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Quasi dieci milioni di iscritti ai fondi pensione: ma donne e giovani, quelli che ne avranno più bisogno, sono in minoranza
Con l’avvicinarsi del momento in cui le pensioni saranno calcolate tutte con il sistema contributivo, (oggi siamo all’80% circa), traguardo che realizza di fatto la riforma Dini di quasi trent’anni fa, le uscite anticipate dal lavoro sono sempre meno convenienti. L’incentivo semmai è a rimanere non ad andarsene prima. La differenza fra l’ultima retribuzione e l’assegno pensionistico si allarga soprattutto per chi ha pochi contributi.
Itinerari previdenziali ha calcolato, sulla base degli ultimi dati Inps, che dei 280 mila italiani usciti dal mondo del lavoro nel 2023 con una pensione di vecchiaia, solo 100 mila risultavano avere pieni requisiti. Il resto, una buona metà, non avrà in media più di 300 euro al mese. Pochi contributi, lavoro intermittente o in nero. Questa nuova categoria che potremmo chiamare dei retired poor (contraltare e prosecuzione di quella già vasta di working poor) sarà la nuova emergenza politica e sociale e tenderà ad ingrossarsi con il passare degli anni.
I pilastri da rivisitare
Di conseguenza, è lodevole l’idea del governo, che dovrebbe trovare spazio nella legge di Bilancio, di rafforzare gli altri due pilastri della previdenza, quelli dei fondi aperti e chiusi e dei cosiddetti Pip (Piani individuali pensionistici) di natura assicurativa. Si era pensato in un primo momento di rendere obbligatorio il trasferimento delle somme accantonate per il fine rapporto (Tfr per il settore privato) ai fondi integrativi negoziali, attraverso un meccanismo di silenzio assenso.
Il dilemma del Tfr
Le proteste, anche all’interno della stessa maggioranza, sono state tali da costringere i proponenti a un rapido dietrofront. Del resto c’è già il primo pilastro (l’Inps e la casse) ad essere obbligatorio, inutile aggiungerne un altro, specialmente da parte di una coalizione di governo che ha sempre spinto, soprattutto da parte leghista, per un ampliamento delle opzioni di uscita anticipata come antidoto alle rigidità delle riforma Fornero.
Sottrarre il Tfr alle piccole e medie aziende poi solleva sempre interrogativi sulla gestione della liquidità e dunque anche sulla stabilità finanziaria dei datori di lavoro, spesso inclini a dissuadere i loro collaboratori da una destinazione alternativa della retribuzione differita. Il tasso di adesione dei dipendenti delle imprese sotto i 50 addetti (sono circa 7 milioni) non arriva al 10%. Basterebbe studiare — come è stato peraltro fatto in passato — un fondo di garanzia per assicurare alle piccole aziende un merito di credito anche in assenza della liquidità del Tfr. Ci provò il governo Draghi poi non se ne fece nulla.
Le statistiche
Secondo gli ultimi dati aggiornati di Covip, la Commissione che vigila sulle forme di previdenza integrativa, siamo ormai vicini alla soglia di 10 milioni di iscritti. A fine di giugno erano 9,79 milioni. Le posizioni aperte però risultavano essere molte di più: sfioravano gli 11 milioni, cresciute del 2,3% rispetto a fine 2023. «Quasi il 37% della forza lavoro — spiega Francesca Balzani, che svolge le funzioni di presidente di Covip — è iscritto a un fondo negoziale o aperto o a una forma di previdenza integrativa assicurativa. Non è poco. Segno di una consapevolezza ormai diffusa che occorra aggiungere al primo pilastro, obbligatorio e a ripartizione, una seconda gamba a capitalizzazione».
Il dilemma dei giovani e delle donne
Dall’esame degli ultimi dati Covip, emergono ancora più chiari due fenomeni sociali e culturali dei quali è opportuno occuparci. «Il primo è quello della partecipazione femminile — precisa Balzani — le donne erano alla fine dello scorso anno solo il 38,3% degli iscritti. Con differenze importanti. Nei fondi negoziali e chiusi, cioè legati ai contratti di lavoro, erano appena il 27,3%, a causa della ridotta occupazione femminile. Percentuale che saliva al 42,6 nei fondi aperti e al 46,6 nei cosiddetti Pip, prodotti assicurativi. Non si può dire che l’universo femminile non esprima, con queste ultime due scelte, una sua preoccupazione, non segnali una condizione di disagio. Il secondo aspetto è relativo alla scarsità dei giovani. La previdenza integrativa non è solo prettamente maschile ma anche, paradossalmente, troppo anziana. Il 47,8% degli iscritti ha un’età compresa tra 35 e i 54 anni. Sotto i 35 c’è solo il 19,3%. Cioè mancano quelli che ne avrebbero più bisogno».
Ma soprattutto, aggiungiamo noi, gli iscritti in grado di avere uno sguardo su un orizzonte più lungo e dunque nella condizione di sopportare, in una gestione a capitalizzazione, gli inevitabili cicli negativi di mercato. I fondi azionari hanno reso in questi anni intorno al 5%, il doppio della rivalutazione del Tfr.
Le idee per incentivare le sottoscrizioni
Come incentivare dunque le sottoscrizioni? Balzani pensa che il sistema del silenzio assenso potrebbe, almeno per i più giovani e inizialmente, valere solo su una quota, ad esempio il 50%, del Tfr, indirizzandola però verso gestioni più dinamiche e quindi, in prospettiva, più remunerative. Parallelamente sarebbe utile una riforma della tassazione dei fondi non più sul maturato bensì sul realizzato come peraltro previsto dalla delega fiscale. C’è poi la tendenza netta a tenersi il capitale che si è via via accumulato anziché ottenere una rendita mensile. Alla «prendi i soldi e scappa». Il rapporto è uno a dieci. Il che, se vogliamo, è in antitesi con la finalità assicurativa della previdenza complementare. Una proposta Covip è quella di introdurre una rendita temporanea ponderata con l’aspettativa di vita, fare insomma un po’ a metà e metà. Ma vi sono aspetti di psicologia personale non banali e anche difficilmente superabili.
Si potrebbe poi estendere — e ne abbiamo già parlato su L’Economia — quella quota di deducibilità fiscale (5.164 euro) a una cerchia più larga, non solo di familiari. Pensate soltanto al valore sociale di una persona anziana, senza eredi diretti, che «adotta» un giovane finanziando il suo risparmio previdenziale e usufruendo della deducibilità.
Il salvadanaio previdenziale per i neonati
La svolta è però più culturale che fiscale. E qui Balzani ha una proposta che merita di essere discussa e attentamente valutata. «Ad ogni nato assegniamo un codice fiscale. Perché non renderlo titolare anche di un salvadanaio previdenziale che potrà essere alimentato dai genitori, dai parenti? Chi versa deduce. È un po’ come il buono postale che le nostre nonne e mamme intestavano ai più piccoli, ultimi arrivati in famiglia. Al complimento dei diciotto anni si potrà eventualmente attingere a questo risparmio anche per finanziare gli studi e si avrà, come ci si può augurare, la base sulla quale costruire una pensione futura».
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