Un’altra idea dell’India | China Files

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Scardinare la narrazione che negli anni si è cristallizzata attorno all’India non è un’impresa semplice. Celebrato come culla di spiritualità e nonviolenza, terra di rinascita e misticismo, complice il fascino di illustri testimonial come i Beatles, il Paese resta spesso ingabbiato in un’immagine preconfezionata. Ispirandosi al disincanto analitico che guidò Alberto Moravia nel suo viaggio in India del 1961, Matteo Miavaldi ci accompagna in un percorso che smonta questa lettura.

Con il ritmo vivace di un’indagine sul campo, punteggiata di incontri e aneddoti, l’autore si addentra nei meccanismi più subdoli della propaganda orchestrata dal primo ministro Narendra Modi, al potere da oltre un decennio. Ci svela così il lato più oscuro dell’universo indiano, un’ombra lunga nata assieme alle riflessioni sul destino di un’India ancora coloniale, che alla molteplicità di culture, lingue e religioni oppone la supremazia di un gruppo solo, quello hindu.

Oggi che la democrazia più popolosa del mondo, e la quinta economia a livello globale, mostra la sua faccia meno rassicurante, questo viaggio reportage getta uno sguardo acuto su come la potenza indiana si prepara a tracciare la sua strada per il futuro, in campo politico, economico e tecnologico. 

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Per gentile concessione di add editore, China Files propone un estratto del libro, in uscita il 28 febbraio.

 

«Questi stanno ammazzando l’India di cui mi sono innamorato.» Gautama Baba è seduto di fronte a me a un tavolo dello Shiva Restaurant, nel quartiere Assi di Varanasi. È uno di quei ristoranti aperti a colazione, pranzo, cena, col menu lungo tre pagine fitte: cucina unta e bisunta dell’India del Nord, street food dell’India meridionale, chowmin e cucina cinese che è cinese solo di nome, pizza e «maccaroni spaghetti». Per gli standard di Varanasi, la città più sacra dell’induismo e tra le destinazioni preferite dal turismo di massa indiano, qui i prezzi sono ancora bassi. Motivo per cui, dalla mattina alla sera, allo Shiva Restaurant la clientela non manca mai. L’altro motivo è che dentro ci sono sia i ventilatori sia l’aria condizionata: è un ristorante ac, che in India non descrive solo la climatizzazione del locale, ma è sinonimo di lusso. 

Da quando ci siamo conosciuti, alla fine di maggio 2024, io e Gautama Baba un giorno sì e un giorno no per pranzo ci siamo dati appuntamento allo Shiva Restaurant: ci sediamo, ordiniamo due «fresh lime soda, sweet and salted» e prima di tutto parliamo del tempo. Non perché non ci sia altro di cui parlare, ma a fine maggio 2024 Varanasi è al centro di un’ondata di calore eccezionale: fuori dal cono refrigerato del nostro tavolo fanno quarantotto gradi, percepiti cinquantadue. In sostanza, è un altro modo per chiedergli, meno indelicatamente, se queste condizioni atmosferiche sono compatibili con la sua vita ascetica e, soprattutto, con la sua età.

Gautama Baba ha quasi ottant’anni. È alto, magrissimo, carnagione bianco caucasica, occhi azzurri, barba e capelli lunghi e bianchi, un paio di grossi dreadlock in testa. Gira per la città vestito con una lungi arancione, una gamcha a scacchi che fa da asciugamano per il sudore e turbante a coprire la testa, una borsa di tela a tracolla dove tiene quasi tutto quello che possiede: gli occhiali da vista, un vecchio cellulare, uno smartphone e diversi sacchetti di plastica per gli avanzi di cibo da distribuire ai cani randagi. 

Ha lasciato il Nordamerica all’inizio degli anni Settanta, è arrivato in India, ha bruciato il passaporto e non se n’è mai più andato. Il fatto che sia un Baba – detto male, ma per capirsi, un «santone» hindu – e che però sia anche occidentale, qui non è motivo di stupore. Anzi, dice molto di una tradizione religiosa che da qualche decennio si è aperta ad adesioni non propriamente ortodosse, come quella di un giovane viaggiatore arrivato dall’altra parte dell’oceano affascinato dal percorso spirituale dei sannyasin, i rinuncianti: chicome Gautama Baba decide di distaccarsi dai beni materiali e dalle emozioni – o almeno, ci prova – per perfezionare la comprensione del mondo spirituale. 

Lui il suo guru lo ha conosciuto nella città santa di Haridwar a metà degli anni Settanta, ha preso l’iniziazione una quarantina d’anni fa e vive a Varanasi da più di trent’anni. Dove non solo lo conoscono tutte le persone del quartiere, ma anche tutti i cani randagi, che lo scortano in giro per la città vecchia da quando mette piede fuori casa a quando rientra.

Il caldo è pesante ma si tira avanti, dice, perché «maggio è terribile, ma giugno è impossibile, quindi c’è ancora tempo per stare peggio». E tanto a questa età si esce poco, si mangia poco e si dorme ancora meno. «Non è vero quello che ti dicono quando sei giovane, che la vecchiaia porta saggezza, esperienza, pazienza. La vecchiaia è una merda.»

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Gautama Baba non corrisponde esattamente al prototipo di santone che ci si immagina. Fisicamente somiglia tanto al Mago Merlino del cartone La spada nella roccia, e come Merlino sa essere tagliente, spiritoso e cinico quanto basta per ammaliare chiunque abbia di fronte. Pratica una forma di ascetismo abbastanza dura per una persona della sua età, ma sa mostrare il lato più franco e vulnerabile di chi sceglie una vita fuori dai canoni non solo occidentali, ma anche indiani. 

La rinuncia ai beni materiali non significa rinunciare a vivere nella società, e per chi come Gautama Baba la vede cambiare da dentro da più di mezzo secolo, convivere con questa New India non è facile. Ma ci prova, si tiene informato, legge i giornali, guarda i telegiornali ed è anche molto aggiornato sui trend e sui meme che girano su Whatsapp, che con 536 milioni di utenti attivi al mese è di gran lunga il social network più diffuso in India.

Un giorno, quando alle otto di mattina già eravamo abbondantemente sopra i quaranta gradi, Gautama Baba mi ha inoltrato un video con un gruppo di ragazzi indiani seduti intorno a un mucchietto di ghiaccio come fosse un falò, con le mani aperte per prendersi il fresco e in sottofondo le risate finte. Poche ore dopo, altro messaggio: il link a uno speciale di bbc sulle elezioni indiane che stavano per concludersi proprio in quei giorni. La prima volta che ci siamo visti gli avevo chiesto cosa ne pensasse di queste elezioni. Gautama Baba mi aveva guardato fisso negli occhi e abbassando la voce per non farsi sentire dai nostri vicini di tavolo aveva detto: «Questi stanno ammazzando l’India di cui mi sono innamorato».

«Questi» sono la classe dirigente della destra nazionalista hindu, che governa ininterrottamente dal 2014 e che nel 2024 ha vinto le elezioni per la terza volta consecutiva.

Molti, dentro e fuori l’India, scommettono che qui si sta costruendo la prossima grande superpotenza mondiale. Un Paese dove vivono 1,4 miliardi di persone, più che in Cina, più che in qualsiasi altro Stato con cui lo si voglia paragonare. Un Paese che cresce a ritmi sostenuti e che oggi è la quinta economia del mondo dopo Stati Uniti, Cina, Germania e Giappone. Un Paese che scalpita per essere finalmente riconosciuto da tutte e tutti come uno dei Grandi della Terra e che da oltre un decennio è governato da Narendra Modi, l’uomo forte della destra nazionalista hindu, il primo ministro indiano dei record: tre volte consecutive a capo del governo come solo il padre della patria Jawaharlal Nehru era riuscito a fare prima di lui.

Per centinaia di milioni di persone, Modi è un mito, un politico che ha superato i confini del consenso terreno e viene idolatrato come un essere divino dotato di poteri soprannaturali. Per altre centinaia di milioni di persone, Modi e la sua classe dirigente incarnano l’incubo dell’autoritarismo religioso, la discriminazione delle minoranze come bussola di governo, il disprezzo delle pratiche democratiche come vanto, la fine dell’India multiculturale, multiconfessionale e multietnica come obiettivo dichiarato.

Il 5 giugno 2024, il giorno della conta dei voti, quando era chiaro che Modi avrebbe vinto ancora ma con uno scarto molto inferiore alle aspettative, ho mandato a Gautama Baba un articolo che raccontava la disfatta della maggioranza in alcuni distretti dell’Uttar Pradesh, lo Stato in cui si trova Varanasi. Risposta: «Se tutto quello che sai fare è nutrirti del tuo ego, è sicuro diventerai grasso e flatulento». Secondo Gautama Baba, questi grassi flatulenti a capo della democrazia più grande del mondo stanno cercando di ammazzare l’India di cui si era innamorato cinquant’anni fa. [Preordina il libro]

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