Crediti fittizi Superbonus, Cassazione: è truffa aggravata anche se non vengono utilizzati

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Nel caso in esame, le condotte delittuose contestate a un’indagata sarebbero consistite nel generare, mediante operazioni fraudolente, dei crediti d’imposta in luogo delle detrazioni fiscali del Superbonus 110% (ex articolo 121 Dl n. 34/2020) inesistenti in quanto fondati su dei diritti alla detrazione dei quali mancavano del tutto i presupposti costitutivi (in particolare, quello dell’effettivo compimento delle opere incentivate), e nell’optare per la cessione degli stessi crediti, i quali venivano quindi ceduti, in un caso a una società e, negli altri casi a Poste Italiane s.p.a. che, peraltro, li rifiutava, con la conseguenza che i tre crediti d’imposta si devono ritenere essere rimasti nel cassetto fiscale dell’indagata.

La questione posta alla Cassazione con un motivo consiste nello stabilire se, in tale modo, siano state consumate delle truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il che, secondo la ricorrente, si dovrebbe escludere per l’insussistenza dell’elemento del danno in capo allo Stato. Danno che non si sarebbe prodotto per la ragione che i crediti fittizi in contestazione non erano stati utilizzati in compensazione.

La nuova sentenza della Cassazione

Con la sentenza n. 45868/2024, la Sez. 2 Penale della Corte di cassazione, premesso che, nella fattispecie di cui all’art. 640-bis cod. pen., il danno che può assumere rilievo appare essere quello che va a incidere sull’ente erogatore (cioè, nella specie, sullo Stato), ritiene che le truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche commesse generando un credito d’imposta inesistente in quanto fondato su un diritto alla detrazione del quale manchino del tutto i presupposti costitutivi si consumino con la creazione dello stesso credito mediante l’esercizio dell’opzione, di cui alla lett. b del comma 1 dell’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020, per la cessione a terzi di un credito d’imposta di ammontare pari a quello della suddetta detrazione, senza che, per la stessa consumazione, contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, sia necessario che il credito fittizio così creato venga utilizzato in compensazione dall’apparente beneficiario della detrazione (o sia da lui riscosso) o da un cessionario dello stesso credito.

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“A tale proposito, si deve rammentare come la Corte di cassazione, nel pronunciarsi sulla questione dell’individuazione del momento consumativo della truffa cosiddetta contrattuale, abbia più volte affermato come tale questione non possa essere risolta in via preventiva e astratta, essendo invece necessario muovere dalla peculiarità del singolo accordo e dalla valorizzazione della specifica volontà contrattuale e delle specifiche modalità delle condotte e dei loro tempi, in quanto solo un tale esame consente di individuare quale sia stato l’effettivo danno, quale il concreto profitto e quale il momento in cui essi si sono prodotti e, quindi, quando il reato si sia consumato”, ricorda la suprema Corte.

Rammentato tale principio, la Cassazione osserva che, “nei casi quali quelli che vengono qui in considerazione, con l’esercizio dell’opzione di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020, l’agente crea un credito nei confronti dello Stato (e, quindi, un debito di esso) del tutto inesistente – in quanto generato in assenza di qualsiasi fonte giustificativa dell’obbligazione nell’effettiva realtà dei fatti – e che, come si è visto, è naturalmente destinato a essere prontamente utilizzato dai terzi cessionari in compensazione, gli effetti della quale sono di assai incerta neutralizzabilità, in particolare, nel caso in cui tale utilizzo sia fatto da cessionari in buona fede.

Alla luce di tali peculiarità dei crediti cosiddetti “superbonus”, si deve ritenere che già con la creazione del credito fittizio mediante l’esercizio dell’opzione di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del d.l. n. 34 del 2020 l’agente consegua il profitto ingiusto con correlativo danno per lo Stato”.

“Conforta tale conclusione”, aggiunge la suprema Corte, “anche la considerazione di come, ancorché la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis cod. pen. costituisca una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all’art. 640 dello stesso codice e non una figura autonoma di reato, l’evento danno di tale fattispecie aggravata di truffa appaia atteggiarsi non meramente come danno da oggettiva riduzione del patrimonio pubblico ma come danno, più specificamente, da sviamento dei fondi pubblici rispetto alla loro corretta destinazione, come appare comprovato anche dal riferimento, che è stato operato dal legislatore nella formulazione dell’art. 640-bis cod. pen., non solo all’erogazione dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo ma anche, alternativamente, alla concessione di essi («concessi o erogati»; corsivo aggiunto), con la quale il suddetto sviamento si può parimenti realizzare”.

Inversione di tendenza della Cassazione rispetto a una precedente decisione

“Per queste ragioni”, conclude la seconda sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 45868/2024, “anche alla luce del recente precedente di questa stessa Sezione (Sez. 2, n. 40015 del 23/10/2024, Errichiello, Rv. in corso di attribuzione), il Collegio ritiene di non condividere l’orientamento espresso da Sez. 3, n. 23402 del 07/03/2024, Pizzamiglio, Rv. 286554-01, secondo cui «solo quando i crediti ceduti sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il danno per lo Stato, per essersi verificata la concreta perdita del denaro, siccome erogato a rimborso di un credito fittizio ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio»”.



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