai non c’è più, l’essenziale dell’esistere, quel sapore di possibile che si cela tra le pagine del divenire universale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link