La Biennale Architettura tra sfida ambientale e crisi della modernità

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Come ogni Mostra internazionale dell’Architettura che si rispetti anche la XIX edizione, dal titolo Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva che si inaugurerà il 10 maggio, anticipa le sue ambizioni. La più immediata è allargare la partecipazione ad altri paesi: Azerbaigian, Oman, Qatar, Togo, inoltre avere posto l’architettura al centro dei problemi del mondo, che se è vero per le responsabilità che il costruire produce in termini di danni ambientali (il cemento contribuisce con il fossile all’80% delle emissioni prodotte tra il 2015 e il 2022), sembra di modesto rilievo come intenda risolverli.

IL SUO CURATORE, Carlo Ratti, ha illustrato ieri il gran numero di partecipanti (oltre settecento) e alcuni dei numerosi progetti e installazioni che li rappresentano. È il «genio e l’ingegno» degli architetti, come ha voluto sottolineare Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale, ciò che necessita per «fare mondo», antidoto efficace al «domicidio». «Domicidio» che Buttafuoco, citando Luciano Violante (Corriere della Sera, 18/1/2025) ha esplicitamente riconosciuto quale anticamera del genocidio che ogni giorno la cronaca racconta riportando le notizie da Gaza e dall’Ucraina, anche se sempre di «assassinio della casa» si deve parlare se si deportano migranti o se per ragione di business si distruggono gli habitat di quelle comunità fuori del mondo occidentale, oppure si abbandonano le aree marginali delle nostre città. Guardando proprio allle tragedie della guerra, ma soprattutto alle catastrofi ambientali causate dalla crisi climatica, Ratti dispiegherà in Laguna una task force di scienziati che insieme a architetti e ingegneri illustreranno l’avanzamento delle loro ricerche e le loro soluzioni. Saranno i loro contributi distribuiti tra l’Arsenale e i Giardini, ciò che vedremo in un largo spettro tematico e interdisciplinare. Già, però, informati che la scienza, nella molteplicità dei suoi specialismi, non «appare più così innocente, formidabile, progressista» come già ha spiegato Bruno Latour e con lui altri intellettuali critici di questo nuovo vento di modernizzazione planetaria, che per adesso è funzionale solo alle nuove forme di dominio.

IN ATTESA DI CONOSCERE nel dettaglio ciò che sarà presentato, occorre dire che la nostra curiosità andrà al «Laboratorio climatico» che riguarderà Venezia. Come illustrato da Ratti, infatti, a causa dei lavori di ristrutturazione del Padiglione Centrale ai Giardini, nella città lagunare saranno allestiti una serie di «Laboratori viventi» che avranno quale tema come far sopravvivere Venezia fra cent’anni, quando il Mose sarà ridotto ad una montagna di ferrame inservibile e l’innalzamento del mare trasformerà la laguna in una palude o in un lago. Di questi Living lab, la conferenza non ha fatto filtrare molto. Ci saranno progetti di Norman Foster e di Diller Scofidio+Renfro che proporranno nuove modalità di navigazione, ma anche processi di depurazione dell’acqua salmastra per renderla potabile: progetti avveniristici che ci si augura gli architetti-scienziati abbiano saputo ben valutare nella loro fattibilità.
Si è compreso che i progetti in mostra sono proiettati verso il futuro (anche spaziale) e segnati da un insieme di relazioni interdisciplinari (reti). Questi andranno dalla mitigazione dei violenti fenomeni climatici causati dalle emissioni di Co2, fino all’adattamento degli habitat umani, che si sa sono in continuo e progressivo mutamento finché non si riconosceranno i limiti insiti nel capitalismo, dettati dalla «trappola della crescita economica», e non vi si provvederà con una radicale e concreta alternativa.

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DALL’ESPOSIZIONE del curatore, i problemi che la mostra veneziana porrà all’attenzione della numerosa platea di visitatori saranno numerosissimi, anche se crediamo per buona parte riconducibili al fallimento del progetto della modernità, del quale la centralità della decarbonizzazione come dell’incontrollata crescita demografica, sono stati anche aspetti non prevedibili il secolo scorso, ma su cui l’architettura deve ora interrogarsi, mettendo in discussione anche alcuni suoi statuti (quello dell’autorialità è il più resistente, ma il meno urgente), come due anni fece la precedente mostra diretta da Lesley Lokko, con la questione della decolonizzazione.
Attendiamo, quindi, l’apertura della nuova edizione della Biennale Architettura 2025 che si connota nel segno di un largo confronto tra gli attori che compongono il variegato mondo dell’architettura alla prova con i problemi dell’Antropocene, che dovranno essere con urgenza affrontati per garantire la sopravvivenza del nostro pianeta.



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